GRAZIE A DIO di François Ozon è un film necessario e importante , ispirato a fatti tragicamente veri, che da una parte si fa voce di una denuncia e dall’altra è un invito alle vittime di abusi a unirsi e avere il coraggio di alzare la voce perché la violenza non resti mai impunita.
Lione. Alexandre, padre e marito amorevole, scopre che il prete che abusò di lui ai tempi degli scout officia tranquillamente sempre a contatto con i bambini.
Una ferita in lui che credeva rimarginata si riapre e con essa la volontà di fare giustizia.
Inizia una lunga e personale battaglia che nel tempo verrà condivisa e rafforzata da altre (tante) voci di uomini la cui innocenza fu travolta e spezzata dall’uomo di chiesa.
François Ozon è uno dei pochissimi registi del presente capaci di misurarsi con i più svariati generi cinematografici. Guardare alla sua filmografia è tanto entusiasmante quanto straniante, ma è anche sintomatico di un desiderio di non volere essere inquadrato, definito.
Come la vita, il cinema deve presentare tutta una gamma di colori e di emozioni umane e per questo Ozon si sperimenta – in maniera vincente – ora col thriller dalle tinte horror de “GLI AMANTI CRIMINALI” (1999) e ora col musical vestito di giallo in “8 DONNE E UN MISTERO” (2002), passando agli omaggi per i melò hollywoodiani degli anni ’40 come nel film “ANGEL-La Vita, Il Romanzo” (2007) fino alle incursioni nel thriller psicologico che trasudano erotismo in titoli come “SWIMMING POOL” (2003) o il più recente “DOPPIO AMORE” (2017) di cui parlammo in questo articolo.
GRAZIE A DIO ha avuto una gestazione non poco travagliata.
Una volta che François Ozon è venuto a conoscenza del caso Preynat sul sito “La Parole Libérée“, è stato fortemente indeciso se realizzare un documentario o una fiction.
Solo dopo essersi confrontato con le reali vittime degli abusi, spinto anche dal desiderio perché la loro storia – già trattata sulle reti televisive francesi e non solo – venisse raccontata sul grande schermo, Ozon ha optato per farne un film.
Questo gli ha permesso certamente una maggiore libertà di azione, ma anche la responsabilità di trovare la giusta luce, il giusto colore e la giusta sensibilità con cui avvicinarsi a un materiale tanto incandescente.
Il film ha il grande pregio di non cadere mai in un atto d’accusa feroce e lapidario, semmai guarda al cuore del problema, partendo dal cuore di coloro che hanno vissuto sulla loro pelle quanto ci viene mostrato.
Ozon decide di presentarci questo caso soffermandosi e delineando con grande accuratezza e umanità tre uomini, tre vittime, che hanno superato, ognuno a proprio modo, quanto hanno subito in tenera età.
Dapprincipio seguiamo la presa di coscienza di Alexandre (un bravissimo Melvil Poupaud che per altro diede una grande prova attoriale in un’altra opera di Ozon che invito a recuperare, “UNA NUOVA AMICA” del 2012).
Alexandre è un uomo stabile, realizzato, sereno, con una bella famiglia che ama e da cui riceve pieno appoggio e che, elemento da non sottovalutare, ha conservato la propria fede ed è strettamente legato alla chiesa.
La sua denuncia e la sua (misurata) rabbia, dapprima rivolta solo alla figura del prete pedofilo, dovrà scontrarsi con una verità molto più insidiosa e crudele: l’omertà del sistema ecclesiastico.
Emblematico in tal senso è l’episodio in cui egli si troverà faccia a faccia con il prete che abusò di lui, in presenza di una donna (il cui ruolo e le cui credenziali sono poco chiare) che farà da testimone e mediante tra le due parti. In quel caso Alexandre non solo non riceverà delle scuse da parte del prete, ma sarà costretto a unirsi a lui in un momento di preghiera in cui i tre si stringeranno per mano.
La scena è tesa e crea un senso di rabbia e disgusto che avvertiamo noi pure e non sarà un caso isolato: spesso la preghiera e sterili richiami alle sacre scritture verranno utilizzati per mettere a tacere le coscienze e le domande considerate “inopportune”.
Altrettanto incisive e importanti solo le prove attoriali dei due comprimari: un incontenibile e coinvolgente Denis Menochet, che dona maggiore azione al racconto intimo e qualche nota più colorata; e uno straordinario e drammatico Swann Arlaud.
In particolare è da evidenziare le prova di Arlaud che delinea con partecipazione un anima frastagliata. Egli è certamente quello che maggiormente ha riportato i danni peggiori e su cui quelle violenze subite da bambino lo hanno portato poi ad avere difficoltà a relazionarsi col mondo esterno. Alla sua figura sono legate le scene di maggiore tensione e drammaticità.
Ma non sono da meno tutti gli altri attori e attrici che interpretano ruoli chiave atti a mostrare come questa scomoda verità sia vissuta dalle famiglie e percepita dalla comunità in generale e come il più delle volte certe cose siano ritenute “normali” o di cui è “meglio tacere” e come il sistema giuridico non permetta una reale vicinanza alle vittime (molti casi di violenza avvenuti prima degli anni ’90 sono caduti in prescrizione e quindi non perseguibili dalla legge).
“GRAZIE A DIO” (frase che per altro verrà pronunciata nel film in un contesto del tutto sbagliato e che sono certo vi farà rabbrividire sulla poltrona) è uno di quei film che apre a non pochi dibattiti e che ci offre diverse chiavi di lettura, portandoci a interrogarci con tatto sul significato più profondo di parole come fede e perdono e amore.
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