Le renne artiche sono in pericolo. Proprio loro, uno dei simboli del Natale impresso su festoni, maglioni e gadget, sagomate dalle impalcature di luci nelle nostre città, rischiano di essere spazzate via dai pericoli del cambiamento climatico.
Non stiamo parlando, beninteso, delle renne europee (Babbo Natale potrà tirare un sospiro di sollievo), ma delle loro cugine d’oltreoceano, meglio conosciute come caribù (o caribou), che abitano le zone più a nord di Canada e Alaska e sono famosi per la loro migrazione.
I caribù, come tantissimi altri animali, stanno soffrendo le conseguenze del riscaldamento globale che sta minacciando la loro sussistenza proprio in terra americana.
SOS caribù: i cugini americani delle renne europee sono in pericolo
I caribù appartengono alla stessa specie delle renne, e sono degli animali straordinari. La natura li ha dotati di un corpo che sembra essere stato progettato per sopportare le temperature più rigide. Il loro naso della, ad esempio è in grado di riscaldare l’aria prima che questa giunga ai polmoni, mentre il pelo permette a questo animale di sopportare anche le temperature più estreme. Gli occhi, inoltre, cambiano colore a seconda della stagione: in estate sono dorati mentre in inverno, in assenza di luce, assumono una colorazione bluastra.
Nel dicembre 2016 il Cosepac (autorità governativa canadese dedita al monitoraggio degli animali in pericolo) ha messo in allarme il mondo sui danni che l’innalzamento delle temperature sta provocando su questa specie, molto sensibile ai cambiamenti climatici.
Un declino allarmante, che sta progressivamente peggiorando raggiungendo livelli storicamente molto bassi negli ultimi 30 anni. Secondo il Cosepac, che emette raccomandazioni al Governo federale canadese, nella tundra del Basso Artico la situazione è ormai compromessa, tanto che in alcuni gruppi di animali il calo si registra addirittura al del 95-98%.
In base a notizie più recenti da parte dell’American Geophysical Research Union, si rileva che il numero degli esemplari di renna è precipitato da 5 milioni a circa 2,1 milioni, con un calo di oltre il 56%.
Perché i caribù rischiano l’estinzione?
I caribù non sono degli animali stanziali ma migrano con l’alternarsi delle stagioni. Ogni anno, a migliaia percorrono fino a 25000 chilometri attraversando la tundra, nelle lande sterminate tra Canada e Alaska. Nei mesi estivi i grandi branchi si spostano al nord, insinuandosi fin dentro la foresta boreale per trovare nuovi pascoli e sfuggire al caldo estivo. Al termine dell’estate, invece, si preparano a tornare indietro seguendo il cammino già percorso, con una media di 50 chilometri al giorno.
I caribù sono animali dalla mole impressionante: mentre le femmine possono raggiungere il peso di 120 chilogrammi i maschi ne raggiungono solitamente 200, ma non è escluso che alcuni esemplari particolarmente grandi arrivino a sfiorare i tre quintali di peso. Ciò significa che il loro sostentamento richiede grandi quantità di cibo per prepararsi alla partenza: erba e piante in estate e muschi e licheni in inverno.
Una particolare combinazione sfortunata di eventi sta portando i caribù a non avere più un facile accesso al cibo. Una delle cause principali è l‘aumento delle temperature, che sta portando da un lato alla nascita di una vegetazione più alta dei muschi e dei licheni (quelli di cui i caribù si cibano crescono a livello della terra); in secondo luogo l’incremento degli insetti nel periodo estivo, che per la presenza di condizioni climatiche più favorevoli stanno arrivando anche lì dove una volta vi erano temperature più basse. Questi insetti rovinano la vegetazione e opprimono i caribù, che per liberarsene si ritrovano a spendere molta energia.
Non ultimo, il fattore neve: gli zoccoli dei caribù sono adatti per camminare su grandi distese innevate e, all’occorrenza, scavare il terreno per trovare cibo. Purtroppo, però, la neve sta lasciando spazio alla pioggia, che con temperature come -30° ghiaccia rendendo impossibile per i caribù procurarsi il cibo ad altezza terreno.
L’intervento dell’uomo
Altre ragioni della rapida perdita dei caribù possono essere rintracciate nelle massicce incursioni dell’uomo nell’ecosistema boschivo dell’America del Nord, come ad esempio la proliferazione di piste da sci, che avrebbe permesso ad animali come i lupi di predare i caribù con maggiore facilità.
Emblematico è il caso della provincia canadese della British Columbia. Riportando i dati del sito Lifegate, oggi nella regione rimarrebbero 46.800 esemplari di caribù montagna, con l’ecotipo meridionale maggiormente minacciato, ridotto a poco più di 1800 unità all’appello degli esperti.
La decisione, piuttosto drastica, di mettere una taglia sui lupi nel 2015, da un lato ha portato a una mattanza incontrollata dei predatori (solo nell’ultimo anno ne risultano uccisi, sempre secondo Lifegate, più di 460 esemplari), ma dall’altro non ha prodotto risultati significativi nelle aree dove i caribù risultavano essere più a rischio.
“Lupi e caribù hanno coesistito, interagendo tra predatori e prede, per millenni nel Nord America occidentale“, ha affermato Chris Darimont, coautore dello studio della Raincoast Conservation Foundation e delle università di Alberta, British Columbia e Victoria sull’estinzione dei caribù. La ricerca afferma che i fattori decisivi per il declino della popolazione delle renne artiche includono la perdita di habitat a causa del disboscamento, la variazione del manto nevoso e le motoslitte.
Il delicato equilibrio dell’ecosistema montano del Nord America ha iniziato a essere compromesso solo attorno ala metà del 20 ° secolo, quando il disboscamento industriale e lo sviluppo del petrolio e del gas sono decollati. La terra e le strade bonificate hanno reso i lupi predatori più efficienti, costretti a percorrere grandi distanze per cercare prede vulnerabili, ha detto, e i lupi “Nonostante non preferiscano i caribù (i cui predatori naturali sono soprattutto orsi e puma, ndr), molti in media hanno ucciso più caribù semplicemente perché sono un numero significativamente superiore“, ha detto.
“È davvero difficile cambiare rotta su questo punto. Laddove i paesaggi sono stati così fondamentalmente compromessi, per ogni anno in cui sono state rimandate misure di contenimento del problema, le condizioni si sono deteriorate ulteriormente e progressivamente, fino a un punto in cui alcune popolazioni chiaramente non si riprenderanno mai, scompariranno“, ha concluso Darimont.
Ci ritroviamo davanti a un’emergenza mondiale, che in pochi, però, hanno la determinazione di affrontare. Continuare a perdere la biodiversità del pianeta equivale a manomettere un equilibrio sviluppato in milioni di anni di evoluzione. Se oggi i caribù sono in pericolo, domani potrebbe essere il turno di delle farfalle, e poi dei pinguini, fino a che, alla fine, toccherà a noi uomini, che ci ritroveremo a fronteggiare un’eredità di orrori, rifiuti e malattie per colpa dell’ignavia di una generazione di potenti ottusa e sorda.
Foto di John Sarvis, USFWS da Pixnio
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