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Cosa nostra: dalle faide tra famiglie agli esiti della prima guerra di mafia

- 15/05/2020


Durante il fascismo la mafia siciliana aveva perso una battaglia, a causa dell’azione repressiva intrapresa dal prefetto Mori, ma non era disposta a perdere la guerra e dover abbandonare il campo.

La posta in gioco, in termini di capitale sociale ed economico, era troppo alta. La sua ripresa fu rapida e i cambiamenti interni all’organizzazione, avvenuti tra il 1946 e gli anni ’60, porteranno allo sfociare della prima guerra di mafia.

Il dominio Greco

Subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, iniziarono a circolare per la prima volta i nomi di affiliati destinati a trasformare le loro famiglie di sangue in dinastie mafiose, come nel caso di Michele Greco, di Croceverde Giardini, che partecipò, poco più che ventenne, a una faida con dei lontani parenti – con lo stesso cognome – di Ciaculli, paese affacciato sul mare in una collina a est di Palermo.

Il gruppo capeggiato dal padre di Greco fece passare l’ondata di violenza come un desiderio di vendetta per una disputa verificatasi anni prima quando in realtà fu strumentale al tentativo di assumere il controllo dell’intero territorio, conquistato nel ’47.

Giuliano e la Strage di Portella della Ginestra

Se nella zona di Giardini-Ciaculli la calma tornò con la vittoria dei Greco, nel restante territorio di Palermo si dovette aspettare la morte di un famoso bandito, Salvatore Giuliano, avvenuta in circostanze misteriose nell’estate 1950. Capo di una banda armata, il suo nome sarà per sempre legato alla strage di Portella della Ginestra. “La carneficina durò un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. Era il Primo Maggio 1947 e si era appena compiuta la prima strage di Stato […] Che a sparare erano stati gli uomini di Salvatore Giuliano, gli italiani lo scopriranno solo quattro mesi dopo.” Diversi i motivi per cui venne compiuto il fatto: l’avversione nei confronti dei comunisti, la volontà dell’autonomismo siciliano, di alcuni politici italiani e dei mafiosi, che per assicurarsi che la verità non sarebbe mai venuta fuori, avvelenarono nel carcere palermitano dell’Ucciardone anche il cugino e traditore di Giuliano, Gaspare Pisciotta.

Renato Guttuso – Portella della Ginestra

Il Sacco di Palermo

Tra i numerosi cambiamenti di quegli anni, oltre al fatto che il gruppo criminale cominciò a riferirsi a se stesso come Cosa nostra, senza lasciare mai tracce scritte, per cui senza dare sicurezza da dove uscì questo nuovo nome, vi fu il cosiddetto Sacco di Palermo, il boom edilizio avvenuto tra gli anni ’50 e ’60, che stravolse l’aspetto della città eliminando ogni traccia dello stile Liberty presente.

Tutto ciò, non sarebbe stato possibile grazie ai due consiglieri comunali di Democrazia Cristiana Vito Ciancimino e Salvo Lima, che verrà ucciso nel marzo del ’92, inaugurando il biennio di stragi con cui Cosa nostra dichiarò guerra alla Stato. Ciancimino invece, nello stesso anno, sarà il primo uomo politico condannato sulla base di accuse di collaborazione con la mafia.

La prima guerra di mafia

Palermo non fece parlare di sé solamente per l’uso sconsiderato del cemento, ma per anche per essere stato il teatro della prima guerra di mafia, la lotta tra la “vecchia” e “nuova” Cosa nostra, in cui emergeva Angelo La Barbera, capo di Palermo Centro che stava acquistando autorità per via della sua spregiudicatezza e per l’importante ruolo svolto nel sacco della città, coltivando buoni rapporti di lavoro con l’onorevole Lima.

Secondo le testimonianze di Buscetta, collaboratore di giustizia durante le inchieste coordinate da Giovanni Falcone, La Barbera voleva risolvere questioni d’onore rimaste in sospeso con altri mafiosi ma soprattutto escludere il boss Michele Cavataio e i suoi associati dalla Commissione, per il divieto di congiungere in una sola persona il ruolo di capo della cosca di appartenenza a quella di capomandamento – punto di riferimento per tre famiglie confinanti tra loro.

Iniziata con l’uccisione di un affiliato del clan Noce e la violenza nei confronti di altri membri il 26 dicembre 1962 , continuata con sparatorie, inseguimenti e omicidi all’ordine del giorno, la guerra si concluse con la strage di Ciaculli del 30 giugno 1963, dove persero la vita sette uomini delle forze dell’ordine, al lavoro per cercare di disinnescare una bomba destinata a Salvatore Greco e Giovanni Di Peri.

La settimana successiva la prima Commissione Parlamentare Antimafia iniziava a lavorare, con la prima inchiesta ufficiale sulla mafia dopo il 1875, in cui si erano indagate le condizioni economiche e sociali dell’isola e anno in cui alla camera si affermava: “la mafia che esiste in Sicilia non è pericolosa, non è invincibile di per sé, ma perché è strumento di governo locale”.

Nei mesi successivi vennero arrestate duemila persone, sospette di avere legami con Cosa Nostra, e sequestrata un’ingente quantità di armi mentre la commissione mafiosa decise di sciogliersi e alcune cosche sospesero le proprie attività illecite. Sembrò che le famiglie di Cosa nostra avessero i giorni contati. Nel 1965 fu approvata la legge che prevedeva il soggiorno obbligato per i sospetti mafiosi. Le principali famiglie vennero così sciolte.

Illustrazione quotidiano L’Ora di Palermo

I protagonisti della prima guerra di mafia vennero giudicati nel ’68, primo processo per mafia celebrato nella palestra di una scuola a Catanzaro, ma la sentenza di condanne pesanti vi fu solo per pochi imputati: la maggior parte venne assolta per insufficienza di prove o condannati a pene brevi, già scontate durante il periodo in cui avevano aspettato il verdetto in stato di detenzione.

La Corte d’Assise tenne distinto il concetto di mafia da quello di associazione per delinquere. Secondo i rapporti giudiziari di Carlo Alberto Dalla Chiesa e Boris Giuliano, l’effetto fu da un lato conferire più rinnovato prestigio ed autorità a quanti ne erano usciti indenni e dall’altro l’incremento di sfiducia dell’opinione pubblica.

Nei mesi successivi venne ricostruito anche l’ordine direttivo di Cosa nostra, lo stesso che negli anni a seguire approverà le più brutali stragi di mafia che il nostro paese ha subito.

Fonti: Luciano Violante, Il ciclo mafioso, Editori Laterza, 2004; John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Editori Laterza, 2015; Antimafiaduemila, Centro Impastato.

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Marchigiana a Torino. Compro più libri di quanti ne possa leggere.

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