Nella terza parte di “Storia della Sessualità” Michel Foucault concentra la sua riflessione nella dicotomia tra liceità degli afrodisia nel vincolo matrimoniale e la loro gestione, sempre più problematica, fuori da tale contesto e nei rapporti tra uomini.
In tarda età Ellenestica (II sec. d.C.) si paventa infatti il rischio che il matrimonio si privi dei piaceri sessuali, a tutto vantaggio dei rapporti con “i ragazzi”, per usare l’espressione foucaultiana. Il punto di riferimento per ovviare a questo pericolo diventa, per Foucault, l’opera di Musonio Rufo Reliquiae, nel quale l’invito a prendere moglie diventa perentorio per il buon cittadino.
Tre sono infatti le divinità alle quali questo vincolo si consacra: Era, che tutela le nozze, Afrodite, che presiede al rapporto fisico tra moglie e marito, ed Eros, che platonicamente consacra la legittimità dell’unione. La moglie quindi non è (più?) una concubina, né la nutrice dei figli e il dominus della casa e dei suoi beni: pleno iure il sesso ed i suoi piaceri fanno il loro ingresso nell’istituzione matrimoniale. Con moderazione, però.
Plutarco infatti, ci ricorda Foucault, ne I precetti coniugali, raccomanda di non “istruire” troppo la donna sui segreti di un’eccessiva attività sessuale, e, parimenti, di non indugiare nella castità. Le virtù del giusto mezzo, aristoteliche, sono preferibili, per “non pentirsene”.
La paura, quindi, che troppa conoscenza degli atti sessuali possa minare la stabilità dell’unione è sempre sottesa, si aggira. Per Foucault il matrimonio va interpretato come il più classico dei dispositivi di controllo sociale, perché, contestualmente, l’amore omosessuale subisce un sempre più drastico cambio di paradigma.
L’amore maschile diventa diseducativo in età romana.
L’amore per i ragazzi “perde di fiato e intensità” scrive Foucault. Non scompare come pratica, ma perde di centralità in quello che potremmo definire, sempre parafrasando il filosofo francese, l’ordine del Discorso. Il rapporto con i ragazzi per il cittadino-filosofo dell’età Ellenistica è de-problematizzato, meno meritevole di riflessione dotta.
In età Romana, ad esempio, l’amore omosessuale si pratica sotto la Lex Scatinia, che condannava ogni tipo di rapporto tra adolescenti liberi, limitando per tanto questa attività agli schiavi. Si fa largo, grazie all’attività pedagogica istituzionalizzata di Quintiliano, l’idea che l’amore maschile non sia educativo, perde cioè la forza della filia che era la posta in gioco del legame sociale tra uomini, quel legame di cura che nel pieno fulgore delle poleis trovava una funziona sociale non solo accettata, ma incoraggiata.
Il matrimonio, l’avanzare delle istituzioni imperiali sottraggono terreno al rapporto tra gli uomini come costitutivo della trama sociale del tempo: qui si innesta, ma la cosa ci porterebbe fuori tema, la riflessione di Foucault sull’Ellenismo come età dell’individualismo.
La morale cristiana, l’austerità e l’unica liceità del matrimonio
Foucault concentra la sua analisi attorno a tre testi. Il Dialogo sull’amore di Plutarco, il Dialogo sull’amore dello pseudo-Luciano e le Dissertazioni di Massimo di Tiro. Essendo questo mio intervento poco più di un invito alla lettura, non mi dilungherò sull’analisi di questi tre testi, che però indicano una strada di ricerca chiara. L’austerità avanza e prende il centro del discorso: si stanno preparando le basi, afferma Foucault, per legiferare sia in senso religioso che nel diritto sulla unica liceità del matrimonio.
Egli scrive di un abbozzo di morale diversa che troverà grande successo in Età Moderna (l’Età Classica) e che aprirà un dibattito tra le morali Cattoliche e Protestanti che giungerà fino al ‘900.
Quello che questa riflessione suggerisce è il crescere dell’inquietudine nella gestione del rapporto tra l’atto sessuale (ed il piacere ad esso connesso) e il corpo, nel quale si fa largo la conseguenza morale in termini di giudizio psicologico, in quanto gesto perturbante e non più edificante.
Matura, grazie all’età Carolingia, la diffusione della morale cristiana come fonte unica e della cultura e dell’etica. Le pratiche omosessuali escono, progressivamente, dall’ordine dei discorsi ammissibili.
L’atto sessuale diventerà affine alla diffusione di malattie disdicevoli (il mal francese) già sul finire del XV secolo, può causare mali psicologici, vere e proprie manie. Si sviluppa il dispositivo della cura di sé, intesa come insieme di atti che devono prevenire le malattie che diventano, in età Moderna, causa istantanea di social labelling e di conseguente allontanamento dalla vita sociale e commerciale*.
Nella cura di sé è l’etica dell’obbedienza cieca a dominare la scena, è l’inquietudine, sobillata dalle procedure di controllo sempre più stringenti (le cerimonie di accertamento della fertilità maschile prima del matrimonio nobiliare, della verginità della donna come simbolo di purezza), uno schema che assume connotati sociali, culturali e, soprattutto,una forte medicalizzazione che esclude senza appello l’amore per i ragazzi.
*qui dovremmo aprire una lunga parentesi sulla crescita della borghesia e del suo sistema strutturale, destinato ad imporsi tra la fine dei XVIII e XIX secolo, come ha spiegato Marx, supporto concettuale di Foucault.
a cura del Prof. Alberto Maiale, docente di Storia e Filosofia e vicepresidente della Società Filosofica Italiana – Sezione di Bari