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Il Campo di Concentramento di CASOLI: una storia da raccontare.


Nelle pieghe della storia talvolta si nascondono episodi particolari e talmente speciali che potrebbero farci percepire in maniera diversa il corso della storia generalizzabile solo per penose interrogazioni liceali.

Oggi vogliamo raccontarvi una storia al margine, nata sotto la più bieca ideologia dello sterminio nazifascista, ma che presenta unicità e poderosi spiragli di umanità.

Nella narrazione storica della nostra nazione, quando si parla di Campi di Concentramento associamo geograficamente questi luoghi dell’orrore alla Germania e alla Polonia. Anche l’Italia ha avuto i suoi orribili campi. Uno di questi è stato il Campo di Concentramento di Casoli in provincia di Chieti.

Era il 27 aprile 1940 quando fu individuato come possibile luogo di internamento nella provincia teatina l’ex-scuola nel comune di Casoli. Questo paese sorge su una collina abbastanza alta da rendersi balcone naturale sulla confluenza dei fiumi Aventino e Sangro che più tardi, scoppiata la seconda guerra mondiale, diventeranno confine e scenario delle più atroci battaglie italiane: la linea Gustav.

Casoli in provincia di Chieti

I gerarchi fascisti abruzzesi individuarono alcuni locali di proprietà dell’avvocato casolano Innocenzo Tilli. Questi ultimi, rivelatisi umidi e malsani, furono sostituiti dopo pochi mesi da un altro locale, di eguale capienza, utilizzato in passato come sala del Cinematografo.

Il Ministero dell’Interno decise di destinare la proprietà dell’Avvocato Tilli a campo di internamento e concentramento per ebrei tedeschi e austriaci. Alla direzione del campo, attivato dal 10 giugno 1940. Secondo le direttive ministeriali a succedersi nella direzione del campo furono i vari podestà e i commissari prefettizi.

Giacomo Nagler (detto Kubi) al centro, il giorno dell’arrivo a Casoli

I primi internati arrivarono il 14 luglio 1940. Il loro numero variò nel tempo a causa dei numerosi trasferimenti. Il sovraffollamento dei locali era diventato la norma.

Nonostante questo, le condizioni di vita nel campo di concentramento di Casoli rimasero accettabili.

Si trattava di strutture amministrative di repressione: forme concentrazionali non associate al lager o al gulag. Esistevano nel contesto di riferimento gestito dalla Pubblica sicurezza (Ministero dell’Interno) e ospitavano stranieri ‘indesiderabili’, elementi considerati pericolosi, posti sotto la lente del regime.” afferma in un’intervista Giuseppe Lorentini, ideatore e responsabile del Centro di documentazione on line sul campo di concentramento fascista di Casoli e anche autore del libro L’ozio coatto, edito da Ombre corte, Verona 2019. “Le persone che vi si trovavano avevano perduto ogni diritto, non potevano appellarsi. Si trovavano bloccate, in uno spazio di confino. Il loro collegamento con l’esterno era ridotto. La corrispondenza contava al massimo 24 righe, soltanto in lingua italiana: era sottoposta a censura in entrata e in uscita. Anche per quanto riguarda la vita quotidiana durante l’internamento, bisogna distinguere tra le due categorie di internati che passarono per il campo fascista di Casoli. Dalle carte conservate nei fascicoli personali degli ‘ebrei stranieri’ si comprende che essi godettero di maggior libertà di movimento rispetto agli internati politici ‘ex jugoslavi’[che sostituiranno gli ebrei nel ’42]. Agli ebrei fu concesso di muoversi al di fuori dei limiti del ‘confino’ del campo per passeggiare per il paese dove potevano fare compere presso i negozi di abbigliamento, tabaccherie, recarsi al bar, ma soprattutto pranzare o cenare presso le trattorie del luogo. Chiaramente questo fu possibile soltanto per i più facoltosi che ricevevano altrettanti aiuti economici dai famigliari.

Alcuni internati di Casoli (Sx) Parte della struttura del campo di concentramento e internamento oggi (Dx)

La condizione di prigionia fu lontanissima dalle immagini dei lager. Si tramandano storie, in paese, di contatti tra la popolazione locale e gli internati. Questa condizione di prigionia poco dura non passò inosservata ai piani alti del partito Fascista tanto da denunciare l’operato dell’ex podestà e “barone” di Casoli: Mosé Ricci, sindaco fino al ’39, ma persona assolutamente in vista a Casoli. I fascisti del luogo lo denunciarono nell’ottobre del ’40 dopo alcuni episodi di fraternizzazione tra ebrei e abitanti del luogo. Si racconta che fu internato, a causa di un disguido postale, un noto luminare di urologia, il Professor Hermann Datyner. Mandato a Casoli il 18 luglio 1940, fu accolto in maniera esemplare. Si è venuti a conoscenza che il dottor Datyner visitò privatamente moltissimi abitanti e che fu ospite, moltissime volte, di Mosé Ricci. Grazie a questo sodalizio, il professore iniziò ad esercitare a Casoli, tanto da condividere gli studi di diversi medici locali. Proprio per questa estrema fraternizzazione, Ricci fu denunciato.

A Casoli la popolazione stava includendo nel tessuto sociale quei prigionieri: era troppo per la propaganda fascista! Ricordiamo inoltre che questo campo di internamento e concentramento di Casoli era soltanto l’anticamera dello sterminio.

Nel maggio 1942 accadde però un grande cambiamento nel Campo di Concentramento. Gli “ebrei stranieri” furono trasferiti al campo di internamento di Campagna e al loro posto giunsero 82 “ex-jugoslavi” provenienti dal campo di internamento di Corropoli. Definiti “antifascisti, sovversivi e nemici del regime” erano considerati dal partito fascista “categoria pericolosa in contingenze belliche”.

La musica cambiò per questi nuovi prigionieri: le condizioni divennero più difficili per la scarsezza di cibo e vestiario, per la carenza dei servizi igienici e per i mai risolti problemi di sovraffollamento, come lamentato anche nei rapporti della Croce Rossa. “Per questi internati la vita quotidiana si fece più dura. Arrivarono in condizioni di estrema povertà come si legge nelle loro istanze per la richiesta di vestiario, scarpe e biancheria intima. Indossavano gli stessi vestiti da oltre un anno e tutti necessitavano del sussidio ministeriale di 6 lire e 50 al giorno. A loro non venne permesso di uscire dal campo se non per svolgere mansioni autorizzate dalla direzione relativamente all’intero gruppo di internati.” afferma Lorentini

Con l‘8 settembre 1943 il campo fu chiuso. Casoli, come tutto l’Abruzzo piombò nell’oscuro cono d’ombra che solo la guerra può portare.

Soltanto nel 2018, in occasione della visita di Sergio Mattarella, dopo un poderoso restauro dei locali che ospitarono il campo di concentramento di Casoli, è diventato Luogo della Memoria visitabile da chiunque.

Le vicende di Casoli dimostrano che forse, sotto il peso di una dittatura, la popolazione aveva conservato un minimo di umanità: scintille purpuree che creeranno la Brigata Maiella in quel territorio e, poi, il fondamento della Repubblica Italiana.

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Di origine Abruzzese, ma ramingo come un nomade. Di molteplici interessi ogni sabato su Bl Magazine con la rubrica BL LIBRI.

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