In occasione della Giornata della Memoria (27 Gennaio) dedichiamo uno speciale di #BLcinema ad alcuni di quei film che hanno voluto commemorare le vittime dell’Olocausto e che ancora oggi si interrogano sulle ragioni e le conseguenze di uno degli atti più scellerati e crudeli che siano mai stati partoriti dalla mente umana.
Ogni anno vengono proposti sul grande e piccolo schermo una serie infinita di storie e di racconti che guardano agli orrori dei campi di concentramento di Auschwitz; che danno dignità alle vittime di uno sterminio di massa barbaramente architettato e attuato dalla Germania Nazista e dai suoi alleati ai danni degli Ebrei d’Europa, ma anche di tutti coloro che i nazisti ritenevano essere “inferiori” o “indesiderati” per motivi politici o razziali.
Due anni fa sull’argomento scrissi un articolo (che potete recuperare cliccando QUI) dove elencavo tutta una serie di titoli amati da pubblico e critica come SCHINDLER’S LIST (1993) o IL PIANISTA (2002), solo per citarne alcuni.
In questo speciale andremo a scoprire altri titoli che sono un ottimo spunto di riflessione sui fatti accaduti, sulle colpe e sulle ferite ancora aperte di una delle pagine della Storia più nere.
Parto col segnalarvi FANIA (1980), un film per la televisione diretto da Daniel Mann e Joseph Sergent (non sempre accreditato), scritto da Arthur Miller e basato sull’autobiografia della musicista Fania Fénelon.
Il film dai più conosciuto col titolo BALLATA PER UN CONDANNATO guarda all’esperienza della Fénelon come prigioniera nel campo di concentramento di Auschwitz. Qui ella e altre musiciste classiche vennero risparmiate in cambio delle loro prestazioni musicali per i loro carcerieri. Il film venne poi adattato dallo stesso Miller per un’opera teatrale.
Il film , nonostante alcune controversie storiche, ebbe grande successo, grazie anche alle toccanti performance delle sue interpreti: una bravissima Vanessa Redgrave nel ruolo di Fania Fénelon e Jane Alexander in quello di Alma Rosé, direttrice di orchestra con cui la Fénelon legò molto durante il periodo di prigionia.
Certamente tra i titoli più amati e di cui il cinema italiano va orgoglioso a livello mondiale è LA VITA È BELLA (1997) diretto e interpretato da un ispirato e inedito Roberto Benigni.
Il film ottenne ben 7 candidature e vinse 3 premi Oscar (Miglior Film Straniero, Miglior Attore Protagonista e Migliore Colonna Sonora).
In esso ci viene raccontata la storia di Guido Orefice, uomo ebreo dall’indomabile animo, sempre giocoso e positivo, che viene deportato insieme alla sua famiglia in un lager nazista. Qui egli cercherà di proteggere suo figlio dagli orrori dell’Olocausto facendogli credere che tutto sia fasullo e che loro stiano affrontando un grande gioco fatto di prove dure e crudeli e dove è in palio un bellissimo premio finale.
Straziante, divertente, poetico. Un film che ferisce e commuove per il potere che esercita l’amore di un padre per il proprio figlio e per quella speranza che non può essere piegata da nessuno.
Altrettanto straziante e doloroso è il percorso del giovane ebreo ungherese Gyuri. Dopo aver visto deportare suo padre in quelli che molti pensavano essere solo campi di lavoro, lui pure finirà prima ad Auschwitz e poi verrà spostato a Buchenwald. Qui verrà preso di mira da un kapò ungherese. Gyuri patirà la fame e il freddo, verrà picchiato ripetutamente, costretto a lavori durissimi nonostante il progredire di malattie come la scabbia e la cancrena a un ginocchio. Eppure il ragazzo non perderà se stesso fino alla sua liberazione.
Sulle misurate musiche di Ennio Morricone, il regista ungherese Lajos Koltai dirige la sua opera prima, riportando le pagine del premio Nobel Imre Kertész.
SENZA DESTINO (2005) è un’opera che forse manca di una certa ispirazione o di un qualcosa che lo discosti dalle tante pellicole che guardano solo agli orrori del passato senza trovarne una ragione critica, ma ha il suo punto di forza nella splendida prova attoriale del giovane Marcell Nagy (vedi foto copertina di questo articolo).
E come nel LA VITA È BELLA, un padre e un figlio (il suo corpo) sono di nuovo al centro della storia di IL FIGLIO DI SAUL (2015), ma regia (di László Nemes, qui al suo esordio) e tessuto narrativo trovano altre soluzioni e uno sguardo più crudele, realistico e privo di speranza.
Il film girato in un claustrofobico 4:3 segue la sopravvivenza di Saul all’interno dei campi di concentramento di Auschwitz. Ebreo ungherese egli viene reclutato come sonderkommando e quindi costretto ad assistere allo sterminio della sua gente. Un giorno, intento a rimuovere i corpi dei cadaveri dalle camere a gas, riconosce suo figlio nel corpo di un ragazzino. Sua unica missione sarà quella di dargli degna sepoltura e quindi trovare un rabbino che reciti il Kaddish.
La cinepresa sempre ad altezza uomo, ora così vicina al volto e al corpo del suo protagonista ci permette un’immersione nell’orrore quasi totalizzante. Un’opera magnificamente costruita quasi fosse un documentario, ma che negli occhi del suo protagonista, un immenso Géza Röhrig, ha il suo cuore pulsante di umanità e di dignità.
Chiudo questa rassegna dedicata all’Olocausto e alla Giornata della Memoria segnalandovi un documentario imprescindibile che è considerato anche un’opera fondamentale sia dal punto di vista storico che cinematografico.
Mi riferisco a SHOAH (1985) diretta da Claude Lanzmann .
Il regista (le riprese iniziarono nel 1974) ha impiegato 11 anni per dirigere questo documentario. Si è recato in Polonia, nei luoghi dove fu attuato il genocidio nazista e ha intervistato i sopravvissuti ed ex SS e la gente del posto. Nei suoi 613 minuti di girato, quello che emerge è l’orrore quasi tangibile di quanto accaduto, un viaggio lento e inesorabile nelle coscienze e nelle parole di chi quelle pagine di Storia le ha scritte col sangue e le lacrime versati.
Da vedere (soprattutto nelle scuole) e primo esempio europeo di film di animazione che tratta un tema così complesso, LA STELLA DI ANDRA E TATI (2018) racconta la vera storia delle sorelle Alessandra e Tatiana Bucci, deportate ad Auschwitz nel 1944 che avevano rispettivamente 4 e 6 anni, sopravvivono all’orrore perché erroneamente credute gemelle e quindi “merce rara” utilizzabile per i futuri esperimenti del Dottor Morte, Joseph Mengele. Il cartone, sostenuto dal MIUR, prodotto in Italia, è disponibile su RaiPlay.