Tra tutte le personalità nostrane che meritano di essere ricordate nel mese dell’orgoglio, Marcella Di Folco occupa una indubbia posizione di rilievo.
La sua vita, scavata nel solco di desideri brucianti e passioni irrefrenabili, è stata un crocevia di esistenze che si sono tra loro incontrate, scontrate, circonfuse d’amore. Ed è stato proprio l’amore la forza motrice della sua indomita ricerca di sé, di un posto nel mondo, a cominciare dall’urgenza di cucirsi addosso un corpo nuovo che la realizzasse compiutamente come donna.
È a donne come Marcella Di Folco che dobbiamo la legge 164/1982 sulla riassegnazione sessuale anagrafica per le persone transessuali, tutt’oggi episodico interesse della politica nei confronti della minoranza LGBT più emarginata di tutte. “Le trans sono le ultime tra le ultime” diceva del resto Marcella, “hanno un problema di riconoscimento ancora più gravoso degli omosessuali, perché volendo non possono nascondere la loro identità“.
Sono passati quasi undici anni dalla sua morte. Oggi, a consegnare all’eternità il suo contributo dato in vita alla causa LGBT sono una piccola ma preziosa biografia scritta da Bianca Berlinguer dal titolo “Storia di Marcella che fu Marcello” (La Nave di Teseo) e un docufilm diretto da Simone Cangelosi, “Una nobile rivoluzione“. Tutti i virgolettati di questo articolo sono tratti dalle due opere succitate.
L’infanzia e la scoperta della sessualità
Marcella nasce a Roma nel quartere Parioli col nome di Marcello il 7 marzo 1943. Trascorre la sua vita tra il bar-latteria di famiglia (sua nonna fu tra le cofondatrici della Centrale del latte di Roma) e l’adorazione verso la sorella maggiore Lilli, che le rimarrà accanto per sempre e sarà il più fulgido esempio di femminilità che vorrà imitare per tutta la vita. Sperimenta una sessualità precoce con gli amici del quartiere già nella preadolescenza, quando le domande sulla sua presunta diversità cominciano ad affollare la sua mente; deriso per i suoi modi effeminati, per molti è “Marcellina”.
Suo padre, ex gerarca fascista, patriarca dai modi duri e risoluti (“uomo che non ho avuto tempo di amare perché non l’ho mai conosciuto“, dirà tempo dopo), muore quando Marcella ha soli dodici anni, lasciando la famiglia con insormontabili problemi economici. A questo punto trasferimento in una zona più popolare, Largo Preneste, è obbligato: abituarsi a un nuovo tenore di vita non è semplice ma sarà qui che Marcella, ormai adolescente, matura nuove consapevolezze sulla sua identità sessuale.
“L’idea di essere una donna non mi ha mai attratto fino all’età di 14 anni, quando ho cominciato a rendermi conto che avrei voluto essere fisicamente femmina. Non pensavo di essere gay ma capivo di essere diversa“, racconta nel libro.
È il desiderio di essere amata, posseduta e desiderata come una donna, che sarà una costante per buona parte della sua vita, a spingere Marcella verso una sessualità compulsiva e turbolenta. I giochi con gli amici, gli incontri con gli adulti del quartiere, il piacere del proibito e della conquista, ricercata, inseguita, scandiscono il ritmo delle sue giornate romane mentre, dall’altra parte della città, l’edonismo assume le forme sinuose della dolce vita.
La dolce vita e il cinema
Tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 Marcella, con un nome (e un corpo) ancora declinati al maschile, trascorre le sue giornate tra la scuola, che tuttavia lascerà presto per andare a lavorare, e il Café de Paris di via Veneto, dove adora atteggiarsi a diva in mezzo ad alcuni dei nomi più celebri dello spettacolo di quel tempo: Wanda Osiris, Raimondo Vianello, Alida Chelli. Stelle di un mondo dello spettacolo che impara a guardare da vicino prima al Teatro Ambra Jovinelli e poi al Piper, dove lavorerà per molti anni.
Insieme alla dolce vita di una capitale mai così generosa e festaiola, Marcella comincia a frequentare l’ambiente gay romano dell’epoca. Sono gli anni di Giò Stajano (uno dei primi omosessuali dichiarati d’Italia), del “Pipistrello” e di libri scandalo come “Roma capovolta“. Non sono anni di militanza – non era ancora maturata nella comunità omosessuale la consapevolezza dei propri diritti – ma di un avanguardistico orgoglio sbandierato nella forma più sfacciata di provocazione sessuale, che smascherava l’ipocrisia di una borghesia sciatta e mendace, ancorata alle apparenze.
Marcella vive questi anni sviluppando una personalità complessa, tumultuosa e magnetica. Una maschera felliniana che trova la sua naturale collocazione proprio sul set cinematografico del regista Premio Oscar, che incontra pochi anni dopo, nel 1969. Con Federico Fellini, che resta colpito dalla sua fisicità così insolita, Marcella gira Fellini Satyricon, Amarcord, I clowns, Roma, La città delle donne. Piccoli ruoli che consegneranno tuttavia quel volto inconfondibile alla storia della settima arte.
La carriera cinematografica di Marcella, accreditata come Marcello Di Falco, attraversa tutti gli anni ’70. Oltre a Fellini, partecipazioni grandi e piccole le sono affidate da altri maestri del cinema italiano come Elio Petri, Roberto Rossellini, Sergio Corbucci e Mario Monicelli. Il sogno del cinema, però, si interrompe con la decisione di Marcella di liberarsi definitivamente di tutto ciò che la lega fisicamente a quel Marcello che non ha mai sentito veramente come parte di sé.
“Ho girato film fino al 1980 e tutto è finito quando ho cambiato sesso. La mia carriera avrebbe potuto essere brillante ma è stata bruciata dalla voglia di diventare donna” racconta Marcella.
“La vagina non dà la felicità, ma almeno può darti la serenità”
“Non riuscivo a farmi amare da quelli di cui mi innamoravo. Non ho mai avuto questa fortuna con un’altra persona gay perché volevo essere amata come una donna“.
Gli anni ’70 rappresentano la svolta. Mentre lavora al Paradise, storico locale capitolino, Marcella si imbatte nel Carrousel di Parigi, compagnia-spettacolo composta prevalentemente da travestiti. L’incontro con queste artiste, strette nei loro corpetti sensuali, di una femminilità esplosiva e suadente, la porta a conoscenza di una realtà transessuale viva e lontana dal marciapiede.
È il suo punto di non ritorno. Le prospettive si fanno chiare, le urgenze mai così palpabili. Marcella, mai così determinata ad assecondare il suo intimo sentire di donna, sceglie di cominciare la terapia necessaria per poter cambiare sesso. L’investimento, in termini economici, è un ticket di 500 lire al Fatebenefratelli per assumere antiandrogeni, farmaci che inibiscono la produzione di testosterone.
“La prima volta che mi sono vestita da donna non avevo quasi indumenti femminili, a parte il reggicalze, le calze nere e una guêpière: una delle cose che amavo di più” – rivela – “Ogni bottone che infilavo nell’asola aumentava la mia gioia“.
In questi anni, Marcella vive una nevrosi sessuale con pesanti risvolti dal punto di vista psicologico. Quello che non le ha regalato il corpo lo cerca nel sesso dagli uomini, nel tormento di essere bramata come una femmina, un oggetto del desiderio. Un viaggio in Marocco fatto di incontri clandestini ed eccessi sessuali al limite dell’autodistruzione la conduce a una decisione definitiva: spingere reset, modellare il suo corpo nell’identità da sempre aspirata e altrettanto preclusa.
La transizione è un processo lungo che richiede forza, impegno e responsabilità. Gli ormoni modellano un po’ il corpo ma l’aspetto resta ancorato a una mascolinità dalla quale è difficile allontanarsi. Con gli uomini, il gioco lo conducono loro. “Di storie durate poco ne ho avute tante. La ricerca vogliosa e sfrenata nasceva dal fatto che il vero amore, quello che mi corrispondesse pienamente, non c’era mai. Il nostro rapporto con chi è eterosessuale deve vivere nella clandestinità“.
Nel 1980 Marcella ritira i ventuno milioni di lire della liquidazione dell’Italcable, dove ha lavorato tre anni, e il 1 agosto vola a Casablanca. Quattro settimane dopo si sottopone all’operazione di cambio di sesso.
“La vagina non dà la felicità ma almeno può darti la serenità. L’operazione ti aiuta a raggiungere un certo equilibrio mentale, a risolvere un problema che ti assilla da sempre e a eliminare un malessere interiore che puoi superare solo cambiando sesso. Io sono una che ha dovuto prima farsi la vagina e poi trasformarsi. Prima ho cambiato sesso e subito dopo mi sono travestita“.
Bologna e l’attivismo politico
Il percorso di ogni persona trans* è diverso dall’altro, ogni espressione di genere si sviluppa in un senso strettamente personale e il cardine del binarismo riconduce a soli due archetipi, il maschile e il femminile, le complesse variabili delle intime sensibilità di chi vive una dissociazione tra sesso biologico e identità di genere. Per tutte queste ragioni, lottare per una legge che consenta alle trans operate di cambiare sesso anche sui documenti è l’unico modo per uscire allo scoperto e portare i diritti dei transessuali in Parlamento. Durante le proteste del MIT (all’epoca Movimento Italiano Transessuali) a Milano, decine di donne trans scendono in strada a seno scoperto. La polizia tenta di fermarle per oltraggio al pudore, ma loro a quel punto mostrano i documenti: per lo stato sono considerate ancora uomini. La provocazione riesce e nel 1982 viene approvata la legge 164 “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”.
“Dobbiamo riconoscere che se la possibilità di cambiare sesso è diventata una legge dello Stato lo dobbiamo soprattutto alle puttane” confesserà anni dopo Marcella.
L’operazione placa almeno in parte un disagio che era diventato intollerabile e violento. La Di Folco si ripresenta al mondo con la curiosità e la responsabilità di chi è donna, adesso, anche nell’aspetto più intimo di sé, e accanto a lei c’è sua sorella Lilli. La sua voce profonda, tuttavia, non l’aiuta a interagire con l’esterno. Per questa e per altre ragioni, più intimamente sentimentali, decide di chiudere con Roma e di trasferirsi a Bologna, a 45 anni. Qui si ritrova a dover ricominciare da zero, cercare una casa e un lavoro come donna transessuale. La sua condizione compromette la serena ricerca di un’occupazione. La soluzione è inevitabile: il marciapiede e la strada diventano la sua unica fonte di reddito. Sono anni duri, durante i quali Marcella conduce una vita sregolata, disordinata e confusa nei ritmi, circostanza che la porta ad aumentare notevolmente di peso.
La vita sul marciapiede, vissuta senza troppe remore ma con estrema attenzione riguardo alle malattie sessualmente trasmissibili, finirà nel ’93 perché il cambiamento fisico la porta a non avere più una clientela. Nessun rimpianto per quegli anni vissuti con trepidazione e orgoglio: “Voglio dirlo con forza […] ancora oggi per le trans il marciapiede è l’unico posto dove venga riconosciuto loro il diritto di essere quello che sono e di affermare la propria identità“.
A Bologna la Di Folco incontra l’attivismo col MIT – dal 2017 Movimento Identità Trans – prima associazione trans fondata in Italia nel ’79 di cui è presidente dal 1988 al 2010 (alla guida oggi c’è Nicole de Leo). Obiettivo del MIT è offrire consulenza, supporto psicologico specializzato alle persone trans e fare attivismo su questioni relative ai diritti civili. Ma il MIT è solo l’inizio di un percorso vicino agli ultimi, agli emarginati e alle persone in difficoltà. Durante gli anni ’90 Marcella contribuisce a rendere migliore una città già inclusiva e libera come Bologna, prima al consiglio municipale (1990-1995) nel quartiere di Saragozza e poi a quello comunale (1995-1999) con i Verdi. È la prima donna transessuale al mondo a essere eletta per un incarico pubblico. Non senza qualche difficoltà per i pregiudizi e la transfobia di qualche bifolco all’opposizione che Marcella mette a tacere usando (anche) metodi poco ortodossi, ma efficaci.
Nel 2000, grazie al suo contributo, la città di Bologna ottiene l’istituzione della Commissione “Diritti per l’identità di genere” e Marcella partecipa al World Pride che si tiene a Roma, accanto a Sylvie Rivera.
Anni dopo, col MIT, incontra Mara Carfagna nelle audizioni per la legge contro l’omofobia. La Ministra delle Pari Opportunità resterà colpita dalla personalità di Marcella che con poche, semplice frasi la convince a far rientrare il testo in commissione per emendarlo col reato di istigazione all’odio per l’identità di genere: “La cacca che hanno riversato addosso a lei, Ministra, è esattamente quella che subiscono le trans tutti i santi giorni“. La Carfagna ci prova ma il tentativo va a vuoto. Marcella, però, è riuscita nel suo intento.
“Non c’è niente che non rifarei”
Il 7 settembre 2010, a 67 anni, Marcella si spegne per una grave malattia che le scava il corpo dal dolore e dall’inesorabile destino che stavolta le si presenta davanti a chiare lettere. Il suo feretro sfila sulle note solenni e ariose di “Casta Diva”.
La sua eredità oggi è custodita dal MIT, che prosegue incessante la sua opera per rendere migliore la vita delle persone trans* ma anche da tutti noi che crediamo nell’attivismo, nella cultura del rispetto e della non discriminazione. La sua storia di perseveranza, di lotte senza quartiere per rivendicare il diritto a essere se stessi, di amore per l’esistenza, può insegnare che davanti alle mille porte in faccia si aprirà sempre un lumicino di speranza alla quale aggrapparsi con tutte le forze. Affrontare la società cercando di cambiarla dall’interno, a viso aperto, per quanto sia castrante il pregiudizio. Indomabili, inarrestabili come Marcella, che ha attraversato sette decenni di orgoglio senza mai voltarsi dall’altra parte.
Un’icona monumentale, una personalità incomparabile: una protagonista di spicco nella storia della cultura lgbt+ italiana le cui battaglie continuano a essere vive nel cuore e nell’anima nella nostra comunità.
“Non c’è niente che non rifarei. Non ho nessun rimpianto. la mia è stata una vita di tanto dolore ma anche di tanto piacere“.
Lo scorso 5 settembre il sindaco di Bologna Virginio Merola ha annunciato che una via del capoluogo emiliano sarà dedicata a Marcella Di Folco.
Ringrazio Simone Cangelosi, regista di “Una nobile rivoluzione” e “Felliniana“, due docufilm dedicati a Marcella.
Fonti: Amedit Rivista; Bianca Berlinguer – Storia di Marcella che fu Marcello (La nave di Teseo, 2020)