Edito in Italia da MREditori, “Delitto a Ramallah” è l’opera ultima, fortemente controversa in patria, di Abbad Yahya.
Ambientato a cavallo tra il 2009 e il 2013, attraverso la storia raccontata in prima persona da tre giovani ragazzi, Ra’uf, Nur e Wisam, e dei loro intimi pensieri che pulsano nelle giornate sporche di esistenze sospese, si pone in modo piuttosto critico nei confronti di una “questione palestinese” ancora irrisolta, immersa nel suo retaggio culturale ancorato ad un conservatorismo ingombrante. Un vicolo cieco esistenziale reso ancora più duro dagli effetti dell’ooccupazione israeliana.
Cosa resta della seconda intifada nella generazione dei giovani palestinesi di oggi? Costretti a subire gli effetti del fallimento di una classe politica corrotta e un’occupazione che ne agita le fondamenta sociali, a Ramallah, città palestinese della Cisgiordania, restano in attesa di mutare le prospettive di una rassegnata sopravvivenza nelle più rassicuranti speranze di un futuro che possa restituire loro il giusto prezzo di un’esistenza libera.
“Delitto a Ramallah” non è affatto un romanzo giallo, e il delitto del titolo (con vittima una giovane ragazza all’uscita di un locale nel centro della città) è l’espediente narrativo che mette in relazione i tre ragazzi protagonisti. Uno di loro, Nur, è dichiaratamente gay e la sua condizione permette di approfondire il clima di pregiudizio e di ostilità nei confronti delle persone omosessuali nella società palestinese.
I tre ragazzi, che si raccontano in prima persona nel delicato passaggio generazionale tra l’età giovane a quella adulta, si ritrovano ostaggi non solo di una Ramallah piovosa e socialmente arida, ma anche di una gabbia mentale nella quale si affollano pensieri viziati da una condizione di indigenza esistenziale, ineducazione sentimentale, indifferenza, nichilismo.
Per il suo contenuto giudicato in patria “politicamente scorretto”, che non ha paura di presagire solo il buio pesto sul futuro della comunità palestinese, il linguaggio giudicato volgare (soprattutto per alcuni passi legati alla scoperta della sessualità di uno dei protagonisti) e le accuse di oltraggio alla morale e alla pubblica decenza, lo scrittore Abbad Yahya, nel 2016, ha subito un breve arresto e il suo romanzo è stato messo all’indice dal procuratore generale Ahmed Barak, secondo cui il romanzo potrebbe essere dannoso per i minori.
Una denuncia cruda e potente verso un sistema inadeguato a garantire diritti umani in una delle più sfortunate aree del mondo, inasprita da un radicato fanatismo religioso che opprime la libertà individuale. Una lettura preziosa resa ancora più importante dagli effetti di una censura del tutto anacronistica.
Scheda del libro sul sito MREditori
L’autore Abbad Yahya
Romanziere palestinese, Yahya è uno dei più famosi autori della Palestina della sua generazione. Ha pubblicato quattro romanzi: Rām Allāh al-shaqrāʼ (Ramallah la bionda), al-Qism 14 (Sezione 14), Hātif ʻumūmī (Telefono pubblico) e Jarīmah fī Rām Allāh (Delitto a Ramallah). Quest’ultimo, uscito nel 2016, viene proibito dalle autorità palestinesi per “indecenza”; Ahmed Barak, procuratore generale, accusa il romanzo di avere “passaggi indecenti e termini che offendono la morale e la pubblica decenza e che potrebbero influenzare la popolazione, in particolare i minori”.
Scrittori arabi e palestinesi criticarono ampiamente il provvedimento delle autorità chiedendo il rispetto degli ideali di libertà di parola e opinione, ciò non ha comunque evitato a Yahya di dover riparare all’estero.
Nel 2017, Abbad Yahya riceve dal German Pen Center la borsa “Writers in Exile”, riservata a scrittori perseguitati in patria; nel 2018 è stato selezionato dall’Index on Censorship Award per la difesa della libertà d’espressione. È caporedattore del sito internet Ultrasawt.