La questione adolescenziale, relativa a quella fascia di popolazione che oggi si identifica come “generazione z“, è una delle questioni aperte e irrisolte di questo periodo storico, di cui la pandemia ha acuito le fragilità. Cosa pensano i giovani? Cosa dicono i giovani? Quali strumenti utilizzano i giovani per gestire le proprie emozioni, i propri sentimenti?
Le risposte a queste domande, nei decenni, ce le ha date spesso la letteratura. Da Salinger col suo Giovane Holden, che negli anni ’50 raccontava l’insofferenza al conformismo e alle regole, a Rocco e Antonia (Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera) di Porci con le ali, che vent’anni più tardi sperimentavano la sessualità come strumento di affermazione politica e di ortodossia ideologica. E poi la statunitense Zoe Trope, acclamata in patria, che nel suo diario scritto mentre le torre gemelle collassavano chiedeva scusa “per i suoi quindici anni” e raccontava una vita tutte bugie e refusi.
A tratteggiarci uno scenario piuttosto interessante della «generazione z» è oggi Timothy Megaride, eteronimo di un autore misterioso, che il 1 aprile ha pubblicato il libro Adolesco per Il Ramo e la Foglia Edizioni. Una confessione a cuore aperto del sedicenne Tommaso, libera ed eterodossa nella grammatica, ma proprio per questo più autentica. Il flusso di coscienza di Tommaso, figlio unico di famiglia benestante romana, racconta in modo rocambolesco le tappe più importanti del suo “adolescere“.
La scoperta della sessualità, cuore pulsante di tutto il romanzo, passa attraverso una diseducazione sessuale che lo porterà a vivere esperienze vivide e disperate, che lasceranno in lui un’impronta indelebile per tutta la vita. Megaride, nei panni di Tommaso, incardina un racconto circolare, ampio e imprevedibile. Scopriamo lentamente della sua amicizia con Riccardo, l’amico del cuore con cui sperimenta una sessualità precoce e inconsapevole, il rapporto prezioso con Giona, lo psicologo che lo seguirà dopo vicende che avranno conseguenze nefaste su persone a lui vicine, l’interazione – difficile e ostile – con i genitori avvocati, che nel libro imperniano il rigido mondo degli adulti, diffidente e ostile, privo di sfumature e articolato in “protocolli” rigidi e obbligati, e per questo incomprensibile alla percezione di un sedicenne.
In Adolesco si toccano temi importanti: il consenso, il revenge porn, il cyberbullismo, l’educazione sentimentale e quella sessuale, la consapevolezza. Tutto filtrato dagli occhi irrequieti di Tommaso che, a dispetto di una durezza apparente, mostra in più occasioni un grande senso di giustizia.
Ciò che distingue Adolesco da molti altri romanzi sul mondo adolescenziale (o di formazione) è che Tommaso, a differenza dei suoi illustri predecessori letterari, non ha paura di essere pop. È ben lontano dalla malizia lolitesca di Melissa P o dall‘atto sessuale come atto politico di Rocco e Antonia; Tommaso vive le sue contraddizioni in maniera naif, elabora i film e le serie tv che vede su Netflix per riflettere su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non è un adolescente prodigio, non possiede un vocabolario forbito, la sua educazione sessuale è bypassata dal porno. E nella sua imperfezione regala momenti che spaziano dall’esilarante al drammatico in una virgola, un cambio improvviso di registro, un frammento di ricordo.
Per saperne di più abbiamo raggiunto l’autore Timothy Megaride, col quale abbiamo chiacchierato di Tommaso e di adolescenza, per tracciare una linea tra il vero e il verosimile, e anche un po’ per scoprire chi si cela dietro un libro tanto imprevedibile.
Ciao Timothy. Di te si sa pochissimo, se non che hai scritto Adolesco e il tuo è un “nome di penna”. Il libro di cui sei autore, tuttavia, ha una scrittura così travolgente e caratterizzata che si rischia di confondere te “autore” con il Tommaso “protagonista”. Cosa puoi dirci in più di te?
La tecnica narrativa dello straniamento non è certo una mia invenzione. Io non sono Tommaso, se non altro per una questione anagrafica. Ho qualche annetto in più, non parlo e non scrivo come lui, credo di non aver mai detto parolacce in vita mia. E tuttavia temo di aver “sofferto” l’adolescenza più o meno come qualsiasi altro giovincello nato entro i confini della cosiddetta cultura occidentale. Scavo anche dentro di me, ma non sono Tommaso. Parlo con decine di ragazzi di ambo i sessi. Ne deduco che c’è un’adolescenza universale e una contingente, storica. La maniera in cui gli esseri umani “in fieri” manifestano malessere e disagio muta negli accidenti, non nella sostanza. Se decontestualizzi l’esperienza interiore di Holden Caulfield (Salinger), puoi ben trovare in lui qualcosa di Tommaso. Così come puoi rinvenire un Tommaso in tutta la vastissima produzione letteraria che, almeno da Dickens in poi, si è occupata di ragazzi.
Come mai usi uno pseudonimo?
A me dà piacere mescolarmi alla gente, ascoltarla, provare a mettermi nei suoi panni. Mi sembra di poter capire di più. Vorrei sfuggire alla farsa delle “false” celebrazioni e dell’autocompiacimento. Meglio che a giudicare sia direttamente il lettore. Anche se dice peste e corna del libro che ha comprato, è almeno onesto, dice quel che pensa. I miei amici del cuore, i miei familiari si sentirebbero obbligati a celebrarmi. Nessuno lo farà, ignorando chi si cela dietro Megaride. Ho bisogno di verità.
Come hai sviluppato Adolesco?
Pressocché quotidianamente i giornali riferiscono qualche magagna o qualche autentico dramma di adolescenti, che si tratti di bullismo, stalking, revenge porn o suicidi. È uno stillicidio. Per altro verso, conosco molto bene il mondo della “generazione Z”, per motivi di lavoro (non sono un insegnante). Tommaso emerge da letture e tanta esperienza. Un relativamente recente fatto di cronaca variamente riecheggiato dai quotidiani dell’intero territorio nazionale mi ha spinto a scrivere.
Quanto c’è di Tommaso in te, e quando di Timothy c’è in Tommaso?
Il comportamento del ragazzo in questione è esattamente un atto di ribellione ai suoi genitori perbenisti. Io non sono Tommaso, io sono Giona [lo psicologo di Tommaso, ndr], non so se è chiaro. Giona lascia che Tommaso parli e straparli, non interviene quasi mai. Gli dice semplicemente: è normale! Quanti di noi sanno dire ai loro figli adolescenti “è normale ciò che stai passando”? Alcune critiche malevole mi hanno accusato di essere un pornografo e un “pervertito”. Chi me le ha mosse non sa chi è Timothy Megaride, ma sa chi è l’altro scrittore che si firma col nome anagrafico. L’altro scrittore, il vero me, tratta temi ben più scabrosi, ma lo fa nei modi garbati della prosa colta, della bella pagina di letteratura. Che sia timore reverenziale o piaggeria, nessuno mi ha mai dato del pornografo o del “pervertito”. È una questione di registro, dunque una mera questione formale.
Cosa, chi, o quali esperienze di lettura ti hanno ispirato nella forma letteraria che hai scelto di utilizzare?
Nell’intervista rilasciata agli editori e pubblicata sul loro sito web fornisco un elenco consistente di scrittori che mi hanno colpito per lo stile e il registro linguistico. Inutile ripetermi. Dico solo che da Verga a Camilleri, la tecnica dello straniamento ha innumerevoli cultori. Non includo nel novero gli scrittori stranieri letti in traduzione, avendo nessuna o scarsa cognizione della loro lingua originale. Come suonano in giapponese i libri di Murakami? Il più recente esempio di straniamento è il bel romanzo di Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio (minimum fax 2019).
Nella confessione di Tommaso è riversato molto di quel senso di spaesamento – e spesso alienazione – di quella che oggi viene definita “generazione Z”. Cosa credi che manchi agli adolescenti di oggi e cosa, invece, hanno in più rispetto a chi li ha preceduti?
Innegabilmente le moderne e sofisticate tecnologie agevolano l’apprendimento e le relazioni umane. Si superano di fatto i confini nazionali e il contatto tra culture diverse potrebbe tradursi in dialogo interculturale e in tolleranza. Tuttavia, il carattere per lo più virtuale dei nostri legami produce narrazioni, non esperienza. Le narrazioni possono generare miti e credenze non esattamente neutre. Supporre che le narrazioni siano fonte di conoscenza distorce la realtà e ce la fa apparire diversa da quella che è. L’impressione è che i ragazzi vivano all’interno di una perenne favola e che non vogliano uscirne. Temo che un simile atteggiamento possa provocare grandi disastri se non si corre ai ripari. Devo capire che l’influencer dei social media, chiunque egli/ella sia, è un essere umano come me, con pregi e difetti analoghi ai miei e che spesso non è affatto vero che ne sappia più di me. Eppure, ha su di me un grande potere e può spingermi a comportamenti totalmente irrazionali e dannosi per me e per gli altri. È una solfa, lo so: la rappresentazione di un fatto non è il fatto. Io devo essere capace di insegnare ai giovani a distinguere la realtà dalla sua parziale o distorta rappresentazione filmica, iconica, verbale e così via. Educare allo spirito critico (in senso filosofico) è una priorità. Quanti insegnanti lo fanno davvero?
Buona parte della storia di Tommaso ruota attorno al sesso e alla sessualità. Credi che a Tommaso – così come agli adolescenti di oggi – manchi più un’educazione sentimentale o un’educazione sessuale?
Il sesso è una scoperta spontanea: i ragazzini e le ragazzine, con qualche lieve differenza di tempistica, scoprono che toccare alcune aree del corpo dà piacere. Inizialmente si tratta di una novità che può spaventare, ma poi ci si abitua e ci si prova gusto. I nostri ragazzi, forse assai presto rispetto alle precedenti generazioni, sono dediti alle pratiche sessuali. Perdere la verginità per tempo sembra a loro un obiettivo prioritario. Quando scrivevo Adolesco, un ragazzino al quale cercavo di estorcere qualche confidenza, mi gridò dietro: «Ahò, guardate Sex Education, lì ce sta tutto». Si tratta di una serie televisiva britannica molto nota anche in Italia. Non è proprio un capolavoro, ma effettivamente qualcosa mi ha fatto capire. Per altro verso ho il conforto, diciamo, del mondo scientifico. Sostengo e supporto un gruppo di volontari ospedalieri che si occupano di malattie sessualmente trasmissibili (MST). La fascia di età delle persone che le contraggono, compresa la sieropositività all’HIV, è davvero bassissima. Mi sono imbattuto in adolescenti che, a motivo di pratiche sessuali precoci e poco accorte, hanno posto qualche seria ipoteca sulla loro vita di adulti. Vedi la bella testimonianza di Jonathan Bazzi (Febbre, Fandango 2019) per capire cosa intendo. Qui non si tratta di educazione sessuale, ma di educazione sanitaria. Si tratta di igiene e credo che le scuole, se non ci fossero tanti pregiudizi, potrebbero anche occuparsene, anzi dovrebbero, come auspica il mio Tommaso. Quanto ai sentimenti, occorre sapere che cosa sono. Non penso che possano inquadrarsi nell’affabulazione romantica che, a distanza di secoli, ancora orienta i nostri comportamenti. Il grado di attenzione che rivolgiamo agli altri esseri umani, ma anche agli animali e alla natura, dipendono dalla responsabilità più che da un aleatorio “sentire”. Parlerei di educazione alla responsabilità più che di educazione sentimentale. Forse è la responsabilità che genera il sentimento.
Il Parlamento sta facendo molta fatica ad approvare la Legge Zan contro l’omotransfobia. In Adolesco si racconta diffusamente di bullismo e cyberbullismo omofobico. Cosa pensi a riguardo?
Opinione? Da quando in qua massacrare qualcuno è un’opinione? Le leggi regolano condotte, non astratti pareri. Molteplici comportamenti sono lesivi dell’umana dignità e perniciosi per la pacifica, civile convivenza. Che la legge ne preveda la fattispecie e ne contrasti la pratica non è un male. Ma non è sufficiente. Resta lettera morta se non accompagnata da una sana e diffusa cultura dell’inclusione. Dobbiamo tutti rimboccarci le maniche. Certamente la legge condanna l’omicidio, ma l’omicidio continua ad essere lo sport preferito di persone inclini all’istinto bestiale e alla violenza. Se la bestia di turno azzanna l’omosessuale e il transessuale, non potendo (e non dovendo!) uccidere il predatore, cerchiamo di mettere al sicuro la preda. In tutti i modi possibili.
Quali nuove strade narrative pensi che ti abbia aperto Tommaso di Adolesco? Hai già cominciato a scrivere un nuovo libro?
A Tommaso voglio bene. Lo adotterei volentieri, ma ha già dei genitori biologici che, a conti fatti, non sono niente male. L’origine sociale di Tommaso serve semplicemente a dire che certe cose capitano nelle migliori famiglie. È stato un mero accidente la pubblicazione del libro. Sono stati gli editori, persone a me molto care, a chiedermi di pubblicare con loro. Conoscono gli altri miei romanzi e parte della mia produzione saggistica. Mi hanno spesso coinvolto in alcune loro lodevoli iniziative. Ingoiato il rospo dell’anonimato, hanno accettato di pubblicarmi, rischiando molto, lo riconosco, se non altro come imprenditori. I libri hanno dei costi che in qualche modo devono rientrare. Non si va da nessuna parte senza l’adeguata risposta del mercato. Ho consegnato loro il manoscritto meno rischioso. Un precedente romanzo, chiuso oltre due anni fa e frutto di un faticoso lavoro di ricerca durato circa cinque anni, forse vedrà la luce, forse no. Se Adolesco va male, non mi azzarderò a proporre un’opera ben più complessa e che tratta temi assai più scottanti. Sarò io stesso a capire che non è aria. Non ho intenzione di tradire la fiducia dei due giovani editori che mi stanno sostenendo come possono, e non li metterò neppure in imbarazzo. Leggere e scrivere sono le mie due passioni, elementari. Penso che continuerò a coltivare questi due hobby.