In passato abbiamo trattato il tema dell‘omosessualità maschile in Grecia, argomento vastissimo sul quale si può fare affidamento su diverse fonti (come alcuni Dialoghi di Platone o gli scritti dell’ultimo Michel Foucault, quali La volontà di sapere) per riconoscere la rilevanza sociale dei rapporti tra uomini nel mondo classico come passaggio fondamentale nella formazione del cittadino.
Le relazioni omosessuali maschili nella Grecia antica (ne abbiamo parlato qui), infatti, si fondavano su una necessaria asimmetria di ruoli all’interno della coppia, che richiedeva la subalternità fisica e intellettuale dell’ ἐρώμενος (eròmenos), il soggetto passivo, giovane e imberbe, nei confronti del suo ἐραστής (erastès), l’adulto, il soggetto attivo che aveva il compito di “iniziarlo” alla vita adulta, al culto della giustizia e dei valori etici, come un rito di passaggio.
Non si trattava di un rapporto tra pari nella scala gerarchica della società e, anzi, questo costume era fortemente scoraggiato dalle leggi del tempo.
Si può dire lo stesso dell’omosessualità femminile nel mondo ellenico? Da quanto è emerso negli studi degli storici, no.
Per quanto vi siano dei tratti comuni tra i due ambiti, nella Grecia antica l’amore tra donne non godeva di una funzione sociale ben precisa. Di questo ha scritto diffusamente la storica Eva Cantarella nel libro “Secondo Natura – La bisessualità nel mondo antico“ (Feltrinelli).
Tutto ciò che si conosce sull’amore tra donne nella Grecia antica lo si deve quasi esclusivamente ai componimenti della poetessa Saffo di Mitilene e alla sua opera nei θίασοι (thìasoi), se escludiamo quanto ci è giunto per via mediata da filosofi e retori di sesso maschile.
Premessa: la condizione delle donne nell’antica Grecia
Occorre fare una premessa per collocare temporalmente ciò di cui parleremo, ossia le esperienze delle giovani ragazze elleniche nelle comunità femminili. Il passaggio della Grecia da società preletteraria (omerica) a quella letteraria (classica) fu piuttosto turbolento se pensiamo agli effetti che questo ebbe sulle condizione delle donne.
Nella società omerica gli organi politici come l’Assemblea e il Consiglio degli Anziani erano ancora piuttosto fluidi, e il matrimonio era uno strumento per equilibrare i rapporti di amicizia e di potere. Prima che questo, nella πόλις (polis), diventasse l’istituzione destinata a perpetuare gli οἶκοι (oikoi, familiari), relegando le mogli nel gineceo come meri strumenti di riproduzione, alle donne veniva concesso dello spazio sociale per vivere compiutamente come cittadine socializzate e istruite.
Possiamo datare questo periodo tra il VII e il VI secolo a.C., esattamente la finestra temporale in cui si presume sia vissuta la poetessa Saffo.
Saffo e l’amore nei θίασοι (thiàsoi)
Nata a Mitilene (Isola di Lesbo) attorno al 612 a.C. da Scamandronimo e Cleis, Saffo si sposò con Cercila di Andro, da cui ebbe una figlia che chiamò come sua madre.
Proprio a Mitilene fu a capo di un θίασος (thiasos), associazione spesso legata al culto di una divinità che, nel caso di Saffo, aveva il compito di ospitare giovani ragazze prima del matrimonio per insegnare loro le arti del canto, della danza, della poesia, ma anche a renderle desiderabili con la bellezza, il fascino, la grazia e la seduzione. Vi erano diversi thìasoi per ragazze disseminati in Grecia: quello di Saffo era dedicato alla dea della bellezza Afrodite.
Saffo era una διδάσκαλος (didàskalos) e insegnava canto e danza, due discipline che potevano trasformare “giovinette incolte” di buona famiglia in donne pronte per il matrimonio, tuttavia capaci di lasciare negli altri un ricordo che non fosse solo la propria prole.
Occasionalmente, in queste comunità dove le ragazze vivevano un’esperienza di vita non dissimile ai corrispondenti maschili (da un punto di vista dello studio di discipline a loro dedicate), e nascevano degli amori “spirituali” non solo tra maestre e allieve ma anche tra allieve.
L’amore tra donne non era considerato socialmente uno strumento di formazione del cittadino e pertanto si sostanziava in un libero rapporto affettivo, che nasceva in condizioni di “parziale segregazione” e in cui la libera consapevolezza sessuale delle coscritte le rendeva partecipi volontarie di esperienze affettive lesbiche.
L’amore tra donne nella Grecia antica ci giunge oggi come un rapporto elevato, una relazione d’amore nobilitante, sprovvista del valore pedagogico maschile poiché non prevedeva sudditanza né simbolica né sociale tra le due amanti, ponendosi in ottica paritaria.
Dalle poesie di Saffo si intende chiaramente come la passione e il trasporto fossero vissute ampiamente in queste liaison: nel frammento dedicato a Gòngila, si legge l’invito di Saffo a una delle sue allieve predilette.
O mia Gòngila, ti prego:
metti la tunica bianchissima
e vieni a me davanti: intorno a te
vola desiderio d’amore.
Così adorna, fai tremare chi guarda;
e io ne godo, perchè la tua bellezza
rimprovera Afrodite.
Così come il rapporto tra l’eròmenos e l’erastès, anche quello tra le giovinette e le maestre dei thìasoi era destinato a finire con la maturità e il raggiungimento dell’età del matrimonio. Innumerevoli sono le liriche di Saffo dedicate allo struggimento per la perdita delle allieve, destinate ad andare in spose all’uomo promesso. Nella lirica che segue, molto famosa, Saffo cristallizza la sofferenza derivante da un impeto di gelosia vissuto mentre assisteva alla conversazione tra un’amica e un uomo, probabilmente in procinto di diventare suo marito.
Mi sembra pari agli dei quell’uomo
che siede di fronte a te e vicino
e ascolta te che dolcemente parli
e ridi un riso che suscita desiderio.
Questa visione veramente mi ha turbato
il cuore nel petto:
appena ti guardo un breve istante,
nulla mi è più possibile dire,
ma la lingua mi si spezza e subito
un fuoco sottile mi corre sotto la pelle
e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie
e su me sudore si spande e un tremito
mi afferra tutta e sono più verde dell’erba
e poco lontana da morte sembro a me stessa.
Secondo quanto spiegato da Eva Cantarella in Secondo Natura, Saffo descriverebbe in questa lirica tutti i sintomi di un attacco di panico: inibizione alla parola (nulla mi è più possibile dire/la lingua mi si spezza), sudorazione, tremore e pallore (su me un sudore si spande e un tremito/mi afferra tutta e sono più verde dell’erba), disturbi alla vista e all’udito (con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie). Questi effetti potrebbero verosimilmente derivare da un coinvolgimento emotivo paragonabile all’amore.
Il Partenio di Alcmane
Di Alcmane, poeta lirico greco vissuto nella seconda metà del sec. VII a. C. a Sparta, sono stati rinvenuti un centinaio di frammenti contenenti canti corali scritti appositamente per le festività sacre.
Nel frammento più esteso scoperto in un papiro egizio nel XIX secolo e conservato oggi al Louvre, sono contenuti i testi di un partenio (carme in onore di una divinità cantato da un coro di vergini) in strofe in cui si celebrano le lodi di due corifee, Agido e Agesicora, e del loro rapporto intimo esclusivo.
Si assiste quindi a una consacrazione di tipo matrimoniale tra le due ragazze in una cerimonia iniziatica, esaltata dall’esecuzione del coro nuziale. Nel testo del partenio, le corifee si dichiarano vinte dall’amore di Agido e Agesicora, che nulla potrà più dividere (Né infatti la nostra porpora / È tanta che possa competere con esse / né serve un serpente cesellato / nell’oro massiccio, né una mitria / di Lidia, ornamento / di fanciulle occhi viola), neanche la possibilità, per Agido, di amare altre ragazze con l’intercessione della sua maestra (e neppure, andata da Enesimbrota [probabilmente la direttrice del thiasos, ndr] le diresti / “Astafi sia mia, e mi guardi Fililla / e Damareta e Ianthemi amabile / è Agesicora che mi strugge).
Infine il coro, a suggello del legame declamato, chiede di accogliere Agido e Agesicora nel favore degli dei: Agesicora / Dalle belle caviglie non è qui / ma è accanto a Agidò / e la nostra festa loda / Ma le loro preghiere, o déi / accogliete; infatti è il compimento / e il fine.
Alla luce di tutto questo, risulta ancora piuttosto inattendibile definire l’amore tra donne un rito di passaggio nella vita femminile: senza dubbio questi legami potevano nascere nel periodo della vita che segnava la transizione dallo stato verginale a quello matrimoniale, ma le cerimonie nuziali femminili, a differenza dell’iniziazione maschile, sembrano piuttosto frutto della sincera e libera espressione di un sentimento condiviso.
Successivamente a Saffo i thiasoi scomparvero e le donne furono marginalizzate al ruolo di madri. E con loro, scrive Eva Cantarella “la possibilità offerta alle donne di coltivarsi e, forse, di amare veramente“.
L’omosessualità femminile vista dagli uomini
Un’ultima considerazione viene da Platone, di cui abbiamo già analizzato il discorso di Aristofane contenuto tra le pagine del Simposio.
Platone chiama tribadi le donne che sono attratte dal proprio sesso, ossia quelle che provengono dalla creatura unica femminile primigenia. Queste donne, afferma il filosofo, “non si curerebbero affatto dei maschi ma avrebbero una propensione per le altre donne“.
A differenza degli uomini attratti da altri uomini appartenenti al maschio primigenio, nei quali, secondo Platone, risiederebbe “una maggiore virilità e bellezza proprio perché provengono dal maschio primordiale, dotati di indole forte e ardita, valore e audacia” (e dei quali è esclusiva la capacità di occuparsi della cosa pubblica), Platone non utilizza argomenti altrettanto lusinghieri con le donne legate dal femminile primordiale. Anzi, come esposto dalla Cantarella in Secondo Natura, tribade (dal greco τρίβειν, trìbein, termine che si riferisce all’atto di sfregamento delle vulve in un rapporto sessuale) è una parola “densa di significati inquietanti”, in quanto con essa si indicavano donne “selvagge, incontrollabili e pericolose”, probabilmente proprio perché libere da legami con gli uomini.
Si noti come il termine tribadi sia ben diverso da lesbiche, che come aggettivo ha delle origini molto antiche (ovviamente connesso all’isola di Lesbo, così come saffico) ma come sostantivo si è diffuso tra i movimenti per i diritti delle persone gay intorno agli anni ’70.