La Regione Umbria viaggia in direzione ostinata e contraria rispetto all’autodeterminazione delle donne. Per iniziativa dell’Assessore alla Sanità Luca Coletto, della giunta a trazione leghista guidata da Donatella Tesei, sarà abrogata la delibera regionale approvata nel dicembre 2018 che disponeva il regime di Day Ospital per il servizio dell’interruzione volontaria farmacologica della gravidanza.
Le donne umbre che vorranno usufruire della pillola abortiva, commercializzata in Italia dal 2009 e conosciuta come RU486, dovranno sottoporsi al classico ricovero ospedaliero di tre giorni, vanificando per forza di cose l’utilizzo del metodo meno invasivo per l’interruzione di gravidanza.
Pillon: Difesi i diritti delle donne
Esulta la Lega: Il senatore Simone Pillon, commissario della Lega di Perugia tristemente famoso per le sue bordate contro la comunità lgbt, che ha espresso apprezzamento verso la decisione di Palazzo Donini: “Da oggi gli interventi dovranno essere effettuati, come previsto dalla legge, in regime di ricovero ospedaliero, evitando che la donna sia di fatto lasciata completamente sola anche davanti a eventuali rischi, come emorragie, infezioni o altre gravi complicanze. Con buona pace della sinistra che, brava solo a parole a difendere i diritti delle donne, si è opposta fino alla fine, preferendo anteporre le ideologie alle reali esigenze della salute femminile”.
Come funziona la RU486?
Stando ai fatti, però, la mossa della Lega cela dietro le buone intenzioni una precisa azione di boicottaggio nei confronti di una più agevole applicazione della legge 194/78 a favore delle donne.
Negando alle donne la possibilità di scegliere il metodo meno invasivo, e imponendo un ricovero di tre giorni – come d’altronde da linee guida disposte dal Ministero della Salute nel 2010 derogate da alcune regioni – si rende sempre più difficile l’accesso all’aborto farmacologico in un periodo di emergenza sanitaria e in una regione in cui 7 medici su 10 scelgono l’obiezione di coscienza (dati 2017), con un consistente aggravio di costi per il sistema sanitario e facendo i conti con una sempre maggiore carenza di posti letto negli ospedali, soprattutto in tempi di pandemia.
Le regioni che derogano alle linee di indirizzo del Ministero della Salute e prevedono il Day Hospital per l’Igv farmacologica sono 7: Piemonte, Toscana, Puglia, Lazio, Liguria, Lombardia, e l’apripista Emilia Romagna.
Secondo il Ministero la Ru486 può essere assunta entro 7 settimane dal concepimento, due in meno di quelle previste nel resto d’Europa.
Aborto farmacologico: quanto è utilizzato?
Secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute, l’Italia è ben sotto la media europea in tema di Ivg farmacologica: solo il 17,8% (dati 2017) del totale delle interruzioni di gravidanza avvengono con la pillola abortiva, che invece viene scelta dal 66% delle donne in Francia e dal 95-98% delle donne svedesi e finlandesi.
In Italia sembra invece che l’applicazione della legge 194 sia costantemente messa alla prova da un sistema lento e macchinoso, che vede le donne essere le colpevoli destinatarie di una legge da sempre molto scomoda per l’ala cattolica del paese. In Umbria solo il 5% delle donne sceglie la somministrazione della Ru486, e l’attesa per gli interventi chirurgici si aggira intorno alle tre settimane per la carenza delle strutture (in particolare, si offrono alle donne solo 3 Ivg chirurgiche a Terni e 5 a Perugia) e, ovviamente, di medici non obiettori.
A questo punto verrebbe da chiedersi se esiste davvero un pericolo reale legato all’utilizzo della Ru-486, e se questo è davvero diffuso.
In italia si registra un solo caso di decesso, relativo al 2014 all’Ospedale di Torino, per fibrillazione ventricolare associata alla somministrazione della Ru486. Secondo i dati pubblicati dalla FDA americana, dal 2000 al 2018 negli Stati Uniti si è registrata una media di 233 casi avversi annui dovuti alla pillola abortiva e 22 decessi.
Tuttavia, la RU486 garantisce un’efficacia pari al 95% dei casi, non richiede anestesia e protegge la donna dai rischi associati ad un aborto chirurgico come traumi al collo dell’utero, rischio di sterilità e gravidanza extrauterina.
Nel 2011 le donne che sceglievano le dimissioni volontarie dal ricovero ospedaliero a seguito dell’adozione della Ru486 erano il 76% del totale. Secondo i dati delle Associazioni delle donne intervistate da Umbria24, questo dato oggi sarebbe salito al 95%.