BARCONI IN ATTESA DI RISPOSTE
Sono riflessioni a margine dei nostri work-shop e del contributo dei partecipanti in giro per l’Italia
In un momento in cui sembrano risvegliarsi le coscienze di quelle Associazioni che difendono i diritti delle minoranze, dove si insidiano le vere difficoltà dello stare insieme? In che modo nutrire la coscienza critica e trasformarla in un bene prezioso, comune, da custodire?
I grandi temi affrontati sin qui mostrano perplessità fra i partecipanti, attribuite al concetto di “controllo” da parte della politica, di concedere in base alle opportunità di alcuni diritti, a “discrezione” del legislatore.
Diritti che spesso i beneficiari non sanno di possedere. Diritti umani, naturali, da tutelare ancor prima dell’esistenza di una legge scritta.
Il nostro progetto crede fermamente nella lotta civile, comune e all’attenzione verso gli esclusi
Chi sono gli esclusi? Tutti coloro che ignorano e di conseguenza non si attivano per esercitare il sacrosanto, lecito diritto di protesta, unico strumento plausibile in una terra emersa di individualismi.
L’unica vera novità del nuovo millennio è la scoperta della differenza tra bene e male ad opera del terrorismo. Ma quale terrorismo?
Quello economico, politico ed in larga misura la dissolvenza di ambedue che influisce sulle paure dei più deboli, rendendoli inermi, ancora più soli, isolati e soprattutto controllabili.
È arrivato il momento di reagire? Sì!
Sopratutto all’ignoranza e alla deficienza delle masse
I confini sono labili e spesso difficili da decodificare. Nonostante questa risposta sembri puro politichese, appare inevitabile porsi alcune questioni.
Per reagire abbiamo bisogno necessariamente del “potente” che ci insulta e minimizza il nostro diritto di esistere?
Possibile che i media si mobilitino solo per rendere pubblico il dissenso?
Le comunità, le minoranze, per ricompattarsi e trovare una collocazione nel dibattito pubblico, debbono avere un nemico comune necessariamente in contrapposizione?
I Pride e le manifestazioni di protesta perché vengono organizzati solo in primavera/estate e durante l’anno invece accade poco o nulla?
Perché l’acronimo LGBTQIE viene percepito come concetto esclusivo invece che inclusivo?
Perché l’attivismo di quelle poche Associazioni che meritano sostegno e partecipazione si trasformano in centri frequentati solo e sempre dagli stessi individui?
Queste e altre domande sono emerse dai nostri laboratori. Le risposte richiedono tempi più lunghi e riflessioni più attente perché celano complessità e sopratutto il bisogno di “essere visti”.
I circoli, che se nel passato sono serviti alle organizzazioni a parlare, spiegare, informare ed educare le persone a non vivere soltanto di notte, ma anzi uscire allo scoperto, col tempo si sono trasformati ad opera di qualcuno che ha marcificato paure, malessere, isolamento e stigma sociale.
Lo stigma, ad esempio, raccontato in uno spot anni ’80 che ne suggellava in maniera inequivocabile distanze e pregiudizio
E poi arrivano le sentenze della Corte Europea e il monito dell’Europa. Non appena, però, la politica si è interessata a noi, semplicemente per una questione di opportunismo, regalandoci una legge a metà tra il vero e il verosimile con le unioni civili, le grosse comunità si sono adeguate, accontentate e l’arcipelago è tornato a essere un insieme di isole isolanti. Noi poveri naufraghi ci siamo piegati al volere della nuova classe dirigente.
“Meglio queste che nulla”…
I circoli, veri baluardi di una Belgrado finalmente liberata
E poi, cosa accade oggi? Invece che lottare e preservare il bene comune e i diritti, Belgrado pensa bene di salvaguardare se stessa.
Il nostro progetto punta alla riflessione critica e alla partecipazione, intercettando innanzitutto i punti di vista e l’esame di realtà, richiamando alla responsabilità : perché ci si lamenta di pagare ai circoli senza scopo di lucro una tessera se poi non si conosce dove ed in che modo vanno a finire i nostri soldi?
Perché i circoli fanno poca educazione civica, spesso di facciata, distribuendo preservativi e volantini senza accendere i riflettori sul dibattito partecipativo invece che aprire nuove dark room?
Perché i soldi che spendiamo per tesserarci non consentono ingressi a prezzo agevolato visto che paghiamo somme consistenti per accedervi come fosse una comune discoteca? Perché lo Stato non controlla i circoli e le loro attività ludiche?
Altra cosa che emerge è l’indifferenza e la rassegnazione. Quell’indifferenza diffusa, figlia forse di quell’isolamento notturno che nasconde verità e limiti molto più evidenti di quanto sembri; e la rassegnazione che le cose sono così e apparentemente non possono cambiare.
Denunciamo questo quadro emerso per condividere con tutti voi lettori le impressioni, le percezioni e le sensazioni che investono in larga misura parte della comunità, la stessa che ha partecipato e continua a seguire le nostre iniziative. Sarebbe stato troppo facile evidenziare “il bello”, le emozioni positive, ma avrebbe raccontato solo una parte della verità. Con questo resoconto vogliamo evidenziare che dalla crisi sociale può nascere la mobilità e il cambiamento, a piccoli ma significativi passi.
Milk sosteneva che se non ci si mobilita per difendere i diritti di qualcuno che in quel momento ne è privato, quando poi intaccheranno i nostri, nessuno si muoverà. E ci ritroveremo soli. Ma lo siamo già, molto più di quello che appare, vedi l’effetto irresponsabile dei social e delle chat che invece di incentivare ha di fatto reso ancora più fragili le coscienze e le relazioni.
E ancora, Milk affermava che “non occorrono compromessi per dare alle persone i loro diritti, non occorrono soldi per rispettare un individuo. Non occorrono accordi politici per dare alle persone la libertà”.
Abbiamo l’impressione che gli esseri umani, da vittime, spesso si trasformino in carnefici e cavalchino onde emotive che muoiono sul nascere, per poi ritornare a spegnere le luci e a riaccendere quell’isolamento voluto e nutrito dall’indifferenza.
Salvatore Borelli
Nicola Napoletano
Andrea Rossi
Cristiano Tartarini