Una volta al mese, per l’angolo #LumierePerdonali , andrò a stroncare un film che i più hanno amato.
Conscio di attrarmi le ire funeste di molti, ma fedele ai miei gusti personali.
Tre anni dopo quanto accaduto a Isla Nublar, tutto quello che resta sta per essere sommerso da lava vulcanica.
Il governo si divide sul da farsi: salvare o meno i dinosauri rimasti in vita.
Claire e Owen tornano quindi dove tutto era iniziato in una missione di salvataggio.
Se il primo “JURASSIC WORLD” (2015) è stato un timido ma piacevole passo verso la realizzazione di una nuova saga dei lucertoloni giganti di spielberghiana memoria (un ringraziamento va dato anche e sopratutto a Michael Crichton, autore del romanzo “Jurassic Park“), questo secondo capitolo ci fa temere il peggio.
L’estinzione di una qualunque forma di sceneggiatura scritta da un cervello pensante è palese a qualunque spettatore dotato di materia grigia.
A poco serve la presenza del sessualmente paccioccoso Chris Pratt o di una stirata e simpatica-ma-non-troppo Bryce Dallas Howard. La trama, che vorrebbe clonare – sotto molti punti di (s)vista – quella di “IL MONDO PERDUTO – Jurassic Park” (1997), si perde tra insensatezze e piste a senso unico che non si sa bene dove vogliano andare.
La cosa più irritante non è tanto vedere l’ennesimo Velociraptor capace di comunicare con un essere umano, sotto la cui pelle batte un cuore e che dispensa pure qualche lacrimuccia manco fosse uscito da una telenovelas sudamericana; ma vedere l’ennesimo ibrido, il nuovo modello di dinosauro perfezionato con memoria estendibile e fotocamera inclusa!
Qui protagonista è l’Indoraptor, nato dal DNA dell’Indominus Rex shakerato con quello del velociraptor, capace non soltanto di aprire porte e prepararti il caffé, ma anche dispettoso e un tantino biricchino tanto da sogghignare (e adesso non sto scherzando!) prima di divorare l’ennesimo malcapitato.
Ben poco si salva di questo pasticcio: un giocattolone fracassone dove i dinosauri corrono da ogni parte gettando panico ma poco orrore in sala, giacché metà delle persone inziano a sbadigliare dopo 45 minuti. Bella la fotografia in certe sequenze, sia chiaro. Ma fotografare la noia non sempre è redditizio.
E se il momento di maggiore pathos dovrebbe essere la rivelazione (a 20 minuti dalla fine del film) no-sense di una bambina clonata che si scambia un lungo sguardo con un dinosauro degno di Beautiful; non puoi che sperare che la bambina sia lei pure una lucertola, un visitors magari, una “pueperaptor” o una “Bimbasaurus rex“. E invece niente!
E sul finale, nel fuggi fuggi generale di animali preistorici tra i boschi a pochi passi dalla civiltà e altri acquistati come nuove armi di distruzione, non possiamo che guardare all’alba di un nuovo sequel in cui si spera che l’umanità (assieme al regista Juan Antonio Bayona e agli sceneggiatori Colin Trevorrow e Derek Connolly) si estingua prendendosi a craniate come quell’imbranato di un pachycephalosaurus.