Eccoci alla terza parte dell’appuntamento eurovisivo di BL Magazine.
A Tel Aviv le cose si fanno sempre più interessanti: la produzione ha annunciato diverse novità che andrebbero a influire sul voting, che di fatto cambierebbe ancora dopo la rivoluzione svedese del 2016 (contrassegnata dall’annuncio delle due classifiche – giuria e televoto – separate e non più sintetizzate in un’unica top 10) che ha reso, a onor del vero il momento dell’annuncio dei voti molto più appassionante.
Sarà anche questione di giorni l’annuncio del l running order, lo scopriremo insieme la prossima settimana.
Francia
La France! Douze points!
Nazione storicamente legata all’Eurovision per ragioni linguistiche ma anche musicali, perché tra gli anni ’50 e ’60 la Francia ha vinto 4 volte, per poi tornare a trionfare nel ’77 (insieme a Paesi Bassi, Spagna e Francia). Peccato che da allora il vuoto, il nulla. Dopo essersi affidati a una signora chanteuse nel 2009 in Russia, Patricia Kaas (da molti considerata l’erede di Edith Piaf), la Francia ha collezionato solo brutte figure, fino a che, nel 2016, a prendere le redini della delegazione non è stato un italiano belloccio e fisicato, Edoardo Grassi, che ha rimesso un po’ di cose in sesto: il sesto posto, infatti, è stato quello conquistato da quel bonazzo di AMIR con “J’ai cherché”, il dodicesimo quello di Alma con “Requiem” nel 2017 e il tredicesimo di “Mercy” di Madame Monsieur, toccante brano sul tema dell’immigrazione da molti dato per favorito ma che ha potuto solo soccombere davanti all’armata Meta/Moro italiana. Ad ogni modo, pas mal.
Anche quest’anno la Francia, pur orfana di Grassi, ha voluto tentare la carta della selezione nazionale. A vincerla è stata Bilal Hassani, ragazzo classe ’99 che ha avuto poca fortuna con i talent show e pertanto ha ripiegato con Youtube, tanto da essere considerato una delle personalità lgbt più influenti di Francia. Il brano, Roi, ricorda un po’ le tematiche care alla Conchita Wurst di Rise like a Phoenix, ma l’interprete non gode di altrettanto carisma. Tra gli autori si annoverano Émilie Satt e Jean-Karl Lucas, appunto i Madame Monsieur.
La Francia gareggerà nella finale del 18 maggio.
Belgio
Dopo tre top 10 di fila e un flop dovuto più ad una performance sbagliata che ad un brano inadeguato, il Belgio torna più agguerrito che mai all’Eurovision Song Contest, alla ricerca della sua seconda vittoria (la prima, e unica, risale al 1986 con “J’aime la vie” di Sandra Kim).
La situazione eurovisiva del Belgio è singolare, e va spiegata attentamente: ha due tv affiliate all’EBU che si alternano nelle partecipazioni all’esc, una legata alla comunità fiamminga, negli anni pari, e una appartenente all’area vallona (francofona) che quest’anno, come in tutti gli anni dispari, prende parte all’evento. Queste partecipazioni prima si traducevano in due lingue differenti che si davano il cambio sul palco, olandese e francese. Dopo che però la regola della lingua nazionale è decaduta, oltre all’inglese, varie e interessanti sono state le proposte di brani cantati anche in lingue immaginarie (2003 e 2008).
Per la selezione interna della tv vallona, quest’anno, la scelta è ricaduta su tale Eliot (già annunciato a gennaio), diciottenne già visto a The Voice Belgio, a cui è stata affidata questa canzone, Wake Up, scritta da Pierre Demoulin che vanta, come autore, un ottimo quarto posto nel 2017 con City Lights (cantata da Blanche). Il brano è meno bello di City lights però, ed Eliot non ha la voce singolare di Blanche.
Gareggerà nella prima semifinale (14 maggio).
Paesi Bassi
Da “Cenerentola” dell’Eurovision fino al 2012 (per ben 8 edizioni non sono riusciti ad agguantare l’accesso alla finale), i Paesi Bassi sono tornati ad essere competitivi dal 2013 schierando una delle cantanti dutch più famose al mondo: Anouk, che con la sua Birds si è classificata nona. È stato però l’anno successivo che i Paesi Bassi hanno raggiunto l’exploit che tanto attendevano: l’inaspettato secondo posto per “Calm After the Storm” dei Common Linnets. E dopo di allora hanno fallito solo nel 2015.
Quest’anno, i Paesi Bassi hanno deciso di puntare in alto: Duncan Laurence, cantautore belloccio di 26 anni che nel video di Arcade, la canzone selezionata, nuota nudo in una placenta blu. Noi ringraziamo perché è un bel vedere, e anche perché il brano è una ballad sussurrata con venature oniriche. Una canzone d’amore intensa e di grande impatto, che finora è prima nelle scommesse. Resta da vedere come, i Paesi Bassi, decideranno di mettere in scena questo splendido brano: lo staging potrebbe effettivamente fare la differenza.
Si esibirà nella seconda semifinale, quella in cui l’Italia ha diritto di voto.
Regno Unito
Il Regno Unito ha partecipato a quasi tutte le edizioni dell’Eurovision, saltandone solo una negli anni ’50. Per un curioso caso, pur avendo collezionato cinque vittorie, ha ospitato la manifestazione otto volte, questo perché quando una nazione vincitrice si rifiutava di organizzare, la BBC accorreva in soccorso. Nebbia sulla Manica, il continente è isolato.
Pur essendo una delle due nazioni legittimata da Dio a cantare in inglese (insieme all’Irlanda) e potendo attingere da una tradizione pop da fare invidia a chiunque, UK non ne approfitta. Perfino l’Azerbaijan canta in inglese, per dire, e ogni anno si classifica meglio di ‘sti poracci che nessuno si fila.
La BBC, nel terzo millennio, a quanto pare si diverte a partecipare all’ESC solo per timbrare il cartellino e giustificare lo stipendio di Graham Norton, il commentatore ufficiale, simpatico come il mal di pancia alle tre di notte e smaccatamente filo-svedese, senza vergogna.
Dopo annate di pessimi risultati di selezione interna (per due anni hanno mandato all’ESC due vere e proprie cariatidi, il crooner Englebert Humperdinck e la vecchia ubriaca Bonnie Tyler), il Regno Unito si è deciso a organizzare un piccolo Festival: Eurovision You Decide. A vincerlo, l’anno scorso è stata una tale sfigata che sembrava Milena Gabanelli in disarmo, una certa SuRie con Storm, ricordata solo perché un folle, durante la sua esibizione a Lisbona, si divertì a improvvisare un’invasione di campo.
Quest’anno, a fregiarsi del compito di rappresentare il Regno Unito c’è un altro scappato di casa, Michael Rice, con “Bigger than Us“. Lui ha vinto All together now (nuovo talent in arrivo anche in Italia), mentre il brano è scritto da un team anglo-svedese. La canzone vorrebbe attingere dal soul, ma è cantata male e prodotta peggio. Veramente imbarazzante se pensiamo che UK ha dato i natali ad Amy Winehouse, Adele, i Beatles.
Irlanda
L’Irlanda detiene il record assoluto di vittorie all’ESC: ben 7, collezionate in gran parte negli anni ‘90, decennio nel quale ha trionfato 4 volte: 1992, 1993, 1994 e 1996. Altro record è l’aver vinto per due annate, 1980 e 1987, con lo stesso cantante, Johnny Hogan. Una nazione dal passato glorioso, insomma. Dico passato perché il presente non è propriamente roseo per l’Irlanda, che dal 2014 al 2017 ha mancato la finale, per poi tornarci l’anno scorso con una ballad gayfriendly.
La scelta interna quest’anno è ricaduta su Sarah McTernan, che canterà 22, brano frizzante e spensierato che finalmente si allontana un po’ dalle canzoncine da tisana allo zenzero e pianini intimi delle ultime edizioni.
Sarah ha un passato da concorrente di The Voice e ha fatto gavetta in una band, i JEDS.
Gareggerà nella seconda semifinale (16 maggio).