Fino a qualche giorno fa, Taiwan e la Thailandia sembravano potersi contendere la palma del primo paese asiatico ad adottare il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Se i militari al potere in Thailandia, paese a maggioranza buddista, vogliono consolidare la loro leadership alle urne in vista delle elezioni del 2019 e cercano di approvare la legge in tutta fretta (anche in virtù della volontà popolare che sembra essere assolutamente positiva in tal senso), a Taiwan, dove la strada sembra spianata grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, un referendum voluto dall’opposizione di governo potrebbe rovesciare le decisioni della massima assise nazionale.
Ma cerchiamo di ricostruire i fatti.
La sentenza della Corte Costituzionale di Taiwan
Nel maggio 2017 la Corte Costituzionale locale, a larga maggioranza, ha deliberato in favore della legittimità dei matrimoni omosessuali, riconoscendo che il Codice Civile vigente, prevedendo solo quelle contratte tra uomo e donna, violi due articoli della Costituzione della Repubblica di Cina, ufficialmente chiamata Taiwan.
La Corte ha pertanto invitato il Parlamento a rendere esecutiva la sentenza della Corte entro due anni. In mancanza di un intervento legislativo ad hoc, la decisione della Corte sarebbe stata comunque valida a febbraio 2019, permettendo alle coppie formate da persone dello stesso sesso di sposarsi legalmente.
Questo farebbe di Taiwan, che da anni ospita il più grande Gay Pride del continente con oltre 130.000 partecipanti, la prima nazione in Asia a permettere il matrimonio gay.
La richiesta di referendum
Nel febbraio 2018, un partito della destra taiwanese contrario ai matrimoni omosessuali, “Alleanza per la felicità della prossima generazione”, ha proposto un referendum sulla questione con lo scopo di ribaltare la sentenza del 2017 che ha imposto la legalizzazione dei matrimoni egualitari pur senza un intervento del legislatore.
La commissione elettorale, dopo aver ricevuto le firme necessarie per procedere (la legge richiede l’1,5% degli aventi diritto al voto, quindi 280.000 firme), ha esaminato le richieste dei promotori e accettato istanze dei detrattori del matrimonio gay che sostengono “i valori familiari tradizionali”. La tornata referendaria si terrà sabato 24 novembre.
I quesiti
Sui dieci quesiti ammessi nel turno di voto, tre riguardano direttamente la comunità lgbti.
Il primo chiede ai votanti se si è d’accordo che le norme del codice civile limitino il matrimonio un uomo e una donna; il terzo chiede sostanzialmente se si è a favore dell’istituzione di una civil partnership tra persone dello stesso sesso (proteggendo di fatto la sacralità del matrimonio limitatamente all’unione tra un uomo e una donna), quindi escludendo il concetto di matrimonio egualitario; il quarto domanda se si è favorevoli che le norme del codice civile sul matrimonio possano essere estese anche alle coppie gay; gli altri due, pur non riguardando direttamente la comunità lgbti, sono sostenuti da quest’ultima in quanto, se avessero un esito positivo, introdurrebbero l’educazione sessuale nelle scuole e manterrebbero l’equità di genere nella disciplina.
Perché un referendum sia valido, occorre che il 25% degli aventi diritto al voto si rechino alle urne.
Le proteste
L’opposizione taiwanese, forte e coesa, punta non solo all’abbandono del proposito di insegnare l’educazione sessuale nelle scuole, ma anche a limitare l’impatto dell’ondata di politiche friendly garantendo che il concetto di matrimonio rimanga una prerogativa dei cittadini eterosessuali, e magari di sabotare anche l’istituzione delle civil partnership.
Secondo i sostenitori dei diritti lgbt, agli elettori sarà chiesto di decidere su misure “confusionarie” esposte con un linguaggio “complicato e contraddittorio“, paventando l’ipotesi che l’esito referendario possa generare risultati opposti.
La posizione degli attivisti arcobaleno è di grande scetticismo e contrarietà soprattutto nei confronti della presidente Tsai Ing-wen, leader del Partito Democratico Progressista al potere, colpevole di non aver agito immediatamente con una legge ad hoc dopo la sentenza dell’Alta Corte. La rabbia è alimentata anche dalle promesse della campagna elettorale di Tsai, poi disattese dalla sua maggioranza in maniera speculare ad un’opposizione bene organizzata. Tuttavia, la posizione ufficiale del governo è quella di “colmare le differenze con una proposta di legge” e di “prendere atto della spaccatura della società” sul tema.
Secondo la testata “The diplomat“, tuttavia, un mandato pubblico forte contro il matrimonio egualitario potrebbe lasciare il governo nella posizione assurda di legiferare su una sentenza della Corte a fronte di una decisione popolare di vietarlo.
Le opposizioni hanno anche innescato un meccanismo machiavellico di fake news e notizie tendenziose atte a manipolare la volontà degli elettori, tanto da richiedere l’intervento, lo scorso 1 novembre, dell’Autorità Indipendente di Controllo (una sorta di AGCOM taiwanese) che ha pubblicato un report con l’intento di chiarire le idee sui tre quesiti cardine della tornata di voto. La discussione online è stata inquinata, infatti, da false asserzioni come il rischio che il matrimonio gay influenzi il calo della natalità di Taiwan, insieme a preoccupazioni del tutto infondate come la migrazione dei malati di AIDS a Taiwan per trarre vantaggio dall’assicurazione sanitaria del paese.
Come se non bastasse, i promotori del referendum hanno sabotato i dibattiti pubblici sul tema occupando gli spazi previsti per gli attivisti lgbtq.
Tuttavia, mentre Taiwan si prepara a decidere sui referendum che potrebbero rigettare la sentenza della corte del 2017 e rinchiuderla in un limbo, i sostenitori della LGBTQ andranno alle urne chiedendo se l’attuale pantano legale fosse, in primo luogo, davvero necessario.
I diritti LGBT a Taiwan
Ad oggi, solo alcune municipalità di Taiwan riconoscono alle coppie dello stesso sesso limitate prerogative. Non è permessa la stepchild adoption né la surrogazione di maternità. Per il cambio di sesso è prevista l’operazione di rimozione dei genitali mentre sono vietate, da dieci anni, le terapie di riconversione nel territorio nazionale.