Nel 1973 Carmen Callil, emigrata da Melbourne nel 1960 e laureata in Storia e Letteratura, fonda a Londra la “Virago“, casa editrice femminista. È solo il primo di molti progetti editoriali ideati dalle donne, e per le donne, che sorgeranno in tutta Europa (ben 140), e ovviamente anche in Italia.
“Ho creato la Virago per rompere un silenzio, per far sì che la
voce delle donne fosse udita, per raccontare le storie delle donne,
la mia storia e la loro” afferma la Callil. La sua storia, insieme a quella di donne coraggiose, colte, determinate come Adela Turin, Laura Lepetit, Antoinette Fouque e molte altre, è racchiusa in un prezioso volume edito dalla Villaggio Maori, “I libri delle donne“, scritto dalla giovane catanese Vera Navarria.
Perché editoria femminista?
Leggendo il libro di Vera Navarria, una minuziosa e attenta ricostruzione delle vicende dell’editoria femminista tra gli anni ’70 e gli anni ’80, si comprende come il separatismo femminile di quegli anni fosse in realtà solo una reazione, culturalmente violenta, alla separazione che il mondo stesso aveva creato nei confronti delle donne.
Dopo primi risultati ottenuti sul piano economico e giuridico, come il diritto di voto, il diritto al lavoro (pensiamo alla legge sulla maternità di Teresa Noce), occorreva dare un primo impulso ad una battaglia sociale e culturale che vedesse le donne protagoniste di un progressivo abbandono dei dogmi della società patriarcale, in un mondo in cui tutto, dalla letteratura alle arti in genere, era dominato e pensato da uomini.
Femminismo, quindi, come identità femminile ed emancipazione rispetto alla convergenza verso un unico immaginario, quello maschile, del quale le donne erano solamente spettatrici, quando veniva loro concesso; infine, il riappropriarsi del presente attraverso la riscoperta del passato, facendo riemergere dalle pieghe del tempo, in maniera approfondita e sistematica, ciò che poco e male era stato tramandato dalla presenza della donna nella storia.
Un nuovo immaginario, una nuova visione, un nuovo ruolo.
Vera Navarria racconta dell’opera di queste donne appassionate immedesimandosi nel fervore della scoperta di questa “editoria militante”, rivestendo figure femminili protagoniste del loro tempo di una rinnovata dignità sociale. Una prima parte è dedicata all’editoria europea (e in particolare a quelle britanniche e francesi), mentre la seconda metà è tutta incentrata sulla ricchissima produzione editoriale femminista italiana.
Un circuito “autarchico”
Scopriamo quindi il mondo dell’editoria femminista degli anni ’70 come una piccola, grande nicchia costituita da donne intellettuali profondamente coinvolte, che prestavano spesso la loro opera, come redattrici, traduttrici, gratuitamente. Un circuito autarchico, imperfetto ma funzionale, del quale facevano parte perfino librerie e distributori dedicati. È grazie all’editoria femminista che, racconta la Navarria, sono state presentate agli occhi del mondo Doris Lessing, Alice Munro, Margaret Atwood. Nei loro racconti e romanzi, le donne avrebbero potuto incontrare la propria vita, magari analizzarla e ripensarla, ridiscutendo un immaginario che era stato loro imposto da un pesante retaggio storico. Narrativa, saggistica ma non solo: c’è chi, come Adela Turin (foto in alto), cominciò a scrivere libri per la casa editrice “Dalla parte delle bambine“, proponendo modelli educativi finalmente moderni e vantaggiosi anche per chi, fino ad allora, non aveva conosciuto nient’altro che la speranza di un principe azzurro. Nacquero “Una fortunata catastrofe”, “Rosa confetto” e molti altri, oggi tradotti in tutto il mondo.
“I libri delle donne” è una lettura piacevole e coinvolgente, che in questa giornata consigliamo alle donne ma anche agli uomini, per riflettere sui diritti ormai acquisiti e lottare insieme per riscoprire il valore dell’autodeterminazione.