Esattamente dieci anni fa l’Italia intera si svegliava scoprendo una delle più terribili catastrofi naturali contemporanee.
Esattamente dieci anni fa il sonno di più di 100.000 persone fu interrotto per fuggire dalle proprie case e correre per strada.
Esattamente dieci anni fa 309 persone morirono schiacciate dalle macerie.
Alle ore 3.32 del 6 Aprile 2009, L’Aquila era ridotta a brandelli, sfregiata in volto.
Un terremoto di magnitudo 6.3 fu percepito in molte località italiane molto distanti dal capoluogo abruzzese.
Questa storia triste la ricordiamo tutti e a 10 anni di distanza da quel tragico evento abbiamo voluto dar voce a chi L’Aquila l’ha dovuta lasciare.
Abbiamo contattato la Famiglia Larcinese.
Peppe e Maria hanno vissuto gli attimi di terrore di quella notte. Le sorelle Francesca e Valentina ci raccontano cosa e come è cambiata la loro vita e la loro Città in questi 10 anni.
Valentina Larcinese precisa che per tutti gli aquilani la data del 6 aprile 2009 è l’Anno Zero. Dove tutti e tutto hanno cambiato stile di vita. Le emozioni sono ancora forti. Il terremoto ha lasciato una cicatrice aperta nell’animo di chi a L’Aquila ci viveva.
Sono passati 10 anni dal terribile sisma che ha distrutto la vostra città. Ci raccontate quella terribile notte?
Francesca Larcinese : “Non so se i miei mai riusciranno a risponderti a questa domanda, così se hai voglia mi prendo la libertà di darti la mia versione di quella notte.
Io in quel periodo vivevo a Pescara e quella notte non sentii nemmeno la scossa, mi svegliò mio marito Massimo.
Già da qualche tempo tornavo spesso a L’Aquila per motivi di lavoro, e così avevo vissuto in prima persona l’escalation delle scosse eppure eravamo stati tranquillizzati, ci avevano detto che era tutto normale e così quella mattina di Marzo, quando sentii le ante dell’armadio battere ripetutamente mia madre dall’altra stanza mi disse “Non ti preoccupare. è solo il terremoto“. Mi dividevo per le mie ricerche fra le due sedi della biblioteca provinciale in Piazza Palazzo e a Collemaggio. Ancora oggi quando vedo le foto della biblioteca crollata mi sento mancare.
Comunque dopo la scossa delle 3.32 riuscii a mettermi in contatto con mia madre che per fortuna aveva avuto la prontezza di preparare un kit di emergenza e di prendere il telefono cordless correndo fuori casa.
Quando sono riuscita a prendere la linea ho sentito solo una voce dall’altra parte del telefono che diceva “Siamo vivi”. La giornata è stata un rincorrersi di chiamate e messaggi: io per sapere come stavano i miei amici e quelli della mia famiglia; gli amici fuori l’Aquila per sapere come stavamo…la sera del 6 aprile i miei arrivarono a Pescara, ci era stato sconsigliato di metterci in viaggio verso l’Aquila. Fu una giornata eterna finché non arrivarono. Ho visto mio padre piangere per la prima volta, è stato come se per la seconda volta in meno di 24 ore il mio mondo fosse imploso.
Il giorno dopo siamo tornati all’Aquila, passando all’Ipercoop di San Giovanni Teatino, facemmo scorta di qualsiasi cosa sarebbe potuta servire a chi era a L’Aquila. La cassiera pianse davanti a noi quando gli dicemmo che stavamo rientrando a L’Aquila, si alzò dalla sedia della cassa quasi per abbracciarci, fu molto toccante….
Il terremoto ha scosso non solo la terra ma anche le vite dei suoi cittadini: come ha modificato il corso delle vostre vite?
I primi tempi sono stati terribili, senza punti di riferimento, senza casa, anche se i miei non sono nati a L’Aquila io sono nata lì ed è a quella città che ho sempre sentito di appartenere. Il terremoto ha spazzato le mie aspettative per il futuro, nel 2011 la mia prima gravidanza mi ha “sbattuto” in faccia concretamente l’infrangersi di tanti sogni. Avevo sempre immaginato una futura me con il passeggino al parco del sole, o intorno al Castello, nel giardino di casa dei miei, in centro con le mie amiche. Ho sentito davvero di aver perso tutto e vivere a Pescara mi era ancora più odioso, a Pescara non era successo nulla e tutti continuavano a vivere le loro vite alla moda.
La vostra famiglia ha perso la casa: in che momento avete deciso di abbandonare L’Aquila e a che prezzo avete pagato questa scelta?
Non so se abbandonare sia il termine giusto…a ridosso del terremoto i miei decisero di tornare a Gessopalena dove c’era casa di mia nonna e avvalersi della cosiddetta “autonoma sistemazione”.
E’ stato il tempo della ricostruzione a imporre questa scelta…la casa, classificata E, quindi notevolmente danneggiata, è stata riconsegnata dopo circa 4 anni.
4 anni sono tanti nella vita di una famiglia e così alla fine i miei hanno deciso di non rientrare.
In 10 anni molto é stato ricostruito: quali sono i vostri luoghi del cuore e della vostra quotidianità aquilana che vi mancano?
Mi manca tutto, mi mancano tutti i luoghi della mia infanzia, la mia scuola elementare. Negli anni dell’adolescenza vivevo praticamente in centro, lì c’erano i licei, si usciva da scuola e ci si ritrovava sul corso, nel tardo pomeriggio ci si ritrovava lì e poi ancora, a volte, dopo cena. Mi manca l’odore del pane nei vicoli intorno a Piazza Palazzo, il mercato in piazza duomo, le serate in via Sassa. E’ tutto un mondo perso…
Come percepiscono i vostri figli questo grande cambiamento, loro sono piccini, ma sono sicuro che é stato argomento di discussione.
I miei figli conoscono tutta la vicenda legata al terremoto, io, loro e mio marito siamo stati gli ultimi a dormire nella nostra casa a L’Aquila: quando si giunse alla decisione definitiva da parte dei miei genitori di non rientrare facemmo una specie di campeggio. La casa era vuota, senza mobili, senza cucina, era l’estate del 2016: facemmo un grande materasso di coperte nella mia stanza e ci dormimmo due notti. Li portai in centro e fuori dal centro, cercando di dare uno sfondo concreto a tutte le storie che avevo raccontato loro di quando ero bambina e poi ragazza all’Aquila. E’ stato come quando si lascia una persona pur amandola: un addio struggente.
Come sperate possa cambiare L’Aquila nei prossimi 10 anni?
A me basterebbe vederla ricostruita…
Valentina Larcinese: “Varie vicissitudini mi avevano già allontanato dai luoghi della mia infanzia e gioventù ma comunque c’era sempre l’occasione per tornare e ritrovarsi.
Poi, con il terremoto c’è stato come un colpo di spugna, un cambio netto e drastico soprattutto per chi era lì.
La notte tra il 5 e 6 aprile è stata l’ultima che i miei hanno dormito a casa loro. Non è successo mai più. L’ultima volta che c’ero stata io fu a gennaio. Non è successo mai più.
Dopo 10 anni la sensazione che si ha è quella di una pianta coltivata con tecnica idroponica: le tue radici sono aeree, con poca terra per ancorarsi e poca acqua per nutrirle.Cerchi di trovare nuova terra ma, in età adulta, mettere radici è una delle sfide più complicate della vita.
E così, quelle rare volte che sono tornata a L’Aquila, ho ritrovato la scenografia di una vita “precedente” recuperata in buona parte ma senza attori. Spero che presto si ritorni a quello spettacolo che era la vitalità del centro storico. Spero, infine, che presto riapra il museo del Castello, prima che le mie figlie non siano troppo grandi per gustare la meraviglia e lo stupore ritrovandosi davanti al Mammut. Ogni bambino, in epoca pre-sisma, ha vissuto questa emozione.