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Andrea Lanfri, obiettivo #Everest2020. Sul tetto del mondo per trovare il limite (Intervista)

- 22/11/2019
andrea lanfri foto senza protesi


Il dolore esiste. Punto. La sofferenza è una scelta. Non l’ha detto nessun pensatore famoso. L’ha detto una mia amica, davanti ad un paio di calici. (In Vino Veritas!)

È così. Il dolore succede. Tutti prima o poi finiamo nel baratro. Più o meno in profondità. E quando sei lì, non sai come uscirne e non vuoi nemmeno farlo, chiunque ti dica “sii forte” verrà mandato puntualmente a quel paese. E passo di carica pure!

È giusto così. La selva oscura è personale. Esclusiva. Riservata.

Poi c’è la sofferenza che invece è una scelta. Di ogni giorno.

Ad certo punto il baratro lo conosciamo così bene che ci capiterà di guardare in alto e pensare “che faccio? Risalgo?

Il dolore resta ma noi possiamo scegliere cosa farne. Se portarlo in giro, al lavoro, in vacanza, al mare sul lettino, sotto l’ombrello mentre piove, a bere un drink, a correre.

Andrea, per esempio, se lo porta a spasso sull’Everest.

Andrea Lanfri scalata

Ispirazione n 3: Andrea Lanfri. La sua storia non ha titolo, ha solo emozione.

Atletico. Determinato. Lampo di sfida negli occhi. Proiezione di sé stesso oltre qualsiasi limite il suo fisico gli imponga. Corpo modellato attorno ai segni di una malattia che gli toglie le gambe e 7 dita delle mani. Eppure, a quei segni Andrea deve la sua nuova vita. Solcano il suo viso ed incidono la sua pelle. Fanno parte di lui come le inflessioni del marmo appartengono alla statua di un guerriero. Lo proclamano.

A 29 anni conosce il dolore. Meningite fulminante con sepsi meningococcica.

Calvario. Collasso. Clinica. Coma.

A 30 si risveglia.

Soffre. Sceglie.

Non è più quello che era. Ma può essere quello che non avrebbe mai immaginato di poter essere. L’eroe di sé stesso.

Inizia a correre. Va veloce. Gareggia. Diventa atleta paralimpico. Un palmares fatto di campionati europei ed un mondiale, fino ad oggi. La sua storia però non profuma solo di rivalsa. Anche di passione. Quella per la montagna che senza arti rischiava di restare solo un sogno. Invece è tornata ad essere realtà. 

andrea lanfri paralimpiadi
Andrea Lanfri

#Everest2020. 8848mt. Il tetto del mondo. Mai raggiunto da un italiano su due protesi. Un traguardo. Una meta. Una convinzione. Andrea ci andrà. La bandiera che pianterà in vetta non sarà solo per sé ma per tutti coloro che hanno bisogno di credere che qualcosa di bello nella vita può sempre succedere. Tutti coloro che hanno bisogno di lasciarsi…ispirare!

Due domandine sulla tua vita. Per capire com’è cominciato tutto.

Re Alex Zanardi dice di non aver mai pensato a quello che aveva perso piuttosto a cosa potesse fare con quello che gli era rimasto. “È stato lo stesso anche per te? Quanto tempo ci ha messo la tua mente ad accettare il nuovo corpo?”

Un istante. Il tempo del risveglio. La mia mente non ha mai recepito davvero il cambiamento. Era solo un nuovo modo di fare le cose. Al posto delle gambe avevo le protesi. Quello che invece ha dovuto accettare è stata la fatica. La normalità dei gesti si mescolava a dolore e sforzo. Allenare il corpo richiede impegno. Allenare un corpo che porta due protesi richiede determinazione, concentrazione, sopportazione, forza.

È stata la meningite a darti la voglia di superarti o ti saresti sfidato lo stesso?

Il gene della sfida è sicuramente da qualche parte nel mio DNA. Mi sono sempre messo alla prova in tutto. Però la meningite è stata la lotta della vita. Vincerla ha innalzato l’asticella dei miei obiettivi così tanto da non poter più tornare indietro.

Invece quanto è stato difficile rimettersi in piedi, economicamente?

Economicamente è un bel problema. La buona volontà purtroppo non paga i conti. Le protesi sono sempre più costose ed hanno un tasso di usura altissimo.

E socialmente?

Il rapporto con gli altri invece è rimasto immutato. Corro, scalo e arrampico con i normodotati e sono trattato esattamente come loro, nel bene e nel male. Non ci sono sconti. È quello che voglio. Non sono diverso. Devo solo allenarmi di più.

atleti con protesi
Andrea Lanfri (a sinistra)

Toniamo ad #Everest2020. La vetta è prevista per aprile/maggio. Lunedì scorso però si è conclusa la tappa intermedia del tuo viaggio. Sempre in Nepal. Un po’ più in basso della cima, fino a Punta Hiunchuli. Cosa volevi trovare a 7246mt e cos’hai trovato davvero?

Volevo trovare il limite. Volevo testare la mia resistenza fisica e sforzare ancora di più quella mentale. Ho dovuto gestire le protesi per 30giorni di cammino no stop. Percorsi sconnessi, sassaie ripide, ghiacciai. 30 giorni di concentrazione e di equilibrio motorio. Ma anche 30 giorni di dolore costante. Tagli, bolle, rischio infezioni. Vivere con le protesi è anche tutto questo. Senza riposo e senza riparo fisso, la mente poteva cedere. Volevo arrivare a questo. Ma non è successo. A 7246mt il limite ancora non c’era.

Come si sono comportate le tue gambe? Seguivano il ritmo della scalata?

Si. Perfettamente. Devo molto all’allenamento che ha preceduto questa esperienza. Corsa, bici, vette. Le grandi imprese vanno preparate, con due protesi ancora di più. E poi un vantaggio c’è: Non ho rischiato il congelamento ai piedi! Mica poco!

Da come l’hai descritto il Nepal sembra un viaggio in un’altra dimensione. Questo scenario di natura impervia che racconti, questa terra secca, dura e aggressiva è anche CASA per chi ci vive…o sopravvive. Che spirito hai trovato in queste persone? Ti sei sentito fortunato nonostante tutto?

Privilegiato. La zona del Nepal che abbiamo scalato, il Dolpo, è una delle più povere. Siamo passati attraverso molti villaggi. Ho giocato con i bambini. Non hanno niente. Però ridevano con me. È stata la parte emotiva del viaggio. Mi ha fatto tornare indietro ai giorni del coma, di cui mi sono rimasti solo i frammenti di un sogno confuso. Un sogno però che aveva le stesse linee di queste montagne. E poi gli Sherpa. Umili, lavoratori, privati di tutto tranne che della loro forza. In cima si sono complimentati con me. Non credevano che ce l’avrei fatta. Il loro viso soddisfatto è stato toccante. Mi ha battezzato. Sono rientrato cambiato. Tornerò lì per salire più in alto. Per cambiare ancora.

Le parole di Andrea sono una conferma. Il dolore resta. Le sue gambe non ci sono, le dita neanche.

La sofferenza però è una scelta. Andrea ha scelto. Possiamo farlo tutti. Ogni giorno.

Stay tuned for #everest2020

shoot fotografico andrea lanfri
Andrea Lanfri (ph Andrea Puviani)

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Instagram @lanfri_andrea

Tutte le immagini appartengono ad Andrea Lanfri.

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