Quelle brave ragazze, Naomi e le altre

- 13/10/2024


Redattore per un giorno: Giovanni Montini di Torino, vive a Roma, classe ’74 , lavora nella moda, ha pubblicato tre romanzi.

Belle. Perfette. Irraggiungibili.

Hanno cavalcato le passerelle più prestigiose del mondo, posato davanti all’obiettivo dei fotografi più influenti, ammiccato dalle copertine delle riviste più esclusive.

Erano loro, le TOP. Cindy, Naomi, Linda, Carla, Claudia, Eva. Non c’era bisogno di aggiungere altro.

Ancora oggi, è sufficiente il loro nome per evocare lusso, raffinatezza, glamour.

Per un decennio, i favolosi nineties, hanno dominato, come imperiture regine, l’indomito fashion system.

Prima di influencer e social media, sono state loro a dettare tendenze, ispirato stilisti, indicato mercati. Con indosso un costosissimo abito di haute couture, sono entrate nelle case della gente, rendendosi popolarissime.

Eppure, queste ragazze provenienti da ogni parte del mondo, qualcuna già ricca, qualcun’altra di origine più modesta (chissà se poi sarà stato vero), non facevano nient’altro che camminare altezzose su infinite pedane, sorridere quasi sdegnate, riempire i rotocalchi con le loro avventure sentimentali circondate dall’opulenza più sfacciata spremendo faticosamente qualche lacrima.   

Ma il loro vero talento, nemmeno poi tanto nascosto, è stato quello di rappresentare al meglio un’epoca d’oro della moda, trainato un’economia, un periodo che ha trasformato delle semplici mannequin in vere e proprie star. La bellezza si è rivelata uno strumento, formidabile e potente, che ha permesso a queste ragazze di ribaltare canoni, stereotipi, dinamiche di potere, influenzando intere generazioni, per riuscire a cambiare alcuni aspetti della società.

Nate dal genio creativo di Versace, non si sono lasciate solo vestire, o all’occasione svestire, ma saputo ricavarsi un ruolo diverso, da protagoniste, per certi versi anticonformiste, ramificando in molteplici ambiti. Ecco che hanno dato voce (e corpo) alle donne, combattuto pregiudizi, razzismo, rivendicando maternità. Ovviamente, dietro lauti compensi. E servizi fotografici inclusi.

Ma l’inafferrabile circo della moda sbaracca e pianta le sue tende altrove con estrema facilità. Dopo averle trasformate in icone, si è rivelato iconoclasta, voltandogli le spalle.

Un anno fa, hanno trasmesso su una piattaforma (a pagamento) una serie tv, diretta da un acclamatissimo e pluripremiato regista, in cui se ne raccontavano le gesta come tante eroine mitologiche scacciate dall’Olimpo, evidenziandone il lato più umano, intimo, meno scintillante. 

Una stagione sarà anche finita, senz’ombra di dubbio, ma nonostante la lotta transfemminista, il #metoo e l’inclusività di genere, queste ragazze sono riuscite a ricavarsi uno spazio imperituro nell’immaginario collettivo. I loro volti patinati, resi ancora più seducenti dal photoshop, continueranno a sorriderci sornioni dalle copertine di riviste oramai sgualcite e ingiallite come foglie secche d’autunno.  Qualche intellettuale dell’ultima ora le ha già definite archeologia della moda, paragonandole ad un accessorio di lusso, costoso e superfluo, ma dallo stile anacronistico.  

Il loro tempo è scaduto, appartiene al passato, ma è grazie anche un po’ a loro che abbiamo sognato. In grande. Almeno una volta.

Foto fonti: NSSG CLUB, ANNI80 NET, VANITY FAIR E INSTAGRAM

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Vivo a Roma ma originario della Sicilia. Attivista nel volontariato sociale, mi occupo di pittura, fotografia, scrittura e arte pop: alcune mie opere sono state esposte in diverse gallerie e mostre nazionali.

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