Questa settimana BL LIBRI vi presenta un saggio interessantissimo e divergente: BRUTTA – storia di un corpo come tanti di Giulia Blasi, pubblicato da Rizzoli.
LA TRAMA
Perché mai un uomo può “essere brutto” – magari calvo, con un naso prominente, occhi sporgenti… – mentre alle donne è richiesto di rispettare precisi canoni estetici e di apparire sempre giovani e attraenti? È una domanda per la quale non abbiamo una risposta soddisfacente. Una donna nasce, cresce e passa tutta la vita a tenersi alla larga dall’essere identificata come “brutta”: è la storia raccontata da Giulia Blasi in questo libro, una raccolta di saggi brevi che hanno l’esplosività di una serie di monologhi lucidi e affilati, a metà tra ferocia e risata. Dall’infanzia alla prima adolescenza, dai vent’anni all’età in cui comincia l’invecchiamento, la storia del suo corpo è la storia del corpo di ogni donna: un corpo che va nel mondo con la consapevolezza della quantità di spazio che può occupare e di attenzione che può pretendere in ragione di come viene etichettato. Una consapevolezza che cambia prospettiva se ci si pone la domanda iniziale e poi si prosegue secondo la stessa logica chiedendosi: chi ha detto che, per occupare uno spazio pubblico, per vivere appieno in società, si debba per forza essere belle?
LA RECENSIONE
Quando mi è arrivato questo libro credevo, erroneamente, fosse una ennesima disanima sul “body positive”, un libro sull’imposizione del “doversi amare” in qualunque forma. Pensavo di dover affrontare pagine di rassegnazione estetica mascherate da buonismo con la buccia d’arancia. Invece, leggere Brutta è un viaggio conturbante all’interno di uno schema politico ben orchestrato da millenni: il patriarcato. Blasi sostiene in questo meraviglioso saggio che dietro la costante inadeguatezza estetica ciclica del corpo delle donne si celi il piano maligno di non far emergere la parità di genere. Il corpo delle donne diventa manifesto e territorio politico:
“[…] se sei una donna non ti puoi mai dimenticare di avercelo, un corpo. Puoi al massimo prendere delle decisioni su come e quanto mostrarlo, e le prenderai, con maggiore minore successo, e puoi essere sicura che non saranno mai soddisfacenti, come puoi essere sicura che tutti vorranno avere un’opinione in merito.”
Questo meccanismo, ormai diventato inconscio, è instillato nella mente delle donne in primis. Spunti e riflessioni puntualissime sul concetto di “bella presenza”. Blasi inoltre si schiera a musoduro sul mal costume maschile giudiante a prescindere. Il corpo degli uomini non deve mai passare sotto il detector sociale. Se hai l’addominale di Lino Banfi o la chioma boccolosa di Claudio Bisio, il corpo degli uomini è praticamente sempre sufficiente per affrontare la vita e il giudizio altrui. Anzi, Blasi sostiene, che il metro di giudizio del mondo e delle dinamiche sociali sia proprio il pene maschile:
“Come se il cazzo fosse una bachetta magica che ti fa smettere di avere opinioni, come se il maschio medio avesse davvero la capacità di obnubilare ogni posizione politica dissenziente con la sola imposizione della sua nerchia… ragazzi io non voglio dire, ma vi state un tantinello sopravvalutando. Del resto, sai che novità: lo fate sempre. […] vi svelerò un segreto: “nessuna, nessuna, nessuna, era femminista perché era brutta e quindi i maschi la schifavano. Eppure è successo a tutte, o a quasi tutte, di sentirselo dire: sei femminista perché sei cessa […]”
Brutta è plasmata affinche le fruitrici finali siano proprio le ragazze in formazione.
Regalatelo a tutte le ragazze del Mondo!