“High As Hope” è uno degli album più attesi di questa stagione e il quarto di uno dei gruppi più interessanti del panorama britannico, la conferma della trascinante energia e dell’originalità dei Florence + The Machine.
La musica e il sound di questi artisti è qualcosa di primordiale, di viscerale, ma è anche complessa e – oserei dire – barocca ( nell’accezione positiva del termine ) : si erge come una cattedrale contro il cielo o affonda radici come una forte quercia; riempie le orecchie e le solitudini più intime.
Implica una liberazione dei propri istinti, pulsa nelle vene e chiede di essere compresa, assorbita, vissuta nei suoi lati più bui come in quelli più luminosi ed estatici.
Questo lavoro è un ritorno alle origini e in un certo senso si avvicina al loro primo lavoro “Lungs” (2009) ma apportando sempre quell’elemento che fa la differenza, una cura per il dettaglio quasi maniacale. Alle solide strutture musicali si unisce un’attenzione per i testi che sono scritti dalla stessa front woman, Florence Welch.
Anticipato dai tre potenti singoli “Sky Full Of Song” e “Hunger” e il più recente “Big God“, il nuovo album – in vendita negli stores da oggi, 29 Giugno – si fa più intimo e malinconico: un grido coraggioso e vitale che svela il passato spesso travagliato della giovinezza nei suoi slanci verso l’amore e le cadute nelle droghe e nella solitudine.
Il disco si apre con la poetica e romantica “June” che suggerisce anche le tematiche che saranno trattate nelle tracce successive per chiudersi con la tragica ballata “The End Of Love” e la bellissima “No Choir“, piccolo gioiello da ascoltare più volte che invita a ricercare la felicità nella quiete e nell’equilibrio tra gli alti e i bassi della vita.
Ma è nelle tracce “Grace” ( dedicata alla sorella ) e nella successiva “Patricia” ( dedicata a Patty Smith che Florence chiama la sua “North Star” ) che i Florence + The Machine ci regalano delle perle preziose: la prima di una delicatezza di rara bellezza, la seconda vertiginosa negli arrangiamenti e trascinante nella performance della cantante.
Ascoltare un album dei Florence + Machine dopotutto è come lasciarsi possedere di volta in volta dalle voci che si rincorrono attraverso le note di un pianoforte o di un basso o delle percussioni, ora salvifici come i cori di creature angeliche e subito dopo conturbanti e ammalianti come i canti di sirene venute a confonderci.
Ne è una prova la dirompente “100 Years” che assieme alla già citata “Hunger” sono tra i brani art rock più diretti e fanno vibrare ogni muscolo del nostro corpo: come demoni si impossessano della nostra carne, sgombrano la mente perché solo la musica possa farci avanzare attorno e dentro la vita.