Alessandro Cannavale è un “uomo del sud”, e come tale ha incamerato tutte le virtù di una terra che Giustino Fortunato, meridionalista d’inizio novecento, definì con amarezza “uno sfasciume pendulo sul mare”.
Nato a Bari nel 1977, ingegnere, ricercatore universitario, si occupa di nanotecnologie per l’efficienza energetica a Lecce, e cura un seguitissimo blog su blog su ilfattoquotidiano.it .
È una mente agile e appassionata quella di Alessandro, che ha deciso di restare al sud in un momento storico in cui le risorse umane più qualificate sono costrette a fare la valigia per essere valorizzate altrove, per rimanere al servizio di questo sud propositivo, costruttivo, e di raccogliere delle testimonianze inedite in un saggio scritto con Andrea Leccese, “A me piace il sud” (Armando Editore), come recita una vecchia canzone di Rino Gaetano.
Ad esempio a me piace la strada
Col verde bruciato, magari sul tardi
Macchie più scure senza rugiada
Coi fichi d’India e le spine dei cardi
Noi di BL Magazine abbiamo raggiunto telefonicamente Alessandro Cannavale per saperne di più.
Possiamo definire “A me piace il sud” un libro sulla questione meridionale senza rischiare di essere riduttivi?
Non è una definizione riduttiva perché l’idea è quella, come denunciato dalla copertina, di parlare di questione meridionale in un modo diverso. Non è un saggio in senso stretto ma un’occasione per interrogare persone esperte su alcuni temi della questione meridionale. È un libro che non si limita ad analizzare i problemi del meridione ma li affronta e cerca di avanzare qualche proposta.
Una delle macrotematiche del libro è l’ambiente, in particolare si dà spazio alla minaccia che incombe sul nostro mare Adriatico per le trivelle. Qual è il suo parere a riguardo?
Tra le persone intervistate c’è la ricercatrice italiana in California Maria Rita D’Orsogna, che è una delle persone più attive, da anni, nella battaglia dei comitati NO TRIV. Personalmente sono contrario a questa iniziativa, da convinto assertore della necessità di esplorare nuove forme di approvvigionamento energetico. Il mare Adriatico è anche molto contenuto nelle dimensioni e uno sversamento di petrolio in mare può diventare particolarmente pericoloso: è un tipo di incidente che occorre di tanto in tanto nella storia delle estrazioni, e sarebbe rischioso se avvenisse sia sul fronte italiano che su quello croato.
È una tematica molto ampia che andrebbe affrontata anche a livello internazionale.
Sul blog che cura su ilfattoquotidiano.it parla spesso di ambiente, e della Puglia come un potenziale “hub di energie pulite”, in che modo può diventarlo?
Di sicuro bisogna ridare un forte slancio alla economia green delle fonti rinnovabili, ma integrata direttamente con i nostri edifici. Penso all’energia pulita non con l’ausilio di grandi parchi eolici e fotovoltaici, ma ad un moto di rivoluzione nel concepire gli edifici non più come consumatori esclusivi di energia ma come produttori e consumatori. Partendo da questo presupposto, potemmo assistere in Italia a una transizione energetica verso la rete intelligente, o smart grid energetica, che richiede un cospicuo investimento per attuarsi.
Nel frattempo, se i nostri edifici cominciassero ad essere delle piccole centrali di produzione di energia potremmo arrivare gradualmente alla formazione, dal basso, delle cosiddette “comunità dell’energia”, capaci di condividere il surplus di energia per soddisfare il fabbisogno deficitario di un edificio nello stesso vicinato. Si potrebbe partire con una visione virtuosa delle amministrazioni comunali.
Nel libro si lamenta, a ragion veduta, una drammatica carenza di politiche nazionali per il meridione. Ma vi sono delle colpe che possono essere addebitate al sud stesso?
Sì, senza dubbio. È vero, ci sono delle colpe della politica nazionale che ha dirottato investimenti al sud verso altre voci di spesa, così come va detto che con la riforma del Titolo V del 2001 la parola “mezzogiorno” è scomparsa dalla nostra Costituzione. E di questo ci siamo accorti, poi, per come si è articolata l’agenda politica economica del paese dal 2001 ad oggi. A noi dispiace però dire anche che molte colpe ricadono sulle classi dirigenti locali, inefficienti nel sollevare questioni locali nelle sedi preposte. Sono mancate interlocuzioni tra i territori, i loro rappresentanti e le segreterie romane dei partiti. E in molti altri casi c’è una disattenzione da parte dell’elettorato.
Recentemente ho evidenziato come molto spesso non siano “impresentabili” i candidati ma anche gli elettori, quando si ritrovano ad eleggere candidati tipicamente nocivi alla storia economica e politica di un territorio.”
Uno dei capitoli più interessanti del libro parla di mafia. Colpisce come si sottolinei che l’assenza dei diritti sociali abbia permesso l’insinuarsi della mafia al sud.
Si tratta di una delle interviste a cui tengo di più, quella al procuratore leccese Cataldo Motta. Le mafie svolgono sul territorio un’attenta operazione di ricerca del consenso presso la popolazione. Da un lato sono molto attente a permeare sempre di più la politica, e dall’altra parte, a fronte dell’impoverimento dello Stato, riduzione del welfare e la contrazione dello stato sociale le mafie, che hanno molta disponibilità economica, provvedono ad un welfare sostitutivo che può arrivare anche a prestiti a fondo perduto a soggetti in difficoltà.
Non per filantropia, chiaramente. Possiamo aspettarci che queste persone saranno facilmente gestibili in campagna elettorale e ingrosseranno le fila di quel fenomeno che ho chiamato “elettorato impresentabile”, in condizioni sociali di indigenza. Bisogna intervenire drasticamente con politiche di inclusione nella sfera dei diritti, necessarie in questo momento storico.