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SEVEN _ Lo sporco e intramontabile cult di David Fincher (recensione)

- 24/11/2020
SEVEN di David Fincher (1995)


Era il 1995 e si era vicini a Natale quando SEVEN di David Fincher veniva distribuito nelle sale. Un thriller che ha fatto scuola e che è ancora oggi uno dei migliori nel suo genere con un finale che nessuno può dimenticare.

In una città senza nome, sotto un cielo quasi sempre plumbeo e piovoso, un serial killer miete vittime, una dopo l’altra, senza alcuna connessione tra loro, non fosse che si sono macchiate in vita di un vizio capitale. Quello stesso vizio si ritorce contro ad opera di un assassino metodico e folle. Due agenti scendono in campo a indagare: il prossimo alla pensione William Somerset, saggio ed esasperato dalla violenza che serpeggia ormai ovunque; e il giovane e impulsivo David Mills. Ma i due poliziotti non hanno idea dell’orrore che li travolgerà.

Brad Pitt e Morgan Freeman sono i due protagonisti del film SE7EN di David Fincher (1995)

David Fincher, reduce dalla pessima esperienza vissuta sul set di ALIEN 3 (suo esordio alla regia di un film per il grande schermo), si innamorò dello script di SEVEN e si ostinò perché nulla fosse cambiato, neppure il tragico e pessimista finale. La produzione si oppose, preferendo una chiusura più speranzosa, ma regista e attori (i due protagonisti, Morgan Freeman e Brad Pitt) minacciarono di abbandonare il progetto. Ma questa è ormai storia…

David Fincher si impose all’attenzione di Hollywood grazie alla sua grande immaginazione e alla direzione sicura e personale della macchina da presa, lavorando per decenni nel mondo dei videoclip: non tutti sanno che egli ha diretto videoclip oggi considerati pietre miliari come EXPRESS YOURSELF (1989) e VOGUE (1990) di Madonna.

Ma è con SEVEN che egli dimostrò di essere uno dei più originali e interessanti registi della sua generazione che avrebbe reso ogni sua pellicola successiva personale e quindi riconoscibile: FIGHT CLUB (1999), ZODIAC (2007), THE SOCIAL NETWORK (2010) e GONE GIRL (2014) solo per citarne alcuni, fino all’avvento nelle serie come HOUSE OF CARDS e MINDHUNTER.

Il film è una svolta epocale nel panorama del genere thriller e l’opera di Fincher avrebbe influenzato e non poco i film a venire.

Lo script di Andrew Kevin Walker era materiale incendiario, di una crudezza e un cinismo quasi insostenibile, eppure di un fascino malsano.
La storia non si crogiola mai nella messinscena dei delitti, noi assistiamo sconvolti e increduli alle conseguenze di cui vediamo quasi sempre solo dettagli. Fincher decide quindi di dare un taglio preciso al suo film e prima di tutto era importante che la fotografia immergesse lo spettatore dentro l’orrore.

SEVEN di David Fincher nle 1996 è stato candidato agli Oscar per il Miglior Montaggio

Il direttore della fotografia Khondj, sotto precise indicazioni del regista, doveva guardare ai noir degli anni ’40 (a loro volta ispirati all’espressionismo tedesco) per trasmettere quella stessa insicurezza e pessimismo che attraversava la società statunitense nel dopoguerra.
La fotografia di SEVEN si sposa perfettamente poi con la scelta del regista di non mostrare mai chiari riferimenti della città in cui il film è girato. La città non è mai vista per intero e le inquadrature urbane, nella parte superiore sono quasi sempre tagliate, accentuando nello spettatore un senso di smarrimento e di claustrofobia.

LA RIVOLUZIONE DEI TITOLI DI TESTA E IL FINALE PROIBITO

Uno degli elementi più innovativi del film di Fincher sono i titoli di testa (opening credits) tanto da essere citati in non pochi testi cinematografici e che il New York Times definì “Una delle più importanti innovazioni del design degli anni ’90”.


Sotto chiare direttive dello stesso Fincher, il giovane designer Kyle Cooper ci impiegò due giorni di ripresa e cinque settimane di montaggio. I titoli di apertura dovevano rappresentare una sorta di invito nella psiche del serial killer. La fotografia sporca e instabile presenta in soli due minuti un centinaio di inquadrature con fotogrammi ora graffiati e ora sfuocati che celano una propria narrazione e presentano elementi che saranno poi rintracciabili nel corso del film stesso.

Ma ciò che non può essere dimenticato è lo sconvolgente finale che fa precipitare il film dalle già malsane ambientazioni thriller in un vero e proprio horror, sebbene non sia versata neppure una goccia di sangue.
(Tranquilli, nessuno spoiler in merito!).

Gli ultimi venti minuti vedono confrontarsi i due poliziotti (un bravissimo e misurato Morgan Freeman e un acerbo e nervoso, ma già bravo Brad Pitt) col serial killer John Doe (un immenso Kevin Spacey). Come dicevamo i produttori si sono battuti perché il film già così cupo si chiudesse con un minimo di speranza, ma Fincher non volle sentire ragioni e accettò soltanto che il personaggio di Freeman pronunciasse e commentasse una frase di Hemingway sul finale “Il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso. Condivido la seconda parte.” Una magra consolazione che lascia solo un grande senso di amarezza e sconforto.

In definitiva SEVEN resta una pietra miliare del cinema degli anni ’90 la cui potenza visiva è ancora indiscutibile, merito di una regia solida e innovativa, di uno script perfetto e di un cast ispirato. Un film che deve essere visto almeno una volta nella vita e che ci ha presentato uno dei registi più interessanti del nostro secolo.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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