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Samurai e omosessualità: storia dell’antico Giappone gay

- 19/03/2020
samurai gay


Al sentire la parola Samurai, la prima cosa che viene in mente non è qualcosa di vagamente correlato all’omosessualità. Tuttavia, l’amore tra due samurai maschi non era solo ampiamente diffuso nel costume giapponese, ma anche incoraggiato dalla società.

Il rapporto tra i samurai e l’omosessualità è un argomento oggi molto controverso e pochi storici hanno provato ad approfondirlo, sebbene ci siano prove e testimonianze più che sufficienti per ricostruire le vicende di un passato affascinante e – spesso – rinnegato.

Nanshoku, una faccenda per uomini

Sono due i termini usati per riferirsi all’atto sessuale tra maschi nell’antico Giappone: “Nanshoku” 男色 (letteralmente significa “colori maschili“) e Shudō, in giapponese “shudou” 衆道 (abbreviato da wakashudo – “la via dei giovani“), secondo l’influenza delle tradizioni cinesi.

Questi termini iniziarono a comparire nella letteratura antica verso l’XI secolo: come in molte società, solo gli atti sessuali erano considerati omosessuali o eterosessuali, e non le persone che li compivano.

Uno dei primi riferimenti agli atti omosessuali nelle arti letterarie ci è dato da Genji Monogatari (La storia di Genji), scritto proprio all’inizio dell’XI secolo. In una scena una donna viene respinta dal protagonista che invece dorme con suo fratello:

Genji tirò giù il ragazzo accanto a lui. . . Genji, da parte sua, o così ne viene informato, trovò il ragazzo più attraente della sua gelida sorella.

Il racconto di Genji” è un romanzo, ma ci sono anche molti altri diari della stessa epoca che contengono riferimenti ad atti omosessuali. Alcuni di loro menzionano anche imperatori che intrattengono relazioni omosessuali, ciò significa che il nanshoku era decisamente diffuso in tutta la società.

Nonostante il loro affetto per lo stesso sesso, gli uomini giapponesi ovviamente sposavano le donne, anche se i rapporti sessuali col sesso opposto erano considerati più un “dovere” che un piacere estatico.

L’amore saffico, per contro, era ritenuto “destabilizzante” in una società fortemente maschilista come quella del Giappone antico del periodo shōgun, e anche se praticato non vi sono testimonianze che ne riconoscano influenza sociale, né positiva né negativa, se non qualche sporadica illustrazione shunga.

samurai omosessuali
Shunga giapponese raffigurante due uomini

La pratica dello Shudō

Lo Shudō è una tradizione samurai in cui i guerrieri più anziani e più esperti si affiancavano ad apprendisti più giovani. Questa pratica era piuttosto incoraggiata all’interno della classe dei samurai, in quanto ritenuta necessaria per insegnare la virtù e l’onestà ai giovani ragazzi.

E l’amore per le donne? Beh, veniva spesso svalutato, in quanto si considerava avesse un effetto “femminizzante” sui guerrieri.

Il samurai considerava i ragazzi dai 13 ai 19 anni adatti all’amore e spesso (ma non sempre), quando questi diventavano maggiorenni, interrompevano la loro relazione sessuale e continuavano ad essere amici intimi. A sua volta il membro più giovane, ormai Samurai adulto, poteva a sua volta intraprendere nuove relazioni Shudō.

Le relazioni shudo erano formalizzate tipicamente tra un maschio più grande (nenja) e un ragazzo più giovane (wakashû). Il partner più anziano insegnava al più giovane le arti marziali, l’etichetta guerriera e il codice d’onore del samurai. Questa relazione era considerata reciprocamente vantaggiosa, e ci si aspettava che entrambi i partner fossero leali tra loro e si aiutassero nelle loro funzioni.

Lo Shudo ebbe i suoi primi inizi nel periodo Kamakura nel 1200 e raggiunse l’apice nel 1603. In quell’epoca iniziò una nuova era di 250 anni di pace in un Giappone unificato, e la rilevanza sociale del samurai andò lentamente a scemare.

Molte tradizioni del Samurai (in particolare le arti marziali come il judo, il kyudo, il kendo) iniziarono ad essere adottate dal resto della società e il Nanshoku diventò sempre più popolare anche al di fuori della classe dei samurai, specialmente con l’aumento del potere e dell’influenza della classe mercantile, che adottò le pratiche omosessuali nel periodo Edo (1600-1868).

Durante questo periodo gli attori kabuki in viaggio spesso lavoravano anche come prostitute maschili, e spesso si travestivano da donne (come si evidenza nelle stampe erotiche shunga)

Il declino dello Shudō

Lo shudo come “via” iniziò a declinare nel 18° secolo, ma il nanshoku come atto omosessuale continuò a prosperare.

L’amore e il sesso maschili iniziarono a vedere un enorme declino durante la Restaurazione Meiji del 1867, che riconsegnò il potere all’imperatore dopo sette secoli di dominio degli shōgun, i dittatori militari: il Giappone fu costretto ad aprire i suoi confini e soccombere alle influenze occidentali, o più specificamente al cristianesimo, su pressione dei gesuiti.

Tale effetto può essere osservato anche in altre culture e società, come quella greca e romana, ma anche islamica, dove gli atti omosessuali non sono stati sempre puniti.

L’omosessualità è stata per secoli un modo di vivere onorato, stimato e tradizionale per i guerrieri samurai. Lo stile di vita omosessuale era considerato fortemente benefico per i giovani guerrieri che apprendevano la virtù, l’onestà e l’apprezzamento della bellezza, a differenza dell’amore per le donne che veniva incolpato per la femminilizzazione degli uomini, ma ritenuto necessario per mettere al mondo i figli.

shudo samurai
Illustrazione shunga

Riferimenti letterari

Di scritti antichi dedicati all’amore tra uomini ne è piena la tradizione letteraria giapponese, e tra questi segnaliamo Nanshoku ōkagami 男色大鑑 (lett: “Il grande specchio dell’omosessualità maschile”) di Ihara Saikaku, autore del periodo Edo (disponibile in Italia da Frassinelli): un’esaltazione della classe samuraica attraverso l’elogio al sesso tra il nenja e il wakashû.

In mancanza di baldi giovani le donne possono certo soddisfare le voglie di un vecchio funzionario, ma per un uomo nel pieno del vigore fisico non sono buone neanche per fare quattro chiacchiere. Dunque su, non perdiamo altro tempo e varchiamo il cancello dell’irrinunciabile Amore per i ragazzi!”.

Ihara Saikaku, Nanshoku ōkagami

Unillustrazione tratta da Nanshoku ōkagami

Guardando più indietro nel tempo, troviamo le “Storie di Uji” (1212 – 1221) che narrano incontri tra monaci i quali, non avendo la possibilità di contrarre rapporti sessuali con le donne, intraprendevano relazioni coi novizi più giovani, non solo sessuali, ma anche di adorazione, devozione e ammirazione spirituale.

Nel periodo Heian (XI secolo) il già citato Genji monogatari descrive uomini stregati dal fascino di ragazzi più giovani, e nel 1676 Kitamura Kigin scrive i Iwatsutsuji, una raccolta di poesie sull’omosessualità complete di illustrazioni, pubblicata solo un secolo più tardi.

Più recentemente, una figura di riferimento sul tema Giappone e omosessualità è senza dubbio Yukio Mishima, che nel 1949 scrive Confessioni di una maschera, un romanzo dove il giovane protagonista è attratto da uomini molto virili, tanto da scoprire il desiderio omosessuale ammirando il quadro “Il martirio di San Sebastiano” di Guido Reni, e coltivando un desiderio che lo consumerà tanto da corroderlo, turbarlo e portarlo alla repressione. Nel 1963 Mishima si fa ritrarre nella stessa posa di San Sebastiano dal fotografo Eikoh Hosoe.

Nella ricca opera di Mishima, tantissimi romanzi descrivono il mondo dei Samurai e l’amore tra uomini.

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Sono nato in Puglia, terra di ulivi e mare, e oggi mi divido tra la città Eterna e la città Unica che mi ha visto nascere. La scrittura per me è disciplina, bellezza e cultura, per questo nella vita revisiono testi e mi occupo di editing. Su BL Magazine coordino la linea editoriale e mi occupo di raccontare i diritti umani e i diritti lgbt+ nel mondo... e mi distraggo scrivendo di cultura e spettacolo!

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