1.125 views 7 min 0 Comment

Montemagno e l’ennesimo esempio di pinkwashing di cui non ne avevamo bisogno.

- 17/10/2021


Tra le diatribe avvenute questa settimana non posso non segnalare l’immensa caduta di stile (o rivelazione?) di uno degli influencer più seguiti su youtube e non solo. Ovviamente sto parlando di Marco Montemagno.

Qualche giorno fa il noto divulgatore ha pubblicato un video su tik tok in cui “consigliava” alle donne che lavorano sui social di non mostrarsi nude sui social in quanto perderebbero la credibilità. Ha addirittura risposto ad una attivista, Valeria Fonte, di “chiudere le gambe che fa freddo“.

Un video pregno di sessismo e misoginia, con tanto di mansplaining (ovvero, un uomo che spiega alle donne come fare cose di cui loro, molto spesso, sono molto più competenti di lui) che ha destato notevole indignazione da parte dei suoi followers, costringendolo ad eliminare il suo video poco dopo.

Non è possibile pensare che una persona così abituata a stare sui social abbia potuto fare uno scivolone simile senza pensare alle conseguenze, a meno che fosse straconvinto di quello che ha detto.

Che il video sia riprovevole non lascia dubbi, ma la cosa che ha mi ha ancora più colpito e lasciato con un amaro in bocca è invece il suo video di scuse.

“Ma come, non ti basta che abbia chiesto scusa? Cosa vuoi di più?!”

Assolutamente è una cosa che ho apprezzato moltissimo, e non solo io.

Io stessa ho enormi problemi nel chiedere scusa quando sbaglio e immagino che farlo di fronte a milioni di persone su un social sia ancora più difficile.

Ma non posso non condividere il mio pensiero, che poi ho scoperto essere ampiamente condiviso da molt* attivist*, ovvero che se le scuse fossero state ipostate in quel modo, forse era meglio non farle, quelle scuse, nonostante il gesto lodevole.

Mi spiego meglio.

Mentre i suoi followers scendevano, ecco che lunedì sera arriva il video, dove si vede lui con la fronte aggrottata ed afflitto, con lo sguardo rivolto verso il basso che si scusa delle sue parole.

Da la colpa al suo bias di uomo bianco di cinquant’anni cresciuto in una società sessista e che non ha avuto mai modo di approfondire o leggere sulla parità di genere. Fin qui ci siamo, sono rimasta colpita perché è una questione super condivisibile, e spesso lo scrivo nei miei articoli o nei miei podcast. Alla fine la colpa non è tanto sel MBE, ma della struttura patricarle in sui viviamo.

Ma poteva fermarsi li, ma poi eccolo, che rigetta la sua gerarchia in cui lui si trova all’apice del suo impero social.

Montemagno dopo queste scuse, prosegue alzando la testa, ci ricorda che ha milioni di followers, e che ha deciso di fare qualcosa con la sua visibilità in quanto “non ha senso di scusarsi se poi uno non fa niente“. E anche questo super condivisibile: un alleato cerca di dare spazio alla discriminazione.

E come?
Dando dei soldi ad un centro antiviolenza?
Parlando di questi argomenti dopo un attenta preparazione?
No.
Dando spazio alle donne che “ne sappiano di questi temi e possano parlarne nel modo giusto” e anche qui ok. Chi ha il privilegio può diventare megafono per le persone discriminate.

Ma chi avrà l’onore di essere ospite nel fatato mondo di Mont? Solo persone che parleranno senza estremismi o luoghi comuni. Perché lui può amplificare una voce femminile, che spesso viene fraintesa, ma nel suo spazio e con le sue regole. E noi dovremmo essere grate, anzi, onorate di essere ospiti del suo spazio dorato, creato da una persona che qualche giorno prima ha detto in un video “Immagina quando poi cazzo crepi e sulla tua lapide c’è scritto “Eh come faceva vedere le pere su TikTok era da numero uno”

Cosa ne penso?

Che quello che ha detto l’influencer non erano delle scuse, ma un modo subdolo di rimettersi al centro dell’attenzione e dipingere di rosa il suo spazio (pinkwashing), senza però prendere realmente una posizione radicale. Quello che ha fatto è mostrare in maniera manipolatrice il suo potere e la sua gerarchia nei confronti delle donne e delle persone che decidono di mostrare il loro corpo in totale libertà.

Basta inoltre vedere chi sono i suoi following: pochissime donne e forse tre attiviste. I suoi ospiti? Tutti maschi. Troppo facile parlare quando vieni beccato con le mani nel miele.

E qualora il suo intento fosse dei migliori non posso certo credere che da un video in cui si offendeva la libertà di decidere del proprio corpo delle donne (una questione di cui non bisogna leggere dei classici femministi per comprenderlo, ma solo buon senso) si possa poi passare in maniera così radicale a parlare di femminismo, mettendo su un teatrino che tratta di privilegio maschile e bias patriarcali dal nulla.

A quel punto deve rivedere il suo consulente di immagine che non ha bene chiaro in mente cosa sia l’alleanza nel femminismo, rendendo tutto l’accadimento poco autentico e contro ogni principio dell’essere un “influencer”.

Che tipo di discorso si può portare avanti con una persona che non riesce a capire in pieno l’obiettivo e la causa femminista? A quel punto mi sento di dirlo: meglio un vero misogino che un finto femminista.

<hr>Condividi:
- Published posts: 138

Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

Facebook
Instagram