Per celebrare “Pontinvisibili” di Milano, l’evento coorganizzato da BL MAGAZINE, mi pareva doveroso porre l’accento sul libro che ha ispirato la prima tappa di “PERCORSI“: LE CITTÀ INVISIBILI di Italo Calvino.
Auspicabilmente mi piace immaginare che non esista in Italia una libreria in un salone, una mensola o uno scaffale che ne sia rimasta orfana. Se cosí fosse, allora, é indispensabile colmare questa grave mancanza.
Italo Calvino é il piú atipico scrittore del ‘900. Ha ispirato, e continua ad ispirare, non solo la cultura italiana, ma quella internazionale.
Io arrivai a leggere Calvino quando, da sbarbato e capellone studente universitario fuori sede a Roma, partecipai ad una lectio magistralis di Umberto Eco. Eco allora era un intellettuale superstar e anche io, mezzo fricchettone che ero, tenevo di piú ad ascoltare Eco che non il contenuto della manifestazione.
Eco ci spiegò l’importanza di fare proprie le pagine de LE CITTÀ INVISIBILI poiché é paradigma della vita. Ci si incontra, ci si scontra, si passa, si corre e si vive proprio come se la nostra esistenza fosse costellata di viaggi continui.
Le città di Calvino hanno nomi femminili. Nomi propri. Come delle persone. E con la materna attitudine nel descriverle, l’autore ci regala qualcosa a metà tra la prosa e un viaggio mentale lucido.
“Che cos’è oggi la città per noi? Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città.” diceva Calvino durante la conferenza tenuta alla Columbia University di New York nel marzo 1983, occasione in cui l’autore affrontava il pubblico per parlare di uno dei suoi romanzi più particolari, scritto 11 anni prima.
LA TRAMA
Immaginate Marco Polo, sì , proprio lui, che nel suo viaggio in Asia incontra Kublai Khan. Un po’ come Dante e Virgilio, i due si spostano in territori misteriosi. In città particolari, uniche e che in ognuna di esse Marco Polo scopre le molteplici combinazioni dell’essere. (In effetti, messa cosí la trama é piuttosto banale rispetto a quello che il libro realmente é).
RECENSIONE.
C’é sempre bisogno delle CITTÀ INVISIBILI. Che voi leggiate il libro tutto d’un fiato o lo apriate a caso facendovi guidare dall’istinto delle vostre dita, il risultato non cambia. Ogni luogo visitato nella finzione narrativa da Marco Polo non é solo un posto, ma una condizione umana che ognuno di noi ha all’interno della propria coscienza, della propria psiche. E questa grande metafora con le città appare la piú verosimile al composito complicarsi del nostro vissuto. Come se ognuno di noi fosse un territorio, una regione, una nazione, un posto geograficamente sostenibile a cui, solo a pochissimi, in realtà, diamo la possibilità di ricevere un “visto” per esplorarci fino in fondo. Masse di persone ci attraversano e colgono solo parti di noi.
E se tutte le storie hanno una morale, forse quella delle Città Invisibili é quella di vivere da viaggiatori e non da turisti, far sì che il tempo che passiamo con gli altri sia una vera e propria esplorazione consapevole di nuovi territori. Un viaggio consapevole per comprendere che forse l’umanità tutta e tutta insieme sia un’ unica grande entità meravigliosa.