Oggi vi proponiamo una lettura assolutamente divergente. Un romanzo inaspettato candidato sia al Premio Strega che al Premio Campiello. Questa è la seconda opera letteraria di Fabio Bacà, talentuosissimo scrittore marchigiano di nascita e abruzzese d’elezione. Nova, pubblicato da Adelphi è il consiglio bibliografico di BL LIBRI.
LA TRAMA
Del cervello umano, Davide sa quanto ha imparato all’università, e usa nel suo mestiere di neurochirurgo. Finora gli è bastato a neutralizzare i fastidiosi rumori di fondo e le modeste minacce della vita non elettrizzante che conduce nella Lucca suburbana: l’estremismo vegano di sua moglie, ad esempio, o l’inspiegabile atterraggio in giardino di un boomerang aborigeno in arrivo dal nulla. Ma in quei suoni familiari e sedati si nasconde una vibrazione più sinistra, che all’improvviso un pretesto qualsiasi – una discussione al semaforo, una bega di decibel con un vicino di casa – rischia di rendere insopportabile. È quello che tenta di far capire a Davide il suo nuovo, enigmatico maestro, Diego: a contare, e spesso a esplodere nel modo più feroce, è quanto del cervello, qualunque cosa sia, non si sa. O si preferisce non sapere.
LA RECENSIONE
Premetto che , dopo il suo sensazionale esordio con Benevolenza Cosmica (libro che ho amato tantissimo) credevo che Bacà avesse inaugurato un filone narrativo legato a personaggi che si incastonassero alla Teoria Fisica dei Sistemi Complessi e Casuali, proponendoci nuovamente una storia di un uomo qualunque che si ritrovasse a cavalcare favorevolmente la buona onda del destino. Invece no… Bacà non si è ripetuto, anzi, ha cambiato totalmente registro, soluzioni narrative e indagini introspettive dei personaggi. Nova è assolutamente un romanzo da leggere ed ascoltare, sì ascoltare, perché pone le vicende del neurochirurgo protagonista, potenziali storie di vita che qualunque lettore, prima o poi, dovrà affrontare nella propria esistenza. Davide arriva ad un punto di non ritorno col concetto dell’abitudine. Abbandona la confort zone della routine lucchese per immergersi nel profondo mare kantiano della “critica della ragion pura”. Attenzione, le teorie filosofiche del filosofo di Kaliningrad non vengono mai citate, ma si riesce a desumere in maniera palese, attraverso le parole di Diego, personaggio a tratti onirico e e incalzante, che il dottor Davide viene spinto verso una percezione esperienziale primitiva, fatta solo di emozionalità umana legata indissolubilmente alle esistenze di qualunque persona, scevra di sovrastrutture esperienziali.
“Ma poi, una volta o due nella vita, gli capita di fare quattro passi nei boschi e a un tratto, dal sublimine della sua memoria intracellulare, affiora la risonanza spettrale di un antichissimo se stesso che corre nudo su un sentiero appena visibile in una foresta senza tempo, con un coltello di selce tra le dita. Ci sono connessioni troppo profonde per essere recise. Perché, altrimenti, un uomo che doma un cavallo, guarda un fiume o scala una parete di roccia solletica ancora certi istinti dentro di noi? Perché continuiamo a battezzare i nostri figli con nomi di eroi? Enea, Paride, Ettore, Achille, Ercole. Infondiamo nel nome una specie di subdola aspettativa legata all’etimologia o al sostrato simbolico del nome stesso: il rischio è che, se a quell’aspettativa non associamo un correttivo psichico, i nostri discendenti diretti equivochino un bel po’ di cose.“
Uno stile puntuale e sardonico, un intreccio narrativo inaspettato. Vi invito a leggere Nova di Fabio Bacà, incrociando le dita per la finale settembrina a Venezia!