“Il primo testo a tematica omosessuale che ho letto è stato il De Profundis di Oscar Wilde. Ma, tra i libri italiani, il primo che ho avuto tra le mani è stato Camere separate di Pier Vittorio Tondelli. Da quel momento tutta la percezione della letteratura italiana novecentesca che ho avuto modo di costruire durante gli anni del liceo e i primi anni dell’Università è mutata profondamente“
Definireste mai “queer” uno scrittore come Alberto Moravia? E Aldo Palazzeschi? E perché non Elsa Morante?
La letteratura italiana del ‘900 offre scenari di particolare interesse per tutti gli appassionati del romanzo, inteso come corollario di storie civili, in un antro spazio-temporale in cui personaggi fortemente caratterizzati muovono le fila di trame più o meno complesse, inserite in contesti contemporanei e influenzati, per questo, dall’ambiente sociopolitico in cui si muovono.
Luca Starita, napoletano, classe 1988, ha deciso di decostruire il canone della letteratura italiana novecentesca, analizzarlo, in maniera del tutto singolare per riassemblarlo, riformulandolo in un “Canone Ambiguo“, che è anche il titolo del saggio di cui è autore (edito da effequ per la raccolta Saggi pop), portandoci alla conoscenza di una letteratura queer italiana che definisce “anarchica, scorretta, mostruosa“, spesso e volentieri relegata nelle ultime pagine delle antologie accademiche e sicuramente ignorata nei programmi didattici.
Starita, laureato in Italianistica all’Università di Bologna con una tesi sul queer nella narrativa di Aldo Palazzeschi, mette in scena la sua catabasi dantesca dove diventa spettatore di siparietti appassionati, spietati, spiazzanti. Gli attori in scena, che non ha paura di definire queer, sono i protagonisti di alcuni romanzi del ‘900, che, a turno, raccontano la propria storia. Lo stesso Starita non si limita al ruolo di uditore ma offre una propria esegesi dell’esperienza, ponendosi in relazione con i vari attori condividendo, oltre alla propria analisi social-letteraria, un personale modello di visione.
Un saggio per la letteratura queer italiana
“Ho due padri, Moravia e Palazzeschi, e una madre, Morante; tre zii vecchi, Gadda, Comisso, Moretti, fratelli di nonni che non sono mai esistiti, uno zio giovane, Bassani, un cugino grande, Arbasino e un cugino piccolo, Tondelli“. In questa stramba famiglia, che copre un secolo di grandi cambiamenti, Starita riconosce il suo Virgilio con il più giovane del gruppo, Pier Vittorio Tondelli, autore omosessuale molto discusso negli anni ’80, che lo accompagnerà per la maggior parte del viaggio.
Sono quattro i “gironi” della catabasi che Starita attraversa in “Canone ambiguo“. Nel primo, alcune protagoniste che si interrogano sulla femminilità raccontano le proprie esperienze di negazione del ruolo convenzionale di moglie e madre; nel secondo si affronta la percezione dell‘omosessualità maschile sul piano personale e sociale; nel terzo la crisi della mascolinità. Infine, un convivio di scrittrici del ‘900, come Sibilla Aleramo e Natalia Ginzburg, affronta una presa di coscienza che vuole essere un monito per appropriarsi di uno spazio, sociale e letterario, ancora troppo ristretto per il genere femminile.
Diversi e imprevedibili i romanzi citati, da Gli occhiali d’oro di Bassani a Io e lui di Moravia, dalle Sorelle Materassi di Palazzeschi a L’isola di Arturo di Morante e moltissimi altri, tutti da appuntare e scoprire.
Un mondo queer, dunque, dove si rielaborano gli archetipi di genere e si mette in discussione il conformismo sessuale. Dalle testimonianze delle voci in scena emerge la disfunzionalità dei concetti di “virilità” e “femminilità” così come la contrapposizione insita nel dogma del binarismo di genere ci ha portati a concepire. È qui che trovano terreno fertile le teorie di Mario Mieli sul polimorfismo, di Wilchins e di Preciado, sostenitori della tesi che un’opportuna “decostruzione di genere” appianerebbe le disuguaglianze tra i sessi.
Un nuovo linguaggio che, come spiegato nella premessa, trova una sintesi nella parola queer come spazio comune in cui includere tutto ciò che si pone al di fuori dello spettro sessuale convenzionale, normato da regole, aspettative e prassi standardizzate.
Canone ambiguo, una lettura esperienziale
“Canone ambiguo” offre al lettore una lettura esperienziale, che accompagna il lettore nella codificazione di una mappatura sistematica e imperdibile del meglio della narrativa novecentesca più sfacciata e progressista (pur conservando una qualità letteraria eccellente), ideale per chi cerca nuovi confini letterari non conformi, e chi vuole spostarsi più in là nell’analisi di temi oggi fondamentali per comprendere meglio l’attivismo e la militanza lgbt. Recuperare Moravia, decriptare Palazzeschi, comprendere Elsa Morante e scoprire Arbasino (la più grande scoperta personale di Canone ambiguo) oggi ci riconduce ad un’analisi più serena (e inclusiva) degli stilemi narrativi contemporanei. Molto utili, in bibliografia, tutti i titoli dei libri citati.
Il volume, inoltre, è un esperimento coraggioso nella volontà di ricondurre, nell’utilizzo dello schwa “ə” per sostituire il maschile sovraesteso, l’onnicomprensione di generi, sensibilità e categorie sociali che non sentono di appartenere “a nessuno degli universi già delimitati“. Formativo e necessario.