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L’omosessualità nel Codice penale preunitario e postunitario italiano

- 13/10/2022


Il tema dell’omosessualità, in ambito legislativo, in Italia venne trattato in maniera differente rispetto al resto dell’Europa, soprattutto nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento.

A partire dal processo di Restaurazione, l’atteggiamento delle autorità italiane nei confronti della comunità omosessuale si è distinto da quello prevalente del mondo occidentale, dove non si parlava assolutamente di decriminalizzazione e, in diverse aree, si ricorreva ancora alla pena di morte.

Il Codice dei delitti e delle pene del Regno d’Italia entrato in vigore nel 1811, traduzione italiana del Codice penale napoleonico francese, non prevedendo alcuna pena specifica per gli atti omosessuali, di fatto, li depenalizzò. Una volta caduto l’impero, e iniziata l’epoca della Restaurazione, la legislazione degli stati italiani tornò a diversificarsi anche in materia di omosessualità. In alcuni casi rimase in vigore il codice napoleonico, in altri lo si assunse a modello per nuove normative.

Nel Regno delle due Sicilie, nel granducato di Toscana, nel principato di Lucca, nei ducati di Parma e Piacenza e di Modena e Reggio l’omosessualità continuò a non essere reato. Fece il suo ritorno invece il cosiddetto reato di libidine contronatura nel Regno di Sardegna, nuovamente dominio dei Savoia, nello Stato della Chiesa e nell’Impero d’Austria.

Codici penali e nascita dello Stato unitario italiano

Dopo l’unificazione, le profonde differenze tra le legislazioni degli stati italiani crearono grande confusione. Il Codice penale di quello che era il Regno di Sardegna si estese in Lombardia, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Veneto e Lazio. Non entrò in vigore in Toscana, che mantenne il suo codice penale riscritto da poco e particolarmente avanzato, e nel sud Italia.

I fatti d’incontinenza non sono punibili se non movendosi o dal punto di vista del Diritto di famiglia violato (come l’adulterio, la bigamia, ecc.), o da quello della moralità pubblica cui non è lecito di portar lesione […] o da quello della violenza contro il pudore della persona”.

Questa la ragione per cui nell’ex Regno delle due Sicilie, al momento dell’estensione del codice sabaudo, vennero eliminati una decina di articoli, tra cui quello che puniva gli atti omosessuali. Motivazione che lascia trasparire i princìpi più avanzati del diritto dell’epoca e, forse, il timore delle conseguenze che avrebbe potuto avere una legislazione repressiva nella società del sud Italia.

Si giunse così, tramite un percorso ancora decisamente frammentato, alla singolare situazione in cui la pratica omosessuale fra adulti consenzienti era considerata reato in città come Torino e Milano e non a Firenze, Napoli o Palermo.

Verso il Codice Zanardelli

La convivenza dei diversi Codici penali durò sino al 1889, anno in cui fu abrogato ogni residuo di leggi preunitarie rimasto e in cui venne promulgato primo Codice penale italiano: il Codice Zanardelli.

Analizzando la giurisprudenza dal 1860 al 1890, emerge che sia la società che la magistratura italiane perseguivano sempre meno l’omosessualità, anticipandone di fatto la decriminalizzazione del Codice Zanardelli. La codificazione non fece altro che registrare un cambiamento culturale già avvenuto in passato.

Essere omosessuali non costituiva più una fattispecie di reato ma, come si legge nelle conclusioni del dibattito preparatorio parlamentare, era considerato senza dubbio un peccato e, in quanto tale, atteneva alla sfera morale-religiosa.

La legge penale è la tutelatrice e la vìndice del diritto; non può esplicare legittimamente la sua azione se non là dove nella violazione del diritto si incentri. È senza dubbio un peccato, ed un peccato che si manifesta talvolta in forme ributtanti, la incontinenza; ma questa non può essere punita per sé stessa dal legislatore, senza che egli varchi i confini segnati al magistero repressivo. La incontinenza può diventare reato ed essere punibile soltanto quando si trasformi nella violazione di un diritto individuale e sociale”.

Relazione preparatoria al Codice Zanardelli.

Gli anni successivi

La principale spiegazione della decisione di omettere norme che punissero l’omosessualità, però, non lascia spiragli al progressismo. La dottrina, ancora nel 1909, spiegherà che “simili fatti, per quanto ributtanti, non vanno ricordati e puniti, perché è preferibile per la morale pubblica che restino sepolti nella oscurità e ignorati […]”.

Dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice Zanardelli l’omosessualità continuò ad essere punita nell’ambito militare. Ad ogni giovane, al momento del suo ingresso nell’esercito, veniva consegnato un libretto delle regole, tra cui quella che sanciva che sarebbe passato in una compagnia di disciplina di punizione “[…] il militare che si macchia di colpe avente carattere indecoroso, come camorra, indelicatezza, pederastia, tentativo di stupro, pubblica mendicazione, simulazione d’infermità.”

Nel frattempo, nell’Europa protestante, leggi e processi contro gli omosessuali favorivano la crescita di un sentimento identitario omosessuale e l’unione di movimenti di liberazione. In Italia, al contrario, data l’assenza di minacce legislative concrete nei confronti dell’omosessualità, si cadde nel silenzio e non nacque alcun movimento, almeno sino al 1971.

Fonti:

Giovanni Dall’Orto, “Tutta un’altra storia – l’omosessualità dall’antichità al dopoguerra”, cap. 47 e supplemento

“Classi, classificazioni, identità. Gli studi gay e lesbici come fabbriche di interrogazioni storiche”

Giovanni Dall’Orto, “La “tolleranza repressiva” dell’omosessualità”

“LGBTI e stato di diritto in Italia”, DirittoConsenso

“1889: un anno importante”, socialnews

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