La prima semifinale dell’Eurovision Song Contest 2023 è archiviata. Le prime 10 canzoni si sono aggiunte a Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito e Ucraina (campione in carica) per andare a comporre il quadro dei finalisti di questa sessantasettesima, storica edizione anglo-ucraina della kermesse.
La serata, condotta da Alesha Dixon, Hannah Waddingham e Julija Sanina è stata celebrata sotto il comune denominatore della pace, con i colori giallo-blu della bandiera ucraina che hanno prevalso nella prima parte dello show.
Il motto dell’edizione, United by Music, è stato scelto proprio per sottolineare il bisogno di fratellanza tra nazioni in questo periodo storico, con una guerra nel cuore dell’Europa.
La musica del vecchio continente, mai così legata agli idiomi nazionali come negli ultimi anni, è stata grande protagonista della serata.
Per la prima volta dopo anni, il solo televoto ha deciso il passaggio in finale delle canzoni in gara, con la novità del voto del “resto del mondo” raccolto in un’unica classifica. Analizziamo nazione per nazione le performance vincitrici di stasera!
Croazia: Let 3 – Mama ŠČ!
I Let 3, gruppo dalla lunga esperienza musicale (sono in attività dal 1987) sono stati spesso al centro di polemiche in patria per le loro provocazioni. Si sono imposti al Dora (la selezione croata) lo scorso febbraio con un brano dalle tinte grottesche che racconta di un soldato costretto alla guerra da uno psicopatico ratto (il riferimento al leader russo Vladimir Putin è tutt’altro che celato). Il tutto è stato messo in scena a Liverpool con toni dissacranti, con i membri del gruppo conciati in modo da ricordare alcuni dittatori del passato ma truccati e vestiti improbabilmente con abiti femminili e mutande assortite. La resa vocale sul palco è stata tutt’altro che memorabile ma il televoto ha premiato il gruppo, che così riproporrà in finale la sua performance. Curiosità: era dal 2007 che non veniva proposta sul palco eurovisivo una canzone cantata interamente in lingua croata.
7, sono fuori di testa
Moldavia: Pasha Parfeni – Soarele şi Luna
Pasha Parfeni è una sorta di Eurovision star per la Moldavia: undicesimo classificato nel 2012 come performer e nel 2013 come autore, è tornato a calcare le scene d’Europa con un brano che si è imposto facilmente nella selezione nazionale. Il ritorno di Pasha è segnato anche da un cambiamento deciso nel look e nello stile, passato dal folk alla “Sette spose per sette fratelli” del 2012 all’etnotechno di Soarele si luna, brano che racconta un ricongiungimento dell’essere umano con la natura, una celebrazione ancestrale, a tinte magiche, con il cosmo (il titolo significa proprio “il sole e la luna”) e il creato. Filoni piuttosto consunti anche all’Eurovision, dove la differenza la fanno i performer. C’è qualche bella trovata di scena ma il risultato finale sembra un po’ pretenzioso, con troppa carne al fuoco.
6, retorico
Svizzera: Remo Ferrer – Watergun
“Non voglio essere un soldato“. Remo Ferrer ripete insistentemente questo mantra durante i suoi tre minuti in scena, e capiamo bene perché. Nonostante i buoni propositi, la Svizzera ci propina la terza ballad tutta al maschile in tre anni. Se Gjong Tears nel 2021 poteva vantare carisma e voce, col passare delle edizioni la Svizzera ci ha portato ad accontentarci delle sole voci. Watergun è più bella da ascoltare che da vedere e Remo Ferrer risulta acerbo e poco disinvolto per un palco così importante. Avrà comunque colpito la tematica, visto il passaggio in finale (anche se il brano è stato composto nel 2021, prima della guerra in Ucraina).
5, pistola alla tempia
Finlandia: Käärijä – Cha cha cha
E alla fine arriva lui, il ciclone queer finlandese. Esibitosi per ultimo, ha lasciato il graffio sul palco della Liverpool Arena con le sue unghie verdi. Kaarija è travolgente, Cha cha cha è una seria candidata alla vittoria e lui lo sa bene. Dirò di più: probabilmente è l’unico a poter battere il colosso svedese. Trionfatore in patria all’UMK, la selezione finlandese, Kaarija propone una fusione metal-dance che trova il suo epilogo nel finale con un’auto-parodia. Ed è la stessa progressione del protagonista della canzone, che tra un drink e l’altro mette da parte la paura e la malinconia per esplodere come un impetuoso cha cha cha. Pochi elementi in scena ma efficaci: la differenza la fa lui, al quale perdoniamo anche qualche imprecisione vocale.
9, queer as folk
Cechia: Vesna – “My Sister’s Crown”
Il collettivo Vesna è formato di sei artiste di nazionalità ceca, slovena e russa e My sister’s crown è un brano che inneggia alla sorellanza e al female power in quattro lingue: ceco (seconda volta in cui appare questa lingua all’Eurovision, la prima dopo 16 anni), ucraino, bulgaro e inglese. Un brano suggestivo che ha incantato il palco di Liverpool con i suoi accenti slavi, messo mirabilmente in scena come una funzione pagana tutta al femminile. Le proposte identitarie trovano sempre posto in finale: brave le Vesna.
8, coronate
Israel: Noa Kirel – Unicorn
Dopo lo scivolone del 2022, con Michael Ben David e le sue manie di protagonismo che poco sono piaciute al pubblico, Israele ha deciso di tornare nella sua zona di comfort, con il female pop che tanto piace al pubblico eurovisivo. Noa Kirel è bellissima, ha una buona potenza vocale e soprattutto una presenza scenica che lascia il segno. A questo si aggiunge una coreografia da popstar consumata: ingredienti perfetti per un risultato piuttosto scontato. Certo, non siamo davanti a un’avanguardia o a qualcosa che verrà ricordato negli anni a venire, ma per chi vuole assicurarsi un degno passaggio in finale è una scelta efficace. E l’arena apprezza.
6.5, il corno dell’unicorno
Portugal: Mimicat — Ai coração
Una proposta leggera e scanzonata dal Portogallo con Mimicat, vincitrice in patria del Festival da Cançao. Ai coraçao racconta di una disperazione d’amore vissuta con tragicomica rassegnazione e Mimicat, definita la Amy Winehouse del Portogallo, ha l’esperienza giusta per dominare il palco con ironia e sensualità, avvolta in un affascinante abito rosso, divertendosi e divertendo il pubblico. Una delle migliori proposte della serata e del Portogallo dai tempi di O jardim (2018).
8.5, il fado non ci manca
Sweden: Loreen – Tattoo
Per centrare la settima vittoria della sua storia (che la porterebbe sul tetto d’Europa insieme all’ormai bollita Irlanda), la Svezia ha tirato fuori l’artiglieria pesante. Loreen, già vincitrice con l’iconica Euphoria nel 2012 in Azerbaijan, si è imposta facilmente al Melodifestivalen con un brano tutt’altro che memorabile, ma impacchettato a festa con una performance complessa e ai limiti del parossismo, impreziosita da impressionanti giravolte vocali. Loreen è una figura piuttosto divisiva: c’è chi la considera il genio assoluto dell’Eurovision e chi la detesta, ma da qualunque parte la si guardi i tempi di Euphoria sono passati e l’approccio new age risulta un po’ appannato (orribili le unghie alla Elenoire Ferruzzi), oltre alla performance vocale piuttosto calante. Loreen molto probabilmente vincerà l’Eurovision per meriti pregressi e perché le giurie, si sa, sono da sempre asservite al colosso d’oltreØresund. Chissà se dopo il settimo trionfo per la Svezia comincerà un nuovo corso con proposte musicali più coraggiose.
5.5, forever till the end of time
Serbia: Luke Black – Samo mi se spava
Dopo aver interrogato tutta Europa sulla lucentezza dei capelli di Meghan Markle a Torino, la Serbia torna in finale con un artista molto noto in patria. Samo mi se spava (“voglio solamente dormire”) racconta uno stato d’animo di smarrimento e di incapacità di prendere in mano la propria vita, con la metafora dei videogames (“Non voglio scegliere il mio combattente. Chi prenderà il controllo di me?”). Il brano è dominato dall’elettronica, un po’ wannabe Depeche Mode, anche qui più interessante nel sonoro che nel visivo. C’erano probabilmente brani più meritevoli di passare, ma la Serbia può contare su un buon bacino di voti dai paesi satelliti.
5.5, biti zdrava
Norvegia: Alessandra – Queen of the kings
La “regina dei re” di origini italiane Alessandra Mele, un po’ regina della notte e un po’ Lucia Mondella con tanto di coroncina, apre la serata della prima semifinale e la chiude come ultima finalista annunciata. Il brano, che ha anche una simpatica versione italiana, anche qui si incardina sul female empowerment. Nonostante Alessandra cerchi di dare il meglio di sé ci troviamo davanti allo stereotipo eurovisivo per eccellenza, anche un po’ fuori tempo massimo, con vibrazioni che ci portano indietro di dieci, quindici anni. L’eurodance è un concetto ormai superato e del tutto incollocabile discograficamente, perché non lasciarlo alle spalle?
5, queen ma anche meno
Restano fuori dalla finale il pezzo olandese di Mia Nicolai & Dion Cooper, scarto del già vincitore Duncan Laurence che lascia al palo i Paesi Bassi dopo una lunga serie di risultati positivi, il duo azero dei fratelli TuranTuranx, con un remake non ufficiale di Kiss Me dei Sixpence none the richer (il plagio è evidente), l’interessante proposta indie della Lettonia (che non supera una semifinale dal 2016), la dimenticabilissima Irlanda e, purtroppo, il trio di Malta con Dance (our own party), tradito dal televoto pur essendosi reso protagonista della serata con una trascinante performance dominata da un irresistibile sax.
L’appuntamento è per domani sera, 11 maggio, con la seconda semifinale che comporrà le 26 canzoni che si sfideranno sabato.