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IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO di Lina Wertmüller recensito dalla 5^ A della Scuola “Giuseppe Ungaretti” di Vimercate

- 10/12/2020
Io speriamo che me la cavo


In occasione del 10 Days of Human Righs, la nostra testata ha aggiunto all’annuale maratona sui diritti umani, un progetto in collaborazione con la Scuola Senza Zaino “Giuseppe Ungaretti” dell’Istituto Comprensivo “Don Milani” di Vimercate.

A tal proposito, il caporedattore di BL CINEMA, Italo Sanna, ci ha gentilmente concesso di redigere questo articolo in maniera corale. Infatti è stato scritto dalle alunne e dagli alunni della classe 5^ A che hanno partecipato ad un vero e proprio cineforum con tanto di discussione finale e redazione dei pensieri e delle idee che sono nate dopo la visione del film.

Trama

a cura di Vincenzo, Iago e Mirko

Il film che abbiamo visto si intitola Io speriamo che me la cavo. Il nostro maestro ci aveva letto in classe diversi capitoli del libro da cui hanno preso spunto per questo film che si intitola appunto: Io speriamo che me la cavo. È un film molto vecchio. Lo hanno girato nel 1992. La regista è una femmina. Questa signora dagli occhiali bianchi si chiama Lina Wertmüller. La nostra compagna di classe Miriam ci tiene a sottolineare che un film così bello e simpatico lo poteva fare solo una donna. Può essere vero, ma non ne siamo del tutto sicuri. Il protagonista è l’attore Paolo Villaggio. Per noi è un idolo in quanto è lo stesso attore di Fantozzi che ci fa ridere a crepapelle sempre.

Il maestro elementare Marco Tullio Sperelli viene trasferito per errore alla scuola De Amicis di Corzano, diroccato comune del napoletano, anziché a Corsano in Liguria. Probabilmente all’ufficio scolastico dell’assegnazione dei maestri e delle maestre, chi doveva mandarlo a Corsano aveva dei problemi nel distinguere la “s” con la “z”. Roba da prima elementare…

Appena arriva il maestro trova in aula solo tre alunni. Chiede loro dove sia il resto della classe e loro gli spiegano che sono tutti a lavorare. Allora lui esce e va a recuperare tutti i bambini e le bambine. La cosa strana è che anche il Sindaco del paese usa un bambino come barbiere.

La cosa più strana è la Direttrice che non c’è mai e fa finta di niente. Chi comanda a Scuola è il bidello che mette in vendita i gessetti, i fogli e addirittura la carta igienica venduta a strappi. Il maestro viene ospitato da una famiglia del paese. Li c’è una signora con evidenti problemi di memoria che gli chiede sempre di comprare le mozzarelle.

Mentre con grande fatica cerca di svolgere il suo mestiere, un giorno entra in classe un bambino con l’aspetto da camorrista, Raffaele, che aggredisce verbalmente il maestro, che a sua volta si arrabbia tirandogli uno schiaffo: disgustato dal suo stesso gesto, che però gli porta il rispetto degli alunni. Il Maestro Sperelli decide di non tornare a scuola fino al suo trasferimento, ma la sera stessa la madre di Raffaele gli va a parlare pregandolo di tornare a scuola e togliere il figlio dalla strada. Il maestro decide quindi di mandare una lettera al ministero per revocare la richiesta di trasferimento e restare a Corzano perché ormai ha preso a cuore i suoi alunni.

Prima delle vacanze di Pasqua il maestro decide di portare la classe in gita alla Reggia di Caserta ma la sera, tornati a scuola, riceve la lettera con cui gli viene comunicato il suo ritorno in Liguria. Quella stessa notte la madre di Raffaele ha una colica renale ma gli ospedali non hanno ambulanze disponibili, i privati pretendono cifre altissime e il maestro ha la macchina fuori uso (a causa dello stesso Raffaele, che si è così vendicato per il fatto che Sperelli lo aveva costretto ad ammettere davanti a tutti la sua volontà di partecipare alla gita). Raffaele ottiene un passaggio da un suo amico contrabbandiere, ma una volta arrivati all’ospedale si trovano davanti al caos: il maestro, pertanto, è costretto a fare a pugni con una suora altissima che comandava il pronto soccorso per costringerla a fare l’iniezione alla madre di Raffaele.

Il giorno successivo Sperelli riparte: alla stazione la classe lo saluta e Raffaele gli consegna un tema sulla sua parabola preferita che il maestro leggerà in viaggio e che finisce con la frase “Io speriamo che me la cavo“.

CIAO, PROFESSORE! (aka IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO), Paolo Villaggio, (center), director Lina Wertmuller, (right), 1992, ©Miramax

Considerazioni personali

Giacomo: “Il film mi ha fatto molto ridere, però i bambini devono avere il diritto di andare a scuola e di non lavorare perchè, altrimenti è sfruttamento minorile”.

Carotta: “A me il film è piaciuto perchè era divertente ma speravo che finisse un po’ meglio e che il professore si sarebbe fermato lì ad insegnare!”

Andrea P. : “Penso che sia un ottimo film però se uno non conosce il dialetto ne perde il senso”

Emanuele: “Mi ha fatto capire che, nella vita, se vuoi fare qualcosa di bello, devi fare la scuola… e ci puoi trovare anche gli amici!”

Andrea M. “ Mi è piaciuto molto il film: era buffo e triste allo stesso tempo!”

Iago: Questo film mi è piaciuto perchè alcune scene mi hanno fatto sorridere, ma, soprattutto, perchè trovo molto importante il messaggio che vuole trasmettere e cioè l’importanza di imparare e cogliere tutte le opportunità della scuola”

Denis: “A me è piaciuto molto: trovo ingiusto che i bambini debbano lavorare… è meglio la scuola!”

Sofia C.: “A me è piaciuta la battuta che i bambini dissero al maestro “Statt zitt ca stamm derubann” perchè mi ricorda come parlava il mio maestro di qualche anno fa!”

Andrea G. “Io suggerirei di farlo vedere ai Vandali perchè vedrebbero cosa succede e secondo me è bello e molto educativo”

Filippo: “E’ un film spassoso, però fa anche riflettere su tante cose: i bambini che devono lavorare, il bambino ciccione che non si riesce a controllare e la preside che fa tutto tranne il suo lavoro!”

Sofia P. “Il film mi ha divertito molto e mi è piaciuto ma è triste pensare che dei bambini debbano lavorare anziché andare a scuola”

Davide: “Ho avuto molta difficoltà a comprendere tutte le battute, ma il protagonista, il maestro, parlava anche solo con gli occhi: bello!”

Miriam: “E’ stato molto bello perchè era divertente ma si trattava di una storia triste. Infatti lo hanno fatto molto bene”.

Edoardo: “Non potevano andare a scuola perchè non c’erano gli insegnanti e in quel posto c’era la “cultura” di far lavorare anche i bambini. Inoltre, non andando a scuola conoscevano troppe poche parole e usavano solo un linguaggio volgare”

Viola: “ Il film mi ha fatto ridere, però, è vero, i bambini e le bambine non devono assolutamente lavorare!”

Adrian: “Era un bel film ma un pochino triste. Mi è piaciuto molto anche se era un po’ volgare… mi ha fatto riflettere su che csa succede se la scuola non c’è più o se nessuno crede che la scuola sia utile”

Aida: “ Per me questo film era molto comico ma era soprattutto tragico perchè nessun bambino ha voglia di studiare perchè deve mantenere la sua famiglia”

Vincenzo: “ I bambini parlano dicendo molte parolacce perchè non sono mai andati a scuola fino a quel momento e quindi non imparavano nuove parole”

Simone:” I bambini non potevano andare a scuola perchè non c’erano maestri e dovevano lavorare…terribile!”

Mirko: “Secondo me il film, per essere stato fatto nel 1992, è bello… però, adesso, con le immagini più definite può risultare brutto. Ho capito quale messaggio voleva dare la regista!”

Curiosità

A differenza del libro da cui il film è tratto, la pellicola non è ambientata ad Arzano, per ragioni di diritti d’autore, bensì nell’immaginario paesino di Corzano. Inizialmente la scelta dell’ambientazione del film era caduta sulla stessa città di Napoli ma, non appena la troupe giunse nel capoluogo campano, fu avvicinata da alcuni personaggi vicini agli ambienti della malavita che pretesero il 10% del budget del film per permetterle di svolgervi le riprese[1], cosa che spinse dunque la regista a spostare la location.

La scelta ricadde su Taranto, più precisamente nel suo borgo antico, oltre ad altre location come: Tivoli (nella scena dell’ospedale), Caserta presso la famosa Reggia, San Giorgio a Cremano nel napoletano, Altamura e Corato nel barese; Paolo Villaggio, infatti, all’inizio del film, s’affaccia sul panorama della Taranto Vecchia (nella sequenza d’apertura del film viene pure ripresa da corso Vittorio Emanuele II la fabbrica dell’ILVA), pur essendo, dal punto di vista narrativo, ancora ambientato in Campania.

L’averlo girato perlopiù in una località di mare, permise alla regista di inserire tale elemento nel film, cosa però del tutto assente nel libro, visto e considerato che Arzano è situato nell’entroterra napoletano, a pochi chilometri a nord dello stesso capoluogo.

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