“Dopo 25 anni di fare e disfare… un film di Terry Gilliam “L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte“.
Si apre così la nuova opera di uno dei registi più interessanti del nostro secolo.
Toby è un regista pubblicitario ormai disilluso. Quando si ritrova casualmente tra le mani il dvd di un suo vecchio lungometraggio in cui si rivisitava la storia di Don Chisciotte, Toby decide di ritornare nei luoghi dove aveva girato il film. Qui però scoprirà le tragiche conseguenze del suo operato: una giovane ragazza è diventata una escort e il vecchio calzolaio che interpretò Don Chisciotte è impazzito e si è convinto di essere realmente il protagonista del romanzo di Miguel de Cervantes.
Accolto tiepidamente al festival di Cannes, il nuovo lavoro di Terry Gilliam è una scommessa vinta a metà.
È ammirevole, da una parte, l’ostinata volontà di portare a termine un sogno covato più di 25 anni, ma il risultato pare aver risentito di tutte le difficoltà affrontate e dei ripetuti rimaneggiamenti sulla sceneggiatura.
Si riconosce fin da subito la cifra stilistica del regista di “BRAZIL” e alle soglie dei 78 anni ( li compirà il prossimo 22 novembre ) possiede ancora una grande passione per la sua arte e per la vita.
Sarà per l’età o per il travagliato “parto” di questo ultimo “figlio”, ma Terry dilata i tempi narrativi e spesso, al pari del protagonista ( un bravo Adam Driver ), pare perdersi nella sua caotica creazione.
Il film confonde i piani narrativi tra sogno e realtà e finzione, ma forse più del necessario.
Anche l’umorismo spesso arranca con fatica, come in groppa al mulo che accompagna Toby nelle sue (dis)avventure.
Ed è un peccato giacché c’è una splendida alchimia tra Driver e il grande Jonathan Pryce.
Se il film non aggiunge nulla di nuovo ai fantastici dipinti di Gilliam, sul piano teorico resta comunque una splendida riflessione su cosa significhi far cinema al giorno d’oggi. È la disillusione che accomuna tanti artisti che vedono svanire la passione iniziale davanti a quegli ingranaggi macchinosi ( permessi, produzione, post produzione, finanziatori etc. ) che sviliscono gli slanci e corrodono e corrompono l’innocenza.
E a un certo punto ci si sente davvero stupidi o folli a combattere contro dei mulini a vento.