Ci sono date in grado di cambiare la storia di uno stato e il 9 maggio è quella che ha segnato la storia italiana. In un solo giorno, il nostro paese si ritrovò a piangere due morti: a Roma, venne trovato, dopo cinquantacinque giorni, il corpo dell’onorevole della Dc Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, mentre a Cinisi, veniva assassinato Peppino Impastato, giornalista in prima linea nella lotta contro Cosa Nostra.
La lotta alla mafia di Peppino
“Nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio.
Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di Giustizia che lo portò a lottare.
Aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato.
Si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un’ideale ti porterà dolore” descrivevano Peppino i Modena City Rambles, nella canzone I cento passi, che narra la storia del cronista siciliano. Cento passi, quelli che dividevano l’abitazione di Peppino da quella di Tano Badalamenti, capo della cosca mafiosa di Cinisi.
Quella di Peppino Impastato è la storia di un uomo che ha sfidato la sua famiglia, un’intera città e un retaggio culturale radicato nella connivenza e nell’illegalità. Il cronista, nato a Cinisi il 5 gennaio 1948, crebbe all’interno di una famiglia mafiosa: il padre Luigi, durante il fascismo era stato confinato per due anni ad Ustica, e suo zio, Cesare Manzella, era il capomafia della città. Manzella venne ucciso nel 1963 e l’evento segnò la vita d’Impastato che, forse per la prima volta, capì la vera natura del mondo in cui era cresciuto, del significato dei valori omertosi che gli erano stati trasmessi sin dall’infanzia, rendendosi conto di volersi schierare dalla parte opposta rispetto a quella di suo padre.
“Mafia, una valanga di merda”
La passione per la politica emerge subito in Peppino, come ricordava Stefano Venuti, comunista scomodo in una città come Cinisi: “Ai miei comizi ricordo sempre presente un ragazzino che, mentre tutti quelli della sua età giocavano e correvano, se ne stava seduto sul marciapiede ad ascoltare per tutto il tempo. La prima impressione che ebbi quando lo conobbi, fu quella di un ragazzo dotato di entusiasmo e di un desiderio enorme di giustizia e di onestà.” Nel 1965, per l’esigenza personale di reagire alla condizione familiare che gli era divenuta insostenibile, fonda insieme a dei giovani vicini al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, il giornale L’idea socialista, celebre per il suo articolo: “Mafia, una valanga di merda”.
Divenuto negli anni una fonte d’ispirazione, Peppino decide di mettere in atto una vera e propria rivoluzione culturale che porterà avanti anche attraverso Radio Out, inaugurata nel maggio del 1977.
Racconta Salvo Vitale, amico del cronista, “Compravamo sei quotidiani al giorno per svelare gli inganni dell’informazione di regime.” Nel notiziario di controinformazione, Impastato denunciava gli affari della città, da lui definita Cinisi-Mafiopoli, e del capo Badalamenti, rinominato Tano Seduto, “viso pallido ed esperto in lupara e traffico d’eroina”.
Nel settembre del 1977, il padre di Impastato morì casualmente investito da un’automobile. Al funerale, Peppino “rifiutò pubblicamente, davanti a tutto il paese, di stringere la mano a coloro che ogni giorno nei comizi, nelle trasmissioni di Radio Aut, indicava come mafiosi, e come tirapiedi di Tano Badalamenti. Questa fu probabilmente l’offesa più grande che poté fare alla mafia del suo paese”, scrisse la giornalista Bartocelli per le pagine de I Siciliani.
Dopo la morte, ricordiamo casuale, dell’affiliato Impastato, il clan poteva colpire indisturbato Peppino che continuava a denunciare le irregolarità che avvenivano nel territorio soggetto al controllo di Badalamenti. Inoltre, nel 1978 decise di lottare contro la collusione politica candidandosi alle elezioni comunali in cui, il 14 maggio, a meno di una settimana dalla sua morte, verrà simbolicamente eletto.
“Peppino Impastato si è suicidato”
Peppino venne ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 ma a poche ore dal ritrovamento del corpo, dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani, i carabinieri giunsero ad un’altra conclusione delle indagini: Peppino si era suicidato.
Nessuno volle prendere in considerazione l’ipotesi di omicidio mafioso: Peppino si era suicidato, nonostante tutti fossero a conoscenza dell’alta densità mafiosa presente a Cinisi e dei continui scontri con Badalamenti.
Sarà il magistrato Antonino Caponnetto, sei anni dopo, ad affermare la presenza mafiosa all’origine del delitto ma solamente nel 2002, dopo numerosi depistaggi e insabbiamenti di prove, si riuscirà ad accertare la responsabilità di Gaetano Badalamenti come mandante dell’omicidio.
Peppino è stato ucciso e noi oggi abbiamo il dovere di scrivere che la mafia è una montagna di merda.