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Dalla leggenda alla nascita di Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta

- 08/05/2020


Telegiornali, libri, serie tv raccontano quotidianamente la mafia, ognuno da un punto di vista differente, parlando di un gruppo criminale diverso, facendo luce su alcuni aspetti e mettendone in ombra altri. Conosciamo i nomi, i luoghi e le date che hanno segnato la storia dell’Italia, e non solo, ma non tutti sanno come e quando questi gruppi sono nati.

Non è semplice il lavoro di chi vuole rintracciare l’effettiva nascita delle organizzazioni criminali nel nostro paese, a causa dei vari soggetti protagonisti, delle differenti epoche e delle molteplici ragioni per cui sono nati, nonostante una comune a tutti: la volontà e la spregiudicatezza di alcuni soggetti, pronti a tutto per modificare il loro status sociale ed accumulare ricchezze.

Sulla nascita dei tre grandi gruppi criminali Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra esiste anche una leggenda che affonda le sue radici a Toledo, nel 1412. Tre cavalieri spagnoli, dai nomi Osso, Mastrosso e Carcagnosso, decisero di rivendicare la sorella e il suo onore oltraggiato da un uomo. Commesso il delitto, i tre vennero riconosciuti e condannati a quasi trent’anni di carcere da scontare nell’Isola di Favignana. La leggenda narra che, durante il periodo di detenzione, i cavalieri maturarono regole d’onore ed omertà e una volta liberi decisero di separarsi: Osso rimase in Sicilia per divenire il fondatore di Cosa Nostra, Mastrosso superò lo stretto di Messina e si stabilì in Calabria mentre Carcagnosso proseguì fino alla Campania.

La storia fortunatamente ci fornisce informazioni reali per non dover fare affidamento a una leggenda creata per legittimare l’operato criminale.

Come è nata Cosa Nostra

La mafia siciliana fonda le sue radici nella prima metà dell’Ottocento.

Nonostante nel 1812 fosse stata decretata la fine del sistema feudale, nell’isola resistette fino all’Unità d’Italia. I signori siciliani continuavano ad affidare le proprietà terriere ai gabellotti, loro amministratori, che riscuotevano le gabelle anche mediante l’utilizzo di metodi violenti ed intimidatori. Insieme ai nobili, usurpavano e occupavano le terre demaniali e degli usi civici dei contadini, incapaci di opporsi. Iniziarono a riunirsi in associazioni segrete, conosciute come unioni e fratellanze.

Con il passare degli anni, i gabellotti aumentavano il loro potere e le loro ricchezze. Molti diventarono baroni, grazie all’acquisto di terre, e quando non riuscivano ad acquisire nuovi campi, rimanevano comunque i più i forti all’interno della relazione con i proprietari, perché possedevano le macchine agricole, il bestiame, le sementi e il denaro, tutto l’occorrente per portare avanti le attività agricole.

Con l’Unità d’Italia, anche i funzionari statali chiesero a questi uomini protezione, ordine e sicurezza nelle loro zone, consapevoli che avrebbero potuto ottenere più risultati rispetto allo Stato appena nato. Quando non erano i funzionari a chiedere il loro intervento, li boicottavano per far comprende chi aveva realmente il potere in Sicilia. Così ottennero un elemento ancora oggi indispensabile per la loro organizzazione: il controllo del territorio.

La prima battuta d’arresto del fenomeno mafioso è individuabile nell’azione repressiva del prefetto fascista Cesare Mori. Insediatosi a Palermo nell’ottobre 1925, il prefetto di ferro riuscì a colpire molto in alto, come nel caso dell’ex ministro della Guerra Di Giorgio, e molti mafioso emigrarono negli Stati Uniti per evitare la cattura, accolti e aiutati da Cosa nostra americana.

Le radici della Camorra

Su questo gruppo criminale i riflettori si sono accessi del tutto nel 2006, attraverso la pubblicazione di Gomorra di Roberto Saviano, e i successivi film e serie tv tratte dal romanzo. Eppure, questo fenomeno pare fosse già radicato nel territorio campano nel diciottesimo secolo, i cui membri venivano chiamati compagnoni, si spostavano in gruppi di quattro e “lavoravano” controllando le prostitute, il gioco d’azzardo e facendo rapine. Quello che è condiviso da tutti gli studiosi del tema, è datare nel diciannovesimo secolo la nascita dell’organizzazione segreta intesa come una sorta di massoneria della plebe napoletana.

Durante il delicato passaggio dai Borboni ai Savoia, a Napoli comandava il prefetto di polizia Liberio Romano, definito da diversi storici colui che fece la fortuna della camorra. Arruolò nella polizia e nella pubblica amministrazione molti uomini del gruppo trasformando una realtà criminale ai margini della società in una forza capace di condizionare la politica e l’economia di Napoli.

Il fenomeno venne sottovalutato durante il periodo fascista, Mussolini diede la grazia a diversi camorristi carcerati, alcuni diventarono squadristi e vennero sfruttati per sedare violentemente le proteste operaie. Molti decisero di emigrare in America come i siciliani.

‘Ndrangheta, le origini

Le informazioni che si hanno su questo gruppo criminale sono le più carenti e non fanno altro che confermare il perché oggi sia l’organizzazione più potente in Italia e tra le più influenti nel mondo: è stata da sempre sottovalutata e in questo modo ha potuto lavorare e creare un impero del tutto indisturbata.

Dalle poche notizie certe, possiamo parlare di ‘Ndrangheta, simile a quella odierna, durante la formazione dello stato unitario, anche se in un documento cartografico, risalente al 1595, si è scoperto che una vasta area del Regno di Napoli, l’attuale Calabria, era già nota come Andragathia region, terra abitata da “valorosi uomini“.

Grazie ai preziosi studi di Enzo Ciconte, uno dei primi ad occuparsi del fenomeno calabrese, sappiamo che tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo, gli ‘ndranghetisti praticavano furti, estorsioni e gestivano la prostituzione. Tratto comune con le altre due organizzazioni criminali era un associazionismo non su base familiare, cosa che poi la ‘Ndrangheta interromperà di fare perché comprese la forza dei legami di sangue.

Durante il periodo fascista si credette di aver debellato il fenomeno ma la storia ci insegna che quello che avvenne fu tutt’altro.

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Marchigiana a Torino. Compro più libri di quanti ne possa leggere.

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