Un continuo mostrarsi ai limiti della comprensione. Una necessità di apparire in continuazione e la necessità di farsi vedere, allegri, felici, in viaggio, perfetti. Truccatissimi, filtratissimi. Sorrisoni bianchi, capelli in piega. Ostentazione e invasione del social con espressioni quasi plastificate. Un bel panorama, una fotografia di un luogo, di un monumento, di una cosa significativa per noi offuscata da un primo piano che lascia il segno e l’impronta come a dire: ci sono anche io.
Non importa lo sfondo, non interessa dove siamo. Interessa prima di tutto mettere il nostro faccione in primo piano. Che poi se hai fatto la foto vuol dire che sei lì, ma no, serve la bazza prominente in un angolo della foto, lo sguardo languido sullo sfondo, l’espressione buffa a mezza faccia su un lato.
Insomma: me, myself and I.
Ovunque e comunque, solo e unicamente il selfie. Quelle pose per delle ore mentre l’amico o amica cerca di scattare la foto nella quale poi magari sei pure venuta cessa perché a sorridere per 40 minuti alla fine vieni scocciata. Invece il selfie evita tutto ciò. un clic (uno… se va bene!) e tac, il mio faccione invade i social con hashtag improponibili come #brutta #cicciona #oggicosì #sorrisoni #maiunagioia #venutamale. Esserci sempre e ovunque, davanti un castello, un monumento, un quadro, una rissa, un incidente, un tramonto, prima di tutto noi. Narcisismo? Naaaaaaaa!
Forse perché in tutto questo mondo di apparenza ci siamo dimenticati di ricordarci delle persone. Così la nuova frontiera della fotografia ha preso il sopravvento. Ne hanno parlato la notte degli Oscar e ne hanno confermato l’esistenza: a Glendale, nella contea di Los Angeles, il 1 Aprile ha aperto il Museo del Selfie.
A Los Angeles il Museo del Selfie
I creatori sono Tair Mamedov (comico, scrittore, regista e game-designer), e Tommy Honton ( scrittore, un game designer e un creatore di realtà virtuale), mentre Abylay Zhakashov (imprenditore e produttore cinematografico) è il producer. Sono loro che hanno dato vita a questa realtà parallela dove non saranno solo le opere d’arte ad essere fotografate ma finalmente anche noi potremo diventarne parte.
“Questo non è il museo dei selfie, ma una galleria sui selfie.” spiegano gli ideatori. “Qui i visitatori possono esplorare l’origine dell’autoscatto attraverso la lente dell’arte, della storia, della tecnologia e della cultura mentre si scattano qualche foto con le nostre installazioni interattive. Il nostro obiettivo è far condividere le profondità invisibili e la storia di questo fenomeno culturale”.
Il selfie in fondo è la versione moderna di quelli che secoli fa erano gli autoritratti in chiave più ironica e più tecnologica.
Tutto il museo è pensato e interamente creato per il selfie (ogni giorno vengono postati sui social più di 2 milioni di selfie), un gioco “interattivo” con le opere d’arte riprodotte.
Copie di dipinti, statue, oggetti, tutto riprodotto per far giocare i visitatori con la propria immagine. Dal selfie classico al “death selfie”, una sezione dedicata che ha come scopo di mandare un chiaro messaggio: usare il cellulare in situazioni pericolose per immortalarsi può anche costare la vita.
700 mq di occasioni per comunicare e esprimere noi stessi. Toccare le opere d’arte che solitamente vedi da lontano. Abbracciare il David. Entrare in un dipinto. Diventare parte di qualcosa. Il soggetto siamo noi.
Basta immortalare oggetti inanimati come monumenti o sculture, la vera arte oramai siamo noi con le nostre smorfie, i nostri nasi arricciati, le nostre bocche a papera.
Un tempo c’era il metodo “scusi me la fa una foto?” un paio di scatti e basta, se eri venuto male, pazienza. Un ricordo da tenere per sé non da mettere su tutti canali online. Una foto che al massimo tenevi in un album. Ora invece il mondo assiste a questo scatto. Milioni di spettatori, tutti possibili like. Allora perché non fare di questo bisogno di attenzione un “gioco”?
Fino al 31 Gennaio il Museo del Selfie sarà aperto, poi chissà, alcuni sostengono che diventerà itinerante. Altri addirittura che verrà esportato nel mondo. Meglio continuare ad allenarci, così dovesse arrivare in Italia saremmo pronti.