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Paolo Borsellino, il magistrato lasciato solo a combattere Cosa Nostra

- 19/07/2020


Il 20 luglio 1992 il Corriere della Sera scriveva in prima pagina “ La mafia e chi se ne serve hanno ucciso Paolo Borsellino.” Ventotto anni dopo non si è ancora in grado di poter affermare con certezza l’entità del chi se ne serve, nonostante diversi processi collegati alla strage e all’avvenuto depistaggio delle indagini iniziato con la scomparsa dell’agenda rossa del magistrato.

Cinquantasette giorni dopo la morte di Giovanni Falcone, l’Italia piangeva la tragica scomparsa di un altro uomo che aveva speso la sua vita al servizio dello Stato nella lotta alla mafia e insieme a lui cinque dei suoi agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, la prima donna a far parte di una scorta e a morire in servizio, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.

Nato e cresciuto nel quartiere Kalsa di Palermo, antico quartiere di origine araba, dove conobbe il futuro collega Falcone durante una partita di calcio in oratorio, Paolo Borsellino si laureò a pieni voti in giurisprudenza e nel 1963 superò il concorso per entrare in magistratura diventando il più giovane magistrato d’Italia a ventitré anni.

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Dopo aver lavorato ad Enna e Monreale, nel 1975 venne trasferito nel tribunale della sua città iniziando a lavorare insieme al capitano Basile, con cui portò avanti le indagini avviate da Boris Giuliano – assassinato nel luglio 1979 da Leoluca Bagarella – sul rapporto tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille. L’anno successivo venne ucciso anche il capitano e dal quel momento gli fu assegnata la scorta che lo accompagnerà per il resto della sua vita.

All’inizio degli anni ottanta, mentre in città era in corso la seconda guerra di mafia, presso il tribunale di Palermo,  Antonino Caponnetto istituì il Pool Antimafia, composto dai magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, indispensabile per avere una dimensione unitaria del fenomeno mafioso e tutelare coloro che vi lavoravano riducendo i rischi dei singoli. Insieme al collega Falcone, Borsellino sarà l’autore dell’ordinanza-sentenza di ottomila pagine che rinviò a giudizio 475 indagati, protagonisti del Maxiprocesso.

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Nel dicembre 1986 Paolo Borsellino venne nominato Procuratore della Repubblica di Marsala, nomina che non seguì il canonico criterio dell’anzianità di servizio. Un mese dopo, Leonardo Sciascia innescò sul Corriere della Sera una polemica sui Professionisti dell’Antimafia: “nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso.” Il redattore dell’epoca Riccardo Chiaberge, durante un’intervista rilasciata nel dicembre 2004, affermò di essersi pentito di aver approvato quel titolo per l’articolo dello scrittore siciliano, poiché divenne lo slogan più utilizzato per screditare i magistrati del famoso pool in ambienti politici e giudiziari.

Nell’anno che cambiò la storia del nostro paese e della lotta alla mafia, nei suoi ultimi mesi di vita, Borsellino tornò a lavorare a Palermo, come procurante aggiunto, e dal giorno dopo la Strage di Capaci, il magistrato si gettò a capofitto nelle indagini per scoprire la verità su quanto accaduto con la consapevolezza che il tempo a disposizione era poco perché lui sarebbe stato il prossimo. Nel momento in cui più serviva essere uniti, Borsellino si ritrovò solo, a lavorare in un tribunale in cui non poteva più fidarsi dei suoi colleghi e in cui nessuno voleva più stargli vicino.

In quei famosi cinquantasette giorni Paolo Borsellino implorò di essere ascoltato ma non si trovò tempo, lo ha ricordato ieri (18 luglio 2020) il legame dei familiari del magistrato,l’avvocato Fabio Trizzino, intervenuto come parte civile nel processo in corso davanti la corte d’Assise di Caltanissetta, in cui è stato chiesto l’ergastolo per il super latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandati delle stragi del ’92.

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“L’ultimo mese di vita lo trascorse quasi in solitudine. […] Era evidentissimo che aveva premura di sistemare alcune cose. […] Paolo era assolutamente cosciente del pericolo che correva”, pericolo che divenne realtà alle 16.58 del 19 luglio, quando una Fiat 126 parcheggiata fuori dalla casa della madre del magistrato esplose nel momento in cui Borsellino suonò il citofono.

Il 19 luglio 1992 la mafia e chi se ne serve hanno ucciso Paolo Borsellino, il magistrato rimasto da solo, in prima linea, nella lotta alla mafia.

Fonti: Corriere della sera, Wikimafia, Archivio Antimafia, Direfarescrivere, Agi, Francesco Viviano, Alessandra Ziniti, Visti da vicino. Falcone e Borsellino gli uomini e gli eroi, Aliberti editore, 2012.

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