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DOGMAN (2018)

- 29/05/2018


In una periferia in puro stato di degrado, Marcello è un piccolo uomo dall’aspetto inoffensivo e un animo quieto.
Le sue giornate sono piene dell’amore che riversa verso sua figlia e verso i cani che accoglie nel suo piccolo salone di tolettatura.
Come molti nel quartiere, Marcello vive succube della prepotenza di Simoncino, ex pugile che “detta legge” tra violenza e terrore.
Dopo l’ennesima offesa subita che porterà a gravi conseguenze, Marcello decide di reagire.

Ispirato a un terribile fatto di cronaca nera –  il “delitto del Canaro” avvenuto nel 1988 a Roma – il nuovo film di Matteo Garrone ci porta a confrontarci con la realtà di una società impotente destinata a soccombere tra brutture culturali e (dis)umane.
Una delle prime scene ci mostra l’interno del piccolo salone di Marcello, dove l’abbaiare e ringhiare di un possente pitbull spaventa e agita gli altri cani in gabbia: metafora delle vite imprigionate nel loro status di vittime consenzienti dove vige la legge del più forte.
Ma anche il cane più mite, se stuzzicato, andrà a mordere, prima o poi.
Ed è quello che accade al mite Marcello.
L’uomo minuto, dalla corporatura quasi gracile ma nervosa, vive ai margini di questa piccola cittadina che sembra destinata a sprofondare nel mare vicino.
Anche quando arriverà a vincere un terzo premio in un concorso di cani, Marcello guarderà dal basso del suo gradino alla vittoria del migliore, riconoscendone il valore e il potere dell’altro sul suo lavoro più modesto: egli accetta la sua condizione di “perdente”.
Anche quando perderà tutto e non troverà neppure un briciolo di solidarietà da parte degli “amici” del quartiere; anche quando porterà a termine la sua vendetta,  egli – al pari di un cane cacciato dal padrone – tornerà con la speranza di essere riaccettato esibendo il suo delitto, come un bravo cane riporta l’osso al padrone.

C’è tanta insostenibile sofferenza trattenuta e tanta violenza che implode ed esplode a pochi centimentri dalla telecamera (splendida e crudele la fotografia di Nicolaj Bruel) che fa male al cuore.
Eppure Garrone e la sua regia impeccabile ha il merito di rispettare quel poco di umanità e di dignità rimasta nello sguardo del protagonista così come delle altre “vittime”in questo dipinto di un inferno in terra, evitando di scavare nei risvolti più torbidi di questo fatto di cronaca: il regista si discosta volutamente e fin da subito dal materiale reale e preferisce guardare metaforicamente alla condizione di esseri umani che sono al pari delle bestie che si azzannano l’una con l’altra per procacciarsi del cibo e difendere il proprio territorio, dove solo le vere “bestie” – i cani – sono trattati con rispetto e con le dovute attenzioni e cure.

L’interpretazione misurata e ricca di sfumature di Marcello Fonte è sorprendente e non a caso è stato recentemente premiato al Festival di Cannes come Miglior Attore proprio da Roberto Benigni che nella prima stesura del film di Garrone doveva essere lui a interpretare questo ruolo.
Altrettanto incisiva e feroce è stata la prova attoriale di un irriconoscibile Edoardo Pesce nei panni del temuto Simoncino.

Un film profondamente nero in cui non vi è alcuna speranza di redenzione, nessuno spiraglio di luce
( se non i brevi attimi in cui vediamo Marcello in compagnia della sua amata figlia  ) che si chiude sotto un’alba grigia dopo un violento temporale. Ma la pioggia che precipita sulle esistenze di questo quartiere non può lavare via le colpe e le conseguenze delle azioni di questi uomini dannati.
Resta solo il fango e un parco giochi in disuso, giacché l’innocenza è ormai solo un lontano ricordo.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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