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TOUCH ME NOT e l’arroganza che cela le anime

- 22/02/2019
TOUCH ME NOT ognuno ha diritto ad amare


TOUCH ME NOT è arrivato in Italia col titolo OGNUNO HA DIRITTO AD AMARE. Ibrido tra film e documentario e installazione video, una riflessione sulla sessualità e l’intimità tra esseri umani.

Laura prova ribrezzo e fastidio nell’essere toccata.
Prova a superare questo nel guardare e farsi guardare dall’altro.
Christian è nato con gravi menomazioni fisiche che gli impediscono di muoversi, eppure ha una compagna con cui condivide un’attiva vita sessuale. Essi, all’interno di un workshop sulla consapevolezza del corpo, avvicinano Tudor, un ragazzo dall’aspetto innocuo, desideroso di creare una connessione umana, ben consapevole di dove lo portino i suoi desideri.

touche me not (OGNUNO HA DIRITTO AD AMARE)
TOUCH ME NOT è stato premiato con l’Orso d’Oro alla 68esima berlinale

La regista Adina Pintilie parte con delle idee condivisibili e un obiettivo più che lodevole: mostrare le forme altre della sessualità dell’altro/diverso perché lo spettatore sia portato a interrogarsi su se stesso e su quella ricerca comunemente umana di un’intimità tra due o più individui.

Peccato che lo faccia nella maniera e nei tempi e nel linguaggio più sbagliati possibile.

Un lavoro durato sette anni, inspiegabilmente selezionato alla 68esima Berlinale e poi addirittura premiato con l’Orso d’Oro, che ha trovato una sua forma poco chiara.

TOUCH ME NOT non è un film, perché avanza per interviste e segue persone reali che parlano di loro stesse davanti a un interlocutore (la regista stessa). Ma esso non è neppure un documentario giacché la presunta verità viene “manipolata” e veicolata su diverse direzioni e vicoli ciechi, dove le persone si muovono seguendo un copione (questo è evidente quando Laura pedina e osserva Tudor che a sua volta pedina una ragazza o quando questo va in un locale sadomaso e qui “sorprende” casualmente Christian e la compagna intenti a far sesso).

touch me not il film

Non possiamo definire questo lavoro pornografico nel senso comune del termine (dove attori consenzienti usano il loro corpo per mostrare amplessi più o meno coreografati), ma lo è nel senso più subdolo e volgare. È pornografico come certi talk show o reality dove la telecamera si insinua nella quotidianità degli individui; dove resta a guardare anche quando sarebbe opportuno o delicato distogliere lo sguardo; che violenta i sentimenti mercificandoli.

TOUCH ME NOT è questo.
Se il fine era quello di mostrare una diversità di forme di amore che sono le medesime per tutti e quindi affermare un diritto ad amare come e chi si vuole, questo non-film guarda e spia e si sofferma su tutto (sui capezzoli, sulle dita, sui seni cadenti, sulla cellulite o sulle menomazioni di corpi diversi, sulla saliva che cola ai lati di una bocca, sui peli pubici o sui genitali), tranne che sul cuore, tranne sull’amore.

Ed è la regista la figura più ambigua di questa operazione.
Ella si pone dietro e davanti alla telecamera, si autoproclama portavoce di un messaggio che neppure lei sa comprendere o sentire.
Quella comprensione che vorrebbe far nascere e donare allo spettatore è solo un feto morto.

Touch me not di Adina Pintilie
Una delle tantissime sequenze in cui la regista Adina Pintilie compare nella sua opera.

Il suo sguardo anaffettivo può solo rivolgersi con distacco i suoi “freaks”, ridotti involontariamente a scherzi della natura esibiti nel suo asettico show.
Già, perché essa non rispetta la dignità della sue cavie, si accosta ad esse, le guarda, le ascolta con calcolata freddezza e con una certa superiorità di chi sa e può comprendere tutto.

No! Adina non comprende, non include,non guarda l’altro (se non se stessa), non accoglie né loro né lo spettatore. Anche quando si commuove e mostra la sua vulnerabilità lo fa soltanto quando punta la telecamera su se stessa. Adina esibisce la sua fragilità, non la condivide.

Le rare volte in cui potrebbe crearsi una connessione tra lo spettatore e l’interprete, ecco che l’ennesimo artificio rompe quel cordone ombelicale violentemente: un cameraman passa davanti a Laura che è tremante e quasi piange. A che scopo? A ricordarci che quanto vediamo non è un film?

A farne le spese sono poi quelle persone che la regista vorrebbe farci comprendere, conoscere.
Più volte la telecamera ci mostra il corpo sgraziato di Christian, menomato da un’atrofia muscolare, soffermandosi sui particolari più tragici o patetici.
E se anche egli parla con intelligenza della sua condizione e di quelli che sono i suoi desideri, tutto resta sulla superficie, come sudore acre sulla pelle.

TOUCH ME NOT
Gli ambienti in cui si muovono i personaggi sono spesso asettici, stranianti, freddi.

E dalle tante riflessioni vediamo il sesso come una conquista, come un’affermazione dell’esistenza, come un nemico, come un’evasione, come un atto politico.
Viene quindi ricondotto a tutta una serie di slogan e di bandiere ormai sbiadite, usurate, superate: il sesso non è mai solo e semplice piacere, non è mai un “noi”.

Dopo due estenuanti ore di girato che non arrivano a nessuna conclusione, ci si chiede quale sia il messaggio, se mai è esistito.

Forse Adina Pintilie, al pari di certi politicanti moderni, è partita con tutte le buone intenzioni del caso, ma durante i lunghi sette anni di lavorazione e di rimaneggiamento e di masturbazioni mentali ha perso completamente lo spirito iniziale; ha smarrito il cuore e l’idea di base per creare uno spazio (dis)umano dove vagano corpi nudi e basta.

E sono certo – sicurissimo – che le persone che si mostrano sullo schermo abbiano una storia e un mondo interiore degno di essere raccontato, ma la loro anima resta fuori dall’inquadratura.
Le volte in cui questa anima scalpita e tenta di evadere per mostrarsi arriva la regista a calpestarla col suo ego.

TOUCH ME NOT è in definitiva un prodotto volgare, offensivo, pornografico, sconclusionato, noioso, fintamente tollerante, artificioso, pericoloso.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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