Sarà la raggiante Catania ad ospitare il prossimo evento Bearslicious, (link qui). E come ogni volta che ci approcciamo a conoscere una città ospitante delle nostre iniziative, BL Magazine intervista uno dei rappresentanti della scena lgbt locale.
“Una vita contronatura”: Così Franco Grillini ha definito Giovanni Caloggero, 67 anni, una delle personalità di spicco della militanza gay a Catania, città che storicamente, sin dai tempi di Oscar Wilde, era meta prediletta degli omosessuali antelitteram.
L’attivismo occupa da quasi tre decenni le giornate di Giovanni: oggi è consigliere nazionale di Arcigay eletto direttamente dal Congresso (uno degli otto eletti per anzianità o per meriti speciali, assieme a personalità come Franco Grillini), e già nel 1994 tra i fondatori di una delle discoteche più famose d’Italia, il Pegaso di Catania, che ospiterà la parte conclusiva dell’evento Bearslicious del 26 maggio: “Ho cominciato la mia militanza proprio nel 1994, quindi ormai 24 anni fa” racconta a BL Magazine Giovanni Caloggero: “Il Pegaso nasce come circolo Arcigay, inteso come circolo politico – all’epoca non vi era la distinzione tra circoli ricreativi e circoli politici affiliati – poi il 5 febbraio ’94 nacque il Pegaso come Circolo ricreativo. Lo stesso nome “Pegaso” si rifaceva al logo Arcigay, e alla rivista che all’epoca veniva pubblicata dall’associazione che si chiamava proprio così“.
Perché l’idea della discoteca?
Il circolo cominciò, per autofinanziarsi, a organizzare anche delle attività ricreative. Poi con le varie riforme dello statuto di Arcigay il Pegaso rimase come locale ricreativo e discoteca, mentre Arcigay elaborò il suo comitato politico a parte, di cui sono stato anche presidente.
Catania negli anni ’90 era una città fervente dal punto di vista artistico e culturale. Come viveva un omosessuale a Catania a quei tempi?
Eheh, lei parla con una persona che oggi ha 67 anni e moltissima nostalgia di quei tempi, perché incontri e conoscenze non si facevano attraverso internet, applicazioni e chat, ma frequentando locali e punti di ritrovo. Il rapporto umano era quindi privilegiato rispetto al rapporto via internet. Per me ovviamente era meglio quel periodo lì, tra l’altro si viveva molto bene a Catania, che ancora oggi è una città che conta pochissimi casi di omofobia. Gli episodi registrati sono davvero pochissimi.
Il valore “friendly” di Catania però non è solo recente, affonda le radici a moltissimi anni fa.
Infatti deve sapere che già negli anni ’30 a Catania fu aperta una sala da ballo per soli uomini. Questo viene ricordato in un libro, “La città e l’isola” di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio, dove si racconta l’esilio di alcuni omosessuali nel periodo fascista. In un capitolo si parla di questa particolare sala da ballo quindi sì, possiamo dire che c’è una tradizione friendly piuttosto radicata a Catania.
Oggi la società è molto cambiata, internet ha mutato anche la tipologia delle persone che frequentano i locali, ma questo è un fatto sociale che riguarda non solo Catania ma il mondo intero, credo.
Che tipo di eventi sono organizzati al Pegaso?
Il pegaso è sostanzialmente una discoteca, quindi eventi disco con musica, ballo, spettacoli, animazioni tematiche. Abbiamo realizzato però anche eventi di sensibilizzazione contro l’omofobia, sull’hiv, e il Pegaso stesso, insieme ad Arcigay Catania, organizza il Catania Pride. Il nostro primo Pride è stato addirittura nel ’93, un anno prima della partecipazione al primo Pride nazionale di Roma.
Come si svolse il primo Pride?
Chiaramente il Pride del ’93 non si articolò in un corteo ma era stanziale, e fu dedicato alle vittime dell’HIV, argomento poi ripreso nel 2013 quando abbiamo coinvolto l’associazione Plus Onlus continuando a sostenere le persone sieropositive. I nostri Pride hanno una storia lunga. Sono molto politicizzati, tematizzati, trattano di argomenti d’attualità, come appunto l’hiv, la prostituzione legata alla transessualità e tanto altro
Quando si terrà il prossimo Catania Pride?
Il 23 giugno. Il tema saranno il mare e i migranti: parliamo sia dei migranti che vengono da terre lontane che dei migranti catanesi, costretti a lasciare la loro terra o addirittura la loro casa a seguito di omofobia familiare. Tra l’altro, il tema lanciato da Arcigay sul territorio nazionale riguarda proprio le violenze domestiche, che sembrano essere sottovalutate ma hanno purtroppo una rilevanza molto forte.
Non tutti hanno però un’idea positiva del Pride, anche nella stessa comunità lgbt viene spesso bollata come “carnevalata”. Lei cosa ne pensa?
Sì, questi sono i soliti commenti dei detrattori che appaiono ogni anno in occasione del Pride: una carnevalata.
Io penso che a Carnevale le maschere si indossino, al Pride invece ce le togliamo. Non dimentichiamo che il primo Pride nasce nel 1969, ricordiamo i moti di Stonewall, e Silvya Rivera, che era una transessuale, di fatto fu una protagonista assoluta in quell’occasione. I Pride hanno una storia di eccessi voluti, perché anche la provocazione è un mezzo di comunicazione. Il Pride deve provocare, far pensare, mettere al muro le persone anche attraverso il linguaggio del corpo che anche per noi è molto importante, non dimentichiamo che Arcigay e tutta la comunità nascono da un movimento di liberazione sessuale dall’ipocrisia. Quindi ben vengano anche gli eccessi, se così sono considerati. Ma al tempo stesso, chi può definire cosa è un eccesso? Un cul0 di fuori, delle tette al vento? Se ci guardiamo attorno vediamo eccessi anche peggiori.
Lei è un consigliere Arcigay anche di un certo peso, per la sua esperienza. Secondo lei quali sono le criticità dell’associazionismo gay in Italia?
Lei mi mette il dito su una piaga (sorride, ndr). Ho ho una posizione piuttosto critica a riguardo.
Arcigay fa parte di un movimento, e un movimento è una costellazione formata da diverse associazioni. Le associazioni sono la risultanza delle persone che la compongono.
Purtroppo, e questa è una piaga non dell’associazionismo e non del movimento lgbt, ma dei tempi e della cultura corrente, ci si è andati sempre meno identificando in ciò che eravamo in passato. Questo fenomeno è addirittura macroscopico della politica, dove la sinistra ha finito di essere sinistra, la destra ha smesso di essere destra, il centro ha smesso di essere centro e tutti i partiti si sono fusi, hanno perso i propri connotati e la propria identità. Oggi quindi appare un movimento politico che si definisce trasversale e non ha una sua ideologia politica definita. Adesso, senza voler fare propaganda politica chiaramente, la stessa cosa sta accadendo nel movimento lgbt con le “teorie queer”, che non rappresentano un orientamento sessuale ma si basano su teorie americane nate in un preciso periodo storico. Gli orientamenti sessuali sono abbastanza limitati, non compongono un ventaglio infinito. Oggi tutto appare “Queer”, che in gergo significa pressappoco “essere strani”. Io però non mi sento “strano”, sono “frocio” (ride), sono orgogliosamente frocio, non voglio sentirmi dire “strano”.
A cosa ha portato questa sottrazione di identità, secondo lei?
La perdita della nostra identità omosessuale, lesbica, transessuale, bisex, ha fatto sì che abbiamo dovuto puntare tutto su modelli eteronormativi. La famiglia, il matrimonio, i diritti. Io ad esempio avrei puntato sulla piena parità dei diritti, non solo su un aspetto. Con la legge Cirinnà, oggi legge 76/2016, ci si accontenta di una manciata di confetti pur mantenendo la differenza tra unioni civili, riservate agli omosessuali, e il matrimonio che è riservato agli eterosessuali. La discriminazione quindi rimane. E io, omosessuale, perdo gran parte della mia forza rivoluzionaria. Ci siamo annacquati in tante cose, perdendo le nostre ideologie. Chi parla più di Mario Mieli o Sandro Penna, personaggi di grande cultura e di grande spessore? Per voler essere inclusivi stiamo diventando “esclusivi” nei confronti degli omosessuali. In tutto questo emerge anche una strana forma di intellettualismo che si sta dimenticando delle nostre battaglie e del sociale, perché attenzione: essere gay non significa dimenticare le problematiche del precariato, della disoccupazione e dell’immigrazione. Siamo omosessuali in una società che ha seri problemi. A me poco m’importa se io domani posso sposarmi e nel frattempo non ho un lavoro, o l’assistenza sanitaria non ci assiste in casi di seria difficoltà.
Essere gay oggi significa esserlo in un contesto sociale che il movimento deve occupare e di cui si deve impadronire e dire la sua politicamente. Ne abbiamo le capacità, la qualificazione, l’esperienza, e dobbiamo farlo mantenendo chiara la nostra identità e la nostra precisa fisionomia.
Noi difendiamo i diritti delle persone omosessuali, lesbiche, transessuali, bisessuali. Il 17 maggio ricorre la giornata dell’omofobia, non della queerofobia. Perché chi viene buttato fuori di casa e viene pestato sono gay, lesbiche, transessuali, proprio perché hanno il coraggio di fare coming out e dire quello che sono.
Se domani potesse approvare una legge, una sola, a favore del mondo lgbt, quale sarebbe?
Ma sa, io non approverei una legge specifica. Farei semplicemente valere quello che è scritto negli articoli 2 e 3 della nostra Carta Costituzionale: la piena parità dei diritti. Che tutte le persone, quindi, abbiano i medesimi diritti e doveri senza differenza alcuna. Una volta applicati questi assunti costituzionali non ci sarebbe più niente da chiedere, perché avremmo matrimonio paritario, sanità, contrasto all’omofobia. Se solo si applicasse la Costituzione in tutti i suoi punti, gran parte dei nostri problemi sarebbero risolti.