Inchiesta a cura di Rosario Balestrieri, già autore dell’articolo sull’omosessualità nel mondo animale.
Se pensiamo alla famiglia naturale la prima immagine che ci balza in mente è mamma, papà e figli, ma se osserviamo la natura realmente noteremo che gli animali selvatici che la abitano da sempre si organizzano nei modi più vari e disparati.
In moltissimi mammiferi è solo la madre che da sola si occupa della prole, il padre funge solo da serbatoio spermatico (lepre, scoiattolo, leopardo, capriolo, donnola, per citarne alcuni). In altri casi invece sono i gruppi matriarcali di femmine che si supportano reciprocamente per crescere ed allevare la prole, come gli elefanti ed i cinghiali. In altri animali ancora il padre fa più della madre, come ad esempio il cavalluccio marino, in cui i maschi ricevono le uova dalle femmine e, dopo un breve periodo, “partoriscono” in acqua i piccoli, oppure il maschio di struzzo, che dopo una lunga cova fa da guida e sorveglia i numerosi piccoli nati dalle uova delle femmine del suo harem, molte delle quali si allontanano dal nido subito dopo aver deposto.
Può succedere in alcune specie, come in numerosi rettili, che la madre si preoccupi unicamente di deporre l’uovo in un luogo idoneo, e che il piccolo, una volta nato, sia assolutamente indipendente, o come in alcuni primati in cui la madre si prende cura del figlio per molti anni vivendo nello stesso gruppo per sempre. Tutti questi esempi, molto vari fra loro, hanno però un denominatore comune: fra genitori e figli sussiste un legame di sangue e questo non ci stupisce, in quanto la genitorialità di norma prevede un grande investimento di energie e risorse motivato dall’esigenza/volontà di tramandare i propri geni.
Cosa vuol dire adottare?
L’adozione quindi risulta come una scelta motivata da un estremo “altruismo” che sostiene tutti i quotidiani gesti di genitorialità che accompagnano la prole fino alla sua naturale indipendenza.
Siamo abituati a pensare all’adozione come ad un gesto di grande umanità, quindi riferibile alla sola specie umana, ma è proprio così? Solo le persone adottano o anche gli animali sono in grado di farlo?
Non è semplice rispondere a questa domanda, in quanto risulta difficile interpretare la vasta e varia casistica.
Il primo importante passo è spiegare il termine adozione. Potremmo stabilire che adottare possa significare “allevare prole altrui“, ma se applichiamo questa definizione agli animali, anche le vittime della strategia riproduttiva del cuculo (Cuculus canorus) rientrerebbero nel novero dei “genitori adottivi“.
Il cuculo abbandonato dalla madre biologica
Difatti, le coppie di capinere, cannaiole, scriccioli ed altri uccelli vengono ingannate dalle femmine di cuculo che “abbandonano” il loro uovo in uno dei nidi di queste specie. Il piccolo cuculo, una volta schiuso l’uovo, uccide i fratellastri in modo che i “genitori adottivi” si prendano cura unicamente di lui, fino al suo pieno sviluppo e conseguente involo verso i paesi in cui trascorre l’inverno. Le coppie ingannate non adottano consapevolmente il piccolo cuculo, ma lo fanno crescere convinte che si tratti dell’unico loro figlio biologico sopravvissuto. In questo caso forse il termine adozione risulta improprio in quanto manca del tutto la consapevolezza del gesto.
Forse è più opportuno definire l’adozione negli animali come “la scelta di un individuo, una coppia o più individui di sostenere l’allevamento di prole non propria, appartenente o no alla propria specie.” Questa possibilità è più o meno diffusa in base ai gruppi di animali che andiamo a considerare.
L’approccio “cooperativo”
Pensiamo ad esempio ai felini e ai canidi sociali come i leoni e i licaoni: il branco sostiene tutti i cuccioli nati indipendentemente dal grado di parentela (più o meno stretto) e le femmine allattano i piccoli che ne hanno bisogno senza discriminarli rispetto ai propri. Nei leoni questa abitudine è talmente vantaggiosa che le femmine sincronizzano quanto più possibile il parto, in modo da potersi sostenere vicendevolmente nell’allattamento di tutti i piccoli e nella loro protezione.
Non solo i mammiferi possono mettere in atto questo approccio cooperativo, anche molte specie di uccelli mostrano individui che “adottano” nidi altrui aiutando i genitori biologici a nutrire e proteggere i piccoli. Questi individui cosi “generosi” prendono il nome di “nesthelper” e sono stati descritti in oltre 300 specie di uccelli. Gli ornitologi Glen Woolfenden e John Fitzpatrick hanno studiato per anni questo aspetto nella ghiandaia della Florida, descrivendo una serie di comportamenti inattesi. La maggioranza delle coppie di questa specie si presenta monogama e territoriale, ma in molti casi alla coppia si possono associare altri individui, da uno a sei, che collaborano all’allevamento della prole pur essendo esclusi dalla costruzione del nido e dagli aspetti sessuali. Non depongono né covano, ma procacciano il cibo ed alimentano i piccoli che proteggono da eventuali predatori. Questa condizione da “genitore adottivo” si può verificare per un’unica stagione riproduttiva o anche per sei anni di seguito. Attraverso osservazioni ed esperimenti, gli ornitologi spiegano questo comportamento come una risposta a condizioni ambientali proibitive, per cui, nell’impossibilità di allevare prole propria, gli individui cooperano per incrementare il successo riproduttivo dei conspecifici.
La chioccia
Fra gli uccelli si può osservare anche un cambio di comportamento nei genitori al variare del contesto ambientale e sociale: un classico esempio è quello che può accadere in un pollaio. Di norma è la chioccia ad occuparsi dei pulcini, il gallo invece non sembra essere molto partecipe all’ordinaria gestione dei figli. Se però la chioccia muore o comunque viene allontanata dal pollaio, il gallo può mutare velocemente comportamento, cambiando verso, passando dal chicchirichì al coccodè, e atteggiamento, ponendosi sempre in prossimità dei pulcini e provvedendo a smuovere la terra con le zampe per facilitare il reperimento del cibo. In questo caso il gallo è il padre biologico, per cui è improprio parlare di adozione, ma è interessante constatare che la necessità può indurre un animale a cambiare profondamente codice di comportamento, passando da quello paterno a quello materno.
Un mondo davvero variegato: adozioni interspecifiche e “arcobaleno”
Sicuramente è capitato a tutti di sentire o leggere di una cagnetta che ha adottato uno o più cuccioli nati da un’altra cucciolata o addirittura di cani che allattano gatti o viceversa. La casistica è davvero vasta ed è sufficiente cercare questi contenuti sui convenzionali motori di ricerca web per osservare innumerevoli video e foto che documentano questi casi. Considerando l’olfatto estremamente sviluppato di queste due specie è impensabile che non distinguano l’odore dei propri figli da quello di altri cuccioli.
Non solo i cani e i gatti o altri animali domestici effettuano adozioni interspecifiche, ma anche numerose specie selvatiche ne sono capaci. Una delle più famose adozioni riguarda un giovane delfino tursiope malformato accudito da un gruppo di capodogli.
Nel regno animale la gestione della prole presenta un caleidoscopio di sfumature in cui sono previste anche la adozioni “arcobaleno”. Alcune delle specie in cui le adozioni omogenitoriali sono diffuse sono i pinguini e i grifoni. In entrambi i casi le coppie “gay”, solitamente stabili nel tempo a prescindere dall’adozione, si prendono cura di uova fecondate e abbandonate da altre coppie. Nella quasi totalità dei casi l’adozione consente all’uovo la schiusa ed al piccolo nato di essere accudito e di crescere fino al momento della totale autonomia.
Un caso noto è un grifone nato in Olanda, allevato da una coppia di padri e liberato nel 2018 in Sardegna nell’ambito di un progetto di ripopolamento della specie. Ancor più famose sono le numerose coppie di pinguini seguite dai media in numerosi zoo del mondo mentre si prendono cura delle uova abbandonate da altre coppie ed affidate a loro. La più nota del momento è quella costituita da due padri (Sphen e Magic) dello Zoo di Sydney, diventata un’icona per la comunità LGBT australiana.
Paolo, l’avvoltoio italiano che ha “adottato” i piccoli
Un caso italiano davvero particolare è quello di un gipeto, detto anche avvoltoio barbuto, rilasciato nell’ambito di un progetto di reintroduzione della specie nell’arco alpino. Questo giovane avvoltoio maschio a cui è stato dato il nome di Paolo, si è stabilito dal 2004 nell’area del rilascio dei giovani della stessa specie nel Parco Naturale delle Alpi Marittime. Dal 2009, Paolo viene affiancato da un altro giovane maschio, chiamato Blangiàr, con il quale instaura un rapporto d’intensa interazione, che sfocia in vari episodi di accoppiamento, in cui Paolo assume sempre la posizione dominante. Nell’inverno 2009 Blangiàr viene rinvenuto morto. Da allora Paolo, ormai adulto, resta nel territorio che aveva condiviso con Blangiàr e dal 2010 viene osservato mentre si avvicina ai giovani che vengono rilasciati nell’area nell’ambito del progetto di reintroduzione. Non appena i giovani vengono collocati nella cavità nido, Paolo viene immediatamente osservato stazionare nei pressi per tutto il periodo in cui i giovani vi restano e successivamente, dopo il loro involo, controlla, difende, porta cibo e vola con i giovani rispondendo ai loro richiami come fosse il vero genitore. A loro volta i giovani richiamano spesso l’adulto.
La presenza di Paolo “il padre adottivo” ha favorito l’indipendenza alimentare dei giovani che ben presto non hanno avuto bisogno dall’approvvigionamento di cibo da parte dell’uomo, ma anche una maggiore velocità di apprendimento delle attività propedeutiche al volo e alla ricerca del cibo.
L’adozione da parte di un maschio non stupisce poiché, normalmente, le cure parentali sono suddivise equamente fra i due sessi in questa specie. Le attività di sorveglianza e protezione, unite alla funzione di genitore adottivo svolte, hanno ridotto i tempi di emancipazione dei giovani e di conseguenza reso più sicuro il rilascio dei giovani oggetto di questo progetto di reintroduzione.
L’autrice dello studio, Elena Grasso, ricorda che “è stato davvero emozionante vedere come portava cibo ai giovani, li imbeccava, se uno mangiava tutto portava cibo all’altro giovane rimasto a digiuno”. Nonostante era evidente l’assenza di consanguineità, quello osservato sembrava un vero legame di parentela fra i giovani e l’adulto.
L’adozione degli animali è istintiva, priva di implicazioni etiche
Come si evince, l’adozione non è un comportamento che caratterizza unicamente l’uomo, ma viene riscontrata in molte altre specie animali, in cui è possibile escludere l’impostazione culturale e le ragioni etiche come motivazione ed è più facile supporre meccanismi adattativi ed empatico-istintivi.
È importante sottolineare che l’adozione degli orfani è stata osservata in modo diffuso e frequente nei nostri parenti più stretti, le scimmie antropomorfe, che sono caratterizzate anche da altri comportamenti altruistici.
Il Dipartimento di Primatologia, Max PlanckInstitute for EvolutionaryAnthropology ha pubblicato negli anni numerose ricerche che hanno indagato questo aspetto negli scimpanzé in natura. È stato visto che circa la metà degli individui orfani muore o cresce con notevoli ritardi nello sviluppo fisico e relazionale, l’altra metà ha la fortuna di essere adottata, talvolta da parenti (zii e cugini) molto più spesso da estranei. Al contrario di quello che si più pensare, oltre il 50% delle adozioni è a carico di maschi adulti e non di femmine, probabilmente maggiormente assorbite da una genitorialità biologica per poter mostrare “altruismo”. Alcuni di questi padri adottivi si sono resi protagonisti di questo “gesto altruista” più volte nella loro vita.
Da quanto descritto risulta evidente che è impossibile elaborare un discorso generale ed unitario sulle motivazioni che determinano l’adozione e le modalità con cui questa si esprime in tutte e specie del regno animale. Però si può osservare che nella maggioranza dei casi questo gesto così altruista viene ripagato in qualche modo da un vantaggio genetico o sociale ed è interessante notare che anche in natura l’altruismo venga in qualche modo “ricompensato”.