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Perché ve ne dovrebbe fregare di cosa succede in Molise con il Covid?

- 22/03/2021
molise situazione sanitaria


Quello che sta succedendo in Molise è a dir poco drammatico. La situazione sanitaria è completamente al collasso. Completamente. La domanda che magari vi state facendo è: perché ce ne dovrebbe fregare del Molise?

Due parole su questa terra

Prima di continuare, concedetemi due parole su questa terra che, sono sicura, non conoscete se non attraverso i soliti sfottò sulla sua non esistenza. Il Molise è la regione più giovane d’Italia. Non la più piccola ma la più giovane. Amministrativamente parlando. Il distacco dalla cuginanza abruzzese è avvenuto solo nel 1963. Una regione che in realtà ha antiche origini ma che fatica a trovare un’identità comune, condivisa, solida. Arroccato, isolato più di un’isola, chiuso, cocciuto, il Molise è un territorio difficile anche dal punto di vista geologico. Frane e terremoti si sommano alle problematiche tipiche di una regione del Sud e di un territorio piccolo che perde ogni anno un numero sempre più alto e impressionante di residenti. In proporzione, si intende.

Attualmente siamo meno di 300.000 persone. Essere molisan* significa prediligere la discrezione, la stessa che viene scambiata spesso per rassegnazione alla mestizia e che invece è il nostro modo di esprimere dignità. Si dice che per conoscere il Molise bisogna leggersi gli scritti di uno dei suoi figli, lo scrittore e giornalista Francesco Jovine. Le descrizioni di quella società e di quel territorio sono ancora molto attuali. 

Che succede? (lo so che lo avete letto come Morgan)

Questa piccola regione che si affaccia sull’Adriatico è nel caos totale. La gestione pandemica da parte delle autorità regionali è stata a dir poco disastrosa. Abbiamo avuto un anno di tempo per prepararci a quello che poi è accaduto dall’inizio dell’anno a questa parte. E l’unica cosa che sono stati in grado di fare è il nulla cosmico, tanto è vero che attualmente siamo la sola regione italiana che non ha un centro Covid dedicato

Nel mentre, è successo di tutto! 

Liti, rimpasti di giunta, scaricabarili, accuse reciproche, annunci in pompa magna di risoluzione di problemi smentiti dai fatti il giorno dopo, dati sulle terapie intensive e sui posti letto che non tornano, carenza drammatica di personale, bandi per assumerlo a pochi soldi, a tempo determinato, a partita IVA, dichiarazioni rassicuranti basate sul nulla con tanto di sorrisetti dopo i continui “è tutto sotto controllo”, ospedali pubblici già disastrosamente depotenziati costretti a diventare nei fatti punti di cura covid con buona pace delle patologie ordinarie, reparti ospedalieri smantellati per fare posto ai malati covid, caos nella gestione tamponi, una sola USCA (Unità Speciale di Continuità Assistenziale) per centomila abitanti nel Basso Molise durante la fase più acuta dell’emergenza, ennesimi accordi con la sanità privata, vaccini in ritardo, la storia dei vaccini per tutti con squisita intervista all’eurodeputato Patriciello, persone con diritto di precedenza nei vaccini in attesa, reparti malati covid con l’ossigeno difettoso, ordinanze al limite del ridicolo, dimissioni del commissario straordinario alla sanità Giustini e avviso di garanzia, mozione di sfiducia firmata in consiglio regionale anche dalla consigliera della maggioranza Calenda che dopo poco la ritira e diventa assessora, personale sanitario stremato che non può rilasciare dichiarazioni che in manco Corea del Nord…

Tutto questo (e molto di più!) condito da una collezione di decisioni regionali completamente scoordinate, senza senso, senza logica ma, soprattutto, senza risolvere un problema che sia UNO. In pratica, dove stavamo stiamo. Un anno dopo. Anzi, siamo riusciti pure a peggiorare. Quando sembra di vedere una luce, torna il buio. Si finisce in prigione in stile Monopoly. Anche lì, in fondo, al centro del gioco c’è una società capitalista senza scrupoli. Giuro che a un certo punto ho pensato di veder spuntare la buonanima di Mario Monicelli pronto a girare qui il seguito de L’Armata Brancaleone. Il delirio totale.

Premessa doverosa

La sanità in Molise è commissariata dal 2009, cioè da dodici anni. Il bilancio regionale si dissolve in gran parte nella copertura di quel buco economico lasciato lì da più o meno venti anni di disastrosa gestione sanitaria. Che poi i soldi per coprire quel buco sono pure arrivati, ma mo vai a sape’ che fine hanno fatto! Ah, parliamo ovviamente di sanità pubblica eh, perché quella privata qui va gonfie vele. Sì perché la sanità in Molise è essenzialmente in mano ai privati. Che poi sono sempre gli stessi soggetti. Nemmeno ai tempi dei feudatari era tutto così scontato. E se così scontato è, le cause vanno cercate in quella mentalità dura a morire di un sistema clientelare da cui gli abitanti di questa regione faticano a staccarsi. Secondo un’inchiesta di Gad Lerner di qualche anno fa, avevamo il record italiano di emigrazione regionale per cure mediche e, dato molto curioso, anche quello inverso: in Molise vengono a farsi curare in tanti. Nel privato, ovviamente. 

Sono molte e impietose le tappe di questa tragicommedia dal sapore tutto italiano che, vi assicuro, ho solo accennato. Ma mi rendo conto che non ho ancora risposto alla vostra domanda. 

Perché ve ne dovrebbe fregare del Molise?

Oltre al principio che spinge a interessarsi dei diritti delle minoranze in senso lato, ve ne dovrebbe forse interessare perché il Molise è un laboratorio politico, uno di quei luoghi dove si può sperimentare di tutto sulla popolazione. Tanto non succede niente. Non cambia mai niente. Così dicono. Al massimo, la gente se ne va. Ma per voi che non vivete qui c’è un grande vantaggio: in quanto piccoli siamo più facili da osservare e da analizzare. Più facile è notare come i disastri italiani si somiglino tutti e come le prese in giro del potere siano lampanti. C’è tutto il campionario: narrazioni distorte, effetti del capitalismo senza scrupoli, incapaci con il potere saldamente in mano, popolazione lasciata sola e, in molti casi, complice del sistema. Tutto quello contro cui combattiamo nelle lostre lotte. Tutto c’è, non manca niente. Non mancano nemmeno le persone che vengono a dire “ma ci sono cose più importanti”. Approfittatene, questa storia è più vicina a voi di quanto crediate.

molise covid
Striscione di protesta apparso a San Giacomo degli Schiavoni / Qui si muore SOS Molise ( https://www.facebook.com/quisimuoremolise/ )

Se si sparisce dai media

Se quello che sta succedendo da mesi in Molise fosse capitato in un’altra regione, sarebbe venuto giù il mondo. Qui per un momento è giunto un po’ di interesse nazionale. Inevitabilmente, forse, da quando a fine febbraio a Termoli – cittadina sul mare dalla quale vi scrivo – hanno allestito un ospedale da campo. Non nel febbraio 2020 eh, nel febbraio 2021. Un anno dopo l’inizio della pandemia. Un anno dopo. Perché a un certo punto non sapevano più dove mettere i malati: doveva essere pronta una torre covid all’ospedale Cardarelli di Campobasso (e ancora niente), poi dei moduli esterni (e vai a sape’ a che punto stanno), poi hanno pensato di spostarli in una struttura privata, poi aspetta no non va bene, vabbè chiamiamo la Croce Rossa e facciamo quest’ospedale da campo. Però ci andranno i malati ordinari, anzi no possiamo usarlo come centro vaccinazione… vabbè mo vediamo.

Ma vi sembra normale? Vi sembra normale che non ci sia una persona a chiedersi: scusate, ma finora che avete fatto? Che state a combinà? Che vi fumate? A me sembra di vivere in una puntata di Black Mirror. Ne parlo con le amicizie di fuori regione e faticano a credermi. Ma davvero? Ma è mai possibile? Eh, sì, lo è. Il sistema è collassato. Completamente. Quel sistema al quale in tanti vogliono tornare a vivere. La “normalità”. Quella che ci ha portato a questi effetti.

Riflettendo con un’amica attivista abbiamo notato questa sorta di “capitalismo giornalistico”, se così vogliamo chiamarlo. Se la notizia che è sbattuta in prima pagina è relativa quasi sempre a storie che interessano la maggioranza della platea, cosa accade? Lo abbiamo visto tante volte e in tante lotte sui diritti civili cosa succede. Sparire dalla narrazione è come non esistere. E qui torniamo anche agli sfottò. Se non si guarda al peso specifico di ogni singola storia, di ogni singolo territorio, di ogni singola minoranza, allora quel luogo, quella storia, quella categoria, quella minoranza, non ha voce in capitolo, è come se non esistesse, appunto. E sappiamo bene di cosa stiamo parlando se guardiamo alle lotte intersezionali. Questo, inoltre, influisce anche sulle possibilità di sviluppo di un territorio/minoranza/categoria perché dove non ci sono riflettori c’è potenzialmente una zona d’ombra dove può succedere di tutto, dove può succedere il far west, dove i diritti vengono più facilmente calpestati. Quello che sta accadendo qui, appunto. 

Pensate che questa è una terra terremotata insieme alle altre regioni della fascia appenninica. Da noi si balla ogni tanto, seppur involontariamente. E avete mai fatto caso ai titoli dei telegiornali? “Scossa di terremoto in Abruzzo e Molise… paura a Roma”. E diretta dalla Capitale dove si raccolgono testimonianze. Ma come? Se l’epicentro è da un’altra parte, la priorità è Roma? E guardate che succede sempre. Quando la priorità è nostra, è perché ci sono vittime. E lì non puoi fare a meno di parlarne.

Se poi la narrazione è tossica…

Inoltre, se la narrazione è tossica, gli effetti sono devastanti. Lo abbiamo visto come per mesi impunemente sono passate dichiarazioni come: il virus colpisce principalmente gli anziani, muoiono quelli con patologie pregresse, bisognerebbe vaccinare prima le regioni con il PIL più alto (ah, Letizia, quanto non ci sei mancata!), Toti che qualche mese fa parlava di “persone non indispensabili allo sforzo produttivo”.

Dichiarazioni di una violenza e di un’arroganza che fino a quando non si provano sulla propria pelle non si possono capire. Come se in quanto anziani, malati pregressi, poveri, non produttivi o minuscoli come noi che siamo meno di un quartiere di Roma, potessimo in fondo in fondo anche morire. Cose che succedono. Se poi però si ammala un giovane, sano, allora lì “ci fa specie”, come ci ha tenuto a dire il governatore della Regione Molise, Donato Toma. Ci fa specie, le altre vittime sono nella norma, in fondo. Danni collaterali. Bene, se un Paese fa passare queste frasi in sordina, che futuro ha quel Paese? Se uno Stato non si prende cura dei soggetti più fragili, quello Stato è già morto.

Mariangela era molisana, aveva 33 anni e se ne andata per colpa del Covid. Doveva essere una delle prime a vaccinarsi, data la sua grave forma di disabilità. Non ha fatto in tempo. E non fa specie evidentemente la sua morte.

La verità è che spesso ci si interessa alle cose solo se queste ci riguardano da vicino. Una pandemia non è da meno. E se oggi qualche persona si interessa al caso Molise è forse perché qui con la variante inglese ci stanno lasciando le penne tante persone e in modo rapido. Magari questo può interessare.

Toglieteci tutto ma non il capitalismo

Avete presente poi quella retorica dello “state a casa e andrà tutto bene”? Vi ricordate sì dove tutto è partito ed è esploso? La provincia di Bergamo. C’è chi ha detto che è accaduto lì perché è un luogo ad alta densità abitativa. Vero. Ma lì c’è anche un’alta densità industriale. Ora, in Molise siamo quattro gatti eppure nonostante siamo in zona rossa (tra poco diventiamo arancioni e vai a capire perché dato che non è cambiato granché) e il Basso Molise lo è da più di 40 giorni, la situazione è ancora drammatica. Come mai? 

Perché in un luogo così piccolo non si riesce a contenere la situazione? Forse qui è più evidente capirlo rispetto ad altre zone italiane. In un territorio con tanti paesini, collegati tra loro pure male, come è possibile? Cosa è rimasto aperto che hanno chiuso tutto, pure il baretto del paesino frequentato solo dagli anziani di un minuscolo paese isolato dalle strade che manco ai tempi dei vandali stavano messe così male? E sì, anche qui c’è chi se ne frega delle regole, ma non basta a spiegare lo sfacelo. Beh, a dire il vero una cosa è ancora lì, attiva come sempre. Il nucleo industriale di Termoli. In Basso Molise, appunto. 

Qui si riaprono domande e questioni. Cosa è stato fatto per mettere in sicurezza i lavoratori? Se trovate qualche persona disposta a parlare senza temere per il proprio lavoro, fatemelo sapere. E qui entra in scena un’altra cosa tipicamente italiana: l’omertà. Ma guarda, pure in questo minuscolo territorio? Ebbene sì. La cosa è talmente lampante da divenire quasi accecante. Vogliamo parlare del sistema dei trasporti? Cosa è stato fatto in un anno? I bus che viaggiano per le fabbriche (vi ricordo che qui abbiamo una sede della FCA, ei fu FIAT siccome immobile) hanno ridotto la capacità di trasporto. Ma è sufficiente? Inoltre, cosa è stato fatto per rafforzare la benedetta medicina territoriale che avrebbe evitato il sovraccaricamento degli ospedali? A chi chiedere i dati se nessuno ti risponde o se, rispondendoti, ti rassicura con dichiarazioni a cui è difficile credere? 

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I fili della sanità molisana / illustrazione di Marziè ( www.marzialamelza.it/ )

Infine il popolo, da solo e isolato

Infine c’è il popolo che prova a ribellarsi. Ma quando si è poca gente contro un sistema ben consolidato, è difficile, eh, spuntarla. Anche perché qui ci si conosce tutti ed è un po’ come litigare in famiglia: ci provi a tessere legami, a far sentire la tua voce, ma a un certo punto ci rinunci, capisci che forse è meglio andare via, che prima che cambi qualcosa… solo che c’è gente che qui ci vive e non se ne vuole o può andare e allora si prova a fare rete. Nascono pagine, la gente si confronta, spuntano forme di ribellione. Spuntano striscioni che invocano rispetto, dignità, pubblica sanità. E ora la lotta si è sparsa anche tra i fuori sede, gli striscioni e i cartelli spuntano nel resto d’Italia e anche all’estero. I molisani stranamente stavolta sembrano non mollare. Perché quando arrivi all’esasperazione e l’alternativa è la morte, allora non te lo puoi permettere di mollare. Perché sì, qui si muore. E non poco.

Io non so descrivervi come mi sento. Come mi sento a vedere chi ha devastato questo territorio ancora lì, al suo posto, con il sorriso beffardo e i compagnucci di merenda con cui spartirsi la torta. Ma non vi parlerò della banalità della loro immensa mediocrità, di quelle che genererebbero vergogna se si fosse in possesso di un minimo di intelligenza emotiva. Non è questa la riflessione che voglio fare. Il Molise resiste, sì, ma si è anche scocciato di vivere così. Io questa frase non la sopporto più. La odio.

Le Forche Caudine

Non ho mai fatto sconti a questa terra. Mai. E come ogni persona originaria di un luogo martoriato – anche e spesso soprattutto da chi lo abita – ho un rapporto di amore e odio con essa. Potrei scrivere per ore dei suoi errori, della sua immensa generosità contrapposta all’idea che questa sia l’unica società possibile, potrei parlare del senso dell’autonomia che è stato lasciato putrefare dalla convinzione che quel diritto fosse lì ormai scontato. Potrei spiegarvi per filo e per segno vizi pubblici e private virtù, nell’esatto contrario della citazione che ben conoscete. Perché vi è pure del masochismo tra la mia gente e quella scarsa capacità di promuovere il bello che possiede. Eppure c’è stato un tempo in cui proprio da questa zona è partito un moto di ribellione che ha fatto la storia. Ed è a quello che io oggi guardo perché quando perdi la bussola e ti senti svuotata, stanca, spaventata, è alle origini che bisogna tornare, a capire che ci sono sempre i corsi e ricorsi storici e che da quelli si può imparare.

Conoscete la storia della battaglia delle Forche Caudine? Nel 321 a.C. il popolo dei Sanniti le suonò ai Romani. Si dice che i Sanniti, che popolavano anche questa terra, fossero bellicosi. E Roma faticò a sottometterli. Un piccolo popolo contro l’Impero. Noi oggi, discendenti dei Sanniti, ci stiamo ribellando a una delle peggiori conseguenze del sistema capitalista, quella che mercifica il diritto alla salute. Potremmo vincere una battaglia, ma non la vinceremo la guerra se non arriveranno rinforzi. Perché ogni popolo, quando è isolato, non va da nessuna parte. Resta schiacciato. Ed è qui che torna il senso delle lotte intersezionali.

Questa è una storia, una piccola storia che però può insegnare qualcosa. C’è un vecchio detto molisano che recita “lascia stare il mondo come si trova”. Un detto che ho sempre odiato e non ho mai sentito mio. Perché a lasciar stare il mondo come si trova non si vive. Al massimo, se si ha fortuna, si sopravvive.

Credits immagini e link
www.marzialamelza.it
https://www.facebook.com/quisimuoremolise/

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Molisana nata al mare da padre montanaro e madre arbëreshë, sono un misto di elementi naturali e culturali. Cresco con l’atlante geografico come migliore amico e un'infinita curiosità. Mi laureo in economia del turismo, mi appassiono a internet dal 1999 e contemporaneamente scrivo sul cartaceo e sul digitale. Credo nella gentilezza, nell'umiltà e nell'etica come colonne portanti della vita. Unite da un'abbondante dose di autoironia.