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Bentornata a casa, Silvia Romano!

- 10/05/2020


Ieri pomeriggio, 9 Maggio, il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha annunciato che Silvia Romano, la cooperante italiana di 24 anni rapita il 20 Novembre del 2018 nel sud est del Kenya, è stata liberata grazie ad un’operazione di intelligence scattata due giorni fa.

E’ stato questo il tweet del Primo Ministro, che è riuscito a dare un sospiro di sollievo a molti di noi. Una notizia che ci fa capire di come c’è un mondo che continua ad andare avanti ed evolversi nonostante la pandemia. C’è vita, oltre la quarantena. Ci sono anche buone notizie, nonostante il Covid.

Silvia, tornata in Italia oggi, 10 Maggio, intorno le 14, era nelle mani di Al Shabaab, un gruppo terroristico che si ispira al jihadismo salafite ed è stata liberata a 30 km da Mogadiscio.

Il Rapimento.

L’ultimo messaggio che la ragazza ha scritto alle sue amiche è stato un “Sto bene” il 18 Novembre 2018, poi più nulla. Nella notte tra il 20 e 21 Novembre, Silvia è stata rapita a Chakama, nel sud est del Kenya da alcuni uomini armati, facendo irruzione nel villaggio in cui la ragazza viveva.

Sono stati gli stessi tre rapitori che al processo hanno confessato come è andata la vicenda: sono stati reclutati da Said Adhan, keniota di etnia somala orma, l’uomo che ha pianificato il sequestro e che dallo scorso gennaio è ricercato. Al momento attuale, nonostante la sospensione del processo a causa Covid, Ibrahim Adhan Omar è stato liberato su cauzione scappato e ora irreperibile; Moses Lwali Chembe è a piede libero per aver pagato la garanzia e Abdullah Gababa Wario è invece l’unico in carcere.

Silvia Romano è stata dunque rapita da criminali comuni che, poi, l’hanno ceduta al gruppo terroristico di Al Shabaabe e portata in Somalia. E’ stata costretta a indossare un niqab” che lascia scoperti solo gli occhi, e sporcarsi di fango le mani per non farla riconoscere per 18 lunghi mesi.

Le indagini.

Secondo un inchiesta condotta dal quotidiano online “Africa Express”, dietro la scomparsa della 24enne ci sarebbero stati gravi carenze delle indagini, dovute anche dalle tante criticità riscontrate.

Basti pensare che, tra le varie tappe ripercorse dall’inchiesta, c’è il periodo in cui Silvia ha pernottato alla guest-house Marigold, nel centro di Mombasa. Silvia avrebbe dormito lì in più occasioni come risulta dai registri, eppure in quella struttura la polizia che si occupa delle indagini non ha mai fatto irruzione nel motel.

“Quando abbiamo saputo del rapimento della ragazza – ha raccontato il figlio della proprietaria della struttura – pensavamo di ricevere la visita di qualche investigatore, ci siamo meravigliati, non è comparso nessuno”.

Sulle ragioni alla base del sequestro c’erano comunque tre ipotesi: ottenere un riscatto; tapparle la bocca su casi di pedofilia a Likoni; mettere a tacere un caso di molestie a Chakama.

La pista della denuncia per pedofilia va ovviamente approfondita, ma l’inchiesta del giornale pensa che sia una possibilità. A gettare ulteriori ombre sulla vicenda è il ritrovamento di un audio WhatsApp in cui Silvia, intorno al 13 Novembre, avrebbe raccontato di essersi recata dalla Polizia per denunciare un uomo, Francis Kalama, per “atteggiamenti equivoci nei confronti di alcune bambine”.

Un ipotesi che verrà naturalmente smentita o confermata dalle future indagini.

La liberazione e la questione della conversione all’Islam.

Il primo segnale di speranza per la liberazione di Silvia Romano c’è stato il 17 Gennaio del 2020, con un video che mostrava la cooperante in buona salute. E’ stato proprio quel video a far capire all’intelligence che la trattativa poteva effettivamente andare a buon fine.

Dopo la diffusione del filmato iniziò subito la fase della negoziazione per il pagamento del riscatto, conclusasi positivamente nella notte di venerdì, grazie anche all’aiuto dei servizi segreti della Turchia e della Somalia.

Silvia viene liberata e viene subito trasferita nell’ambasciata italiana in Somalia ed è qui che quando le chiedono di cambiarsi spiega di essere “una convertita” e che quindi non voleva togliersi l’abito tipico delle donne somale. “Ne parlerò con mia mamma il prima possibile”, ha affermato.

Come giusto che sia.

Già nei mesi scorsi era circolata la notizia che fosse stata costretta a sposare uno dei carcerieri e aderire all’Islam, ma si attende ancora conferma.

Infatti la 24enne sarà oggi stesso ascoltata dai pm della Procura di Roma titolari delle indagini sul sequestro della giovane. In questa sede si avranno maggiori informazioni sul rapimento e si cercherà di capire se la conversione all’Islam di Silvia Romano sia stata una decisione spontanea o meno.

La reazione degli italiani.

Credo che sia necessario spendere due righe sulla reazione scatenata dalla liberazione di Silvia, soprattutto sotto il post della notizia lanciata dal giornale Libero (e non solo).

Appena uscita la notizia, non è purtroppo venuta a mancare la classica shitstorm, riservata per lo più alle donne.

Anche qui, qualsiasi cosa accada ad una donna, più o meno tragica e violenta, la colpa ricade sempre su di lei e non su chi commette l’atto di violenza.

Quando una donna fa qualcosa che non rientra nello stereotipo imposto dal patriarcato è subito messa alla gogna con hate speech, prevalentemente online, dove il “se l’è andata a cercare” prevale su tutto, scadendo nel qualunquismo e il becero benaltrismo.

Eppure non ci rendiamo conto di come questa notizia sia meravigliosa, su più fronti. Non solo il fatto che una ragazza, nonostante 18 mesi di prigionia (e noi sappiamo bene che in un rapimento il nemico più pericoloso è lo scorrere del tempo, che usura inevitabilmente ogni speranza) sia stata liberata e che sta bene, ma che oltre a questa pandemia c’è un mondo che continua ad andare avanti. Oltre alle nostre 4 mura di casa, ormai a noi affini a causa dell’isolamento forzato, c’è un orizzonte più vasto, lontano. Ci fa capire di come il nostro sguardo si sia accorciato, allenato ormai al metro di distanza dall’altro, per paura di essere infettati, dimenticandoci di cosa succede fuori.

Non esiste solo il Covid.

Iniziamo a conviverci, con buon senso, senza dimenticarci che ci sono mille realtà che continuano ad andare avanti e che spesso possono portarci anche belle notizie.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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