Harry Belafonte è morto l’altro ieri a 96 anni a New York: la sua città da sempre. I suoi genitori erano degli emigrati giamaicani e riuscirono a trovare un alloggio nel ghetto di Harlem. Belafonte visse in condizioni di estrema emarginazione sociale, in un’America circonfusa di razzismo. Il suo contributo culturale è stato enorme: portò alla conoscenza popolare del mondo la musica calypso e tutta l’influenza creola delle isole caraibiche. Nei primi anni Cinquanta batté Elvis quando diventò il primo artista a vendere un milione di copie con Calypso portando in cima alle classifiche ritmi jamaicani e africani. La sua popolarità planetaria torno prepotente nelle classifiche grazie anche al regista iconico Tim Burton che inserì nel suo celebre “Beetlejuice – Spiritello porcello” del 1988, moltissime canzoni di Belafonte.
96 anni di successi.
Ancora ventenne gli si aprirono le porte di Hollywood. Fu immediatamente scritturato per interpretare Carmen Jones, L’isola nel sole, La fine del mondo, Strategia di una rapina. Poi aprì una sua casa di produzione tutta sua per poter decidere autonomamente cosa recitare ed evitare di incastrarsi in ruoli stereotipati dove la maggior parte dei colleghi neri dell’epoca erano incappati.
In quegli anni ad Harry Belafonte incontra a un giovane predicatore e attivista per i diritti civili del Sud: Martin Luther King. Il suo percorso cinematografico si modifica per sempre: rifiuta le parti da ‘professore nero’, ‘avvocato nero’, ‘poliziotto nero’ che, però, vennero assegnati ad un altro protagonista della lotta dei neri per l’uguaglianza, il suo vecchio collega dell’American Negro Theatre di Harlem negli anni Quaranta, Sidney Poitier.
In quegli anni la Tv nazionale gli affida anche il Talk Show serale: “The Tonight Show” del 1968.
Purtroppo del suo programma non esiste più alcuna traccia dato che le cassette utilizzate all’epoca erano riutilizzabili due volte. Belafonte portò in prima serata Martin Luther King e Bobby Kennedy a parlare dei diritti della comunità afroamericana aiutando notevolmente la coscienza popolare.
Belafonte dunque si tuffa nell’attivismo. Marcia contro la segregazione, andando in Alabama a chiamare ‘Bombingham’ la cittadina di Birmingham nella quale gli attentati dinamitardi del Ku Klux Klan erano una consuetudine. Artisti e attori neri, in quegli anni Sessanta complicati, optavano per la linea tracciata da Poitier: agire dall’interno del sistema per piantare il seme del progresso. Non per Belafonte che dopo l’assassinio del suo amico fraterno Martin Luther King voleva far seguire al funerale una marcia antirazzista.
L’Fbi lo sorvegliò attentamente dal 1954 al 1981. Lui torna al cinema nel 1972 diretto da Poitier. Negli anni novanta sono molteplici i suoi cammei in diversi film: per Robert Altman (I protagonisti, 1994) e Spike Lee (BlacKkKlansman, 2018).
Dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 attacca George W. Bush per la la guerra in Iraq.
Nel 2018, secondo anno dell’era Trump, la biblioteca del Congresso lo onora includendo Calypso tra le grandi opere americane conservate nel suo archivio. E lui festeggia l’ingresso nel pantheon andando in tv spiazzando tutti. Infatti dichiarò in diretta: “l’America è corrosa dal razzismo, ha un dna fallato. La lotta contro il razzismo sarà permanente… Ero al fianco di Martin, e di Bobby Kennedy. Faccio parte del loro lascito, finché vivrò”.