52 anni fa la rabbia e l’orgoglio dello Stonewall Inn costrinsero alla resa la polizia di New York. Volarono mattoni, tacchi, monetine, pugni. La comunità lgbt di New York, stanca di essere considerata la feccia della società, per la prima volta decise di non chinare il capo e di reagire. “Ne avevamo avuto abbastanza” disse Sylvia Rivera, uno dei volti simbolo della ribellione anni dopo, “non ci fregava niente di morire, volevamo solo combattere per ciò in cui credevamo“.
Tanto si è detto su quella notte: la carica sulla polizia, le auto ribaltate, le migliaia di persone coinvolte negli scontri. Oggi Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson sono considerate due icone di Stonewall e le pioniere del Gay Liberation Front, ma i racconti dei reduci di quella rivolta d’estate che cambiò per sempre le sorti di gay, lesbiche e transgender in tutto il mondo citano anche di un’altra figura che rivestì un ruolo fondamentale nel “risorgimento” omosessuale che partì dal bar newyorkese: Stormé DeLarverie.
Definita da qualcuno “la Rosa Parks della comunità gay“, Stormé DeLarverie è ricordata oggi come la donna lesbica il cui tentativo di arresto è spesso riconosciuto come il momento esatto che ha incendiato i disordini di Stonewall.
Chi era Stormé DeLarverie
Stormé DeLarverie nacque nel 1920 da una relazione clandestina tra sua madre, una donna afroamericana, e il padrone di casa bianco della casa dove lavorava come domestica. La sua data di nascita non è mai stata conosciuta esattamente, ragione per cui lei adorava festeggiare il suo compleanno la vigilia di Natale.
DeLarverie realizzò di essere lesbica all’età di 18 anni, dopo un’adolescenza difficile in cui, alla discriminazione per il colore della pelle si sommava quella per il suo aspetto androgino. L’amore della sua vita fu una ballerina di nome Diana, con la quale rivelò di essere stata insieme per circa 25 anni, fino alla morte della danzatrice negli anni ’70. Stormé non si separò da una foto di Diana per tutto il resto della sua vita.
La sua fisicità vigorosa e il suo aspetto mascolino le fecero guadagnare un posto di fiducia nella scorta di alcuni mafiosi di Chicago, che la vollero come bodyguard. Anni dopo si ritrovò a calcare le scene come artista di punta nella Jewel Box Revue, il primo spettagolo en travesti dell’Apollo Theatre, storico palco di Harlem, dove si esibiva come drag king. Qui sfoggiava baffi e zoot suit su misura tali da renderla del tutto simile a un ragazzo, e fu d’esempio e ispirazione a molte altre lesbiche dell’epoca che iniziarono a indossare abiti tradizionalmente maschili. La sua carriera come performer è stata esplorata nel documentario del 1987 Stormé: The Lady of the Jewel Box.
L’abbigliamento gender fluid è stato molto esplorato nella moda nelle ultime stagioni, ma l’approccio allo stile di DeLarverie ne è un esempio precoce e sorprendente.
Stormé, protagonista dei Moti di Stonewall
Si arriva al 1969, e qui il racconto si confonde con la leggenda, perché ciò che accadde esattamente quella notte del 28 giugno nessuno lo sa con certezza. La confluenza dei ricordi dei reduci di Stonewall ci rimanda a un clima di generale esasperazione per le violenze e i soprusi, ma nessuno si è mai curato di fornire una cronaca esatta di quelle ore concitate, della quale sono pervenute narrazioni molteplici ma divergenti nei dettagli.
Secondo la ricostruzione oggi più accreditata, confermata dalla diretta interessata e da altri testimoni, Stormé DeLarverie era allo Stonewall Inn a lavorare come buttafuori quando il raid della polizia iniziò nelle prime ore del mattino. Sebbene la resistenza al raid sia cominciata all’interno del bar stesso, si dice spesso che la vera ribellione per strada sia partita per merito di una donna lesbica che molti hanno identificato proprio con DeLarverie.
Stormé fu portata di peso fuori dal bar per essere identificata – una vecchia legge americana obbligava le donne a vestire con almeno tre indumenti femminili perché il travestitismo era vietato – ma nel tentativo di fare resistenza fu colpita alla testa dal manganello di un ufficiale. La ferita cominciò a sanguinare copiosamente, le manette erano molto strette, la folla accalcata davanti al locale cominciò a manifestare con foga il suo disappunto.
Guardò la ressa di gente con disperazione: “Perché non fate qualcosa?“, urlò, nel tentativo di incitare la calca a un moto d’orgoglio. Gli agenti, per placarla, la scagliarono sul retro dell’auto della polizia con forza. La donna reagì con un pugno. Fu allora che la folla esplose in un boato che diede inizio alla carica degli ultimi, degli emarginati e dei discriminati contro la polizia.
È verosimile che questa storia sia realmente accaduta, tant’è che nessuno tranne Stormé DeLarverie si è mai assunto i meriti di aver spinto il popolo di Stonewall a reagire. Tuttavia, è probabile che non ci fu un solo episodio scatenante ma più accadimenti simultanei che, cumulativamente, condussero alla ribellione.
“Nessuno sa chi ha tirato il primo pugno, ma si dice che l’abbia fatto, e lei ha detto di averlo fatto“, rivelò al New York Times la sua amica Lisa Cannistraci, tutrice legale e proprietaria di un bar per lesbiche del Village, dopo la sua morte.
I moti di Stonewall trasformarono per sempre DeLarverie, che in seguito diventò una feroce attivista e paladina della comunità LGBT+. Si dotò di un porto d’armi statale e decise di pattugliare i quartieri intorno ai bar per lesbiche per braccare omofobi o intolleranti o, come l’ha descritta lei stessa, fermare la “uglyness” (bruttezza) contro la sua comunità. Rivendicare la propria identità, per lei, era stato particolarmente complicato e non voleva che gli altri fossero perseguitati per la loro. Considerava l’intero quartiere come territorio di sua giurisdizione, si aggirava per le strade come una supereroina lesbica e non amava essere disturbata mentre pattugliava la zona.
“Riesco a individuare il brutto in un minuto“, dichiarò in un’intervista del 2009 del NYC. “Nessuna persona che mi conosce si avvicina a me. Se ne andranno e basta, ed è una buona cosa da fare perché o prendo il telefono o ti inchiodo“.
Un esempio di coraggio
Stormé diventò un punto di riferimento alle sfilate e ai raduni dei cortei che seguirono Stonewall, e continuò a lavorare come buttafuori nei locali di sole donne fino all’età di 85 anni. Nel frattempo continuò a esibirsi, spesso in occasione di raccolte fondi per donne e bambini vittime di abusi e facendo volontariato anche per organizzazioni e enti di beneficenza queer.
È stata anche un membro rispettato della Stonewall Veterans Association, ricoprendo diversi incarichi tra cui capo della sicurezza e ambasciatore. Dal 1998 al 2000 ha ricperto anche la carica di vicepresidente.
Nel 2010, colpita dalla demenza senile, DeLarverie si trasferì in una casa di cura a Brooklyn. Pur non rendendosi conto di ritrovarsi in una residenza per anziani conservava i ricordi dei disordini di Stonewall e della sua infanzia. Il 7 giugno 2012 Brooklyn Pride Inc. l’ha onorata alla Brooklyn Society for Ethical Culture. Due anni dopo, il 24 aprile, il Brooklyn Community Pride Center ha onorato DeLarverie “per il suo coraggio“. Un mese dopo, Stormé DeLarverie si è spenta a Brooklyn per un attacco di cuore all’età di 94 anni.
Stormé DeLarverie oggi, fuori dagli Stati Uniti, è ancora poco conosciuta, ma la fierezza con la quale si è battuta a Stonewall e lungo tutta la sua vita oggi ci ricorda che davanti alle ingiustizie, tutte le volte che la bruttezza tenterà di inquinare la nostra comunità, dovrà risuonare nel nostro orgoglio quella domanda che ha cambiato il corso della storia per le persone queer di tutto il mondo: “Perché non fate qualcosa!?“
fonti: NY Times, Blackpast.org, gq.com