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Sami Modiano, la forza del ricordo nell’inferno di Auschwitz – Birkenau

- 25/01/2020
sami modiano giornata della memoria


Avevo otto anni quando il maestro mi chiamò alla cattedra. Pensavo volesse interrogarmi, ero preparato, mi piaceva la scuola. E invece, amareggiato, mi disse: “Sami Modiano, sei espulso della scuola”. Mi cadde il cielo in testa. “Scusi, perché, qual è il motivo?”. Il maestro mi asciugò le lacrime e mi disse: “No, tu non hai fatto nulla di male, vai a casa e te lo spiegherà papà”.

Un bambino come tanti altri, ma dotato di quella curiosità tipica dei bimbi svegli che a quell’età può essere solo innocente. Nel 1938 il piccolo Sami si scontra faccia a faccia con l’orrore delle leggi razziali e di una dittatura disumana, crudele, miserabile: viene allontanato dalla scuola perché ebreo. Ma un bambino di 8 anni a cui piace andare a scuola non può comprendere il motivo di una ferocia simile. Modiano, anni più tardi, racconterà così quel giorno: “Persi la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo“.

per questo ho vissuto sami modiano
“Per questo ho vissuto. La mia vita ad Auschwitz-Birkenau e altri esili” (Rizzoli, 2013)

Sami Modiano è nato a Rodi, in Grecia, sulla splendida “Isola delle rose” dove ebrei, cristiani e musulmani convivevano pacificamente, sotto un sole d’oro sulle rive di un mare cristallino.

Ma le leggi razziali sono solo il primo atto di quell’opera meschina e spietata che Primo Levi, tempo dopo, definirà come la “demolizione di un uomo“. I cinque anni che seguono non sono semplici per Sami e la sua famiglia: suo padre Giacobbe perde il lavoro e sua madre Diana muore per una grave malattia cardiaca nel 1942. Modiano racconta: “Ringrazio il Padreterno che mamma non abbia vissuto l’orrore della Shoah, perché se avesse preso parte al viaggio sarebbe stata la prima ad essere buttata in mare. Mamma oggi ha una tomba dove posso andare a pregare. E di questo sono grato.

Il viaggio di cui Sami racconta è quello che trasportò oltre 2500 persone da Rodi al campo di concentramento di Birkenau: prima nella stiva di un mercantile, poi in un furgone e infine in un vagone bestiame. Costretti a condividere spazi angusti in condizioni igieniche terribili, a vivere in mezzo ai propri escrementi. Ufficialmente “il viaggio più lungo mai organizzato dai tedeschi per la deportazione”. Chi non ce la faceva, veniva buttato in mare o abbandonato. Sami affronta questo lungo, lunghissimo viaggio senza conoscere la destinazione e durato circa un mese con suo padre Giacobbe, sua sorella Lucia, gli zii e i cugini. A tornare a Rodi, mesi dopo, sarà solo lui.

La rampa della morte

Una volta arrivati nei lager, i deportati possono solo sperare di essere considerati abili per il lavoro e risparmiati da morte imminente. È un ufficiale tedesco, con il cenno di un dito, a decretare il destino di ognuno. Sami, grazie alla spinta di suo padre, riesce a rientrare tra le file di quelli da salvare (i bambini e i ragazzini venivano perlopiù condotti nelle camere a gas). È uno dei tanti bivi in cui Sami Modiano imboccherà inconsapevolmente la strada della vita, piuttosto che quella della morte.

La rampa della morte è anche scenario della separazione con Lucia, che andrà a finire nel settore delle donne, il lager b.

La vita nel lager

La vita nel lager è un incubo continuo in cui si è soli accanto alla morte. Birkenau è sofferenza, dolore, fame e freddo, sensazioni che non si possono cancellare. Sami resta solo. Un giorno non vede più sua sorella Lucia, con la quale aveva imparato a comunicare a gesti, da lontano, attraverso la rete di filo spinato. “Mia sorella Lucia era cambiata, non era più lei. Rasata a zero, magrissima, e tutto questo in poco tempo, un mese. Avevamo degli appuntamenti prefissati. Un giorno non la vidi più, capii che non ce l’aveva fatta“.

Per Giacobbe la perdita di Lucia è un dolore devastante e cruciale, nella quotidianità della sua vita nel lager. È in questo momento che decide di smettere di soffrire e di non correre il rischio di veder morire anche Sami, che fino ad allora era rimasto accanto a lui. Per questo compie un gesto estremo, consegnandosi all’ambulatorio dicendo di non sentirsi bene. Tutti sapevano che recarsi lì, all’ospedale, era la via più veloce per morire. Sami Modiano racconta così la separazione da suo padre: “Prima di lasciarmi volle darmi la sua benedizione. Mi disse “tieni duro Sami, vai avanti, ti prego. Almeno tu devi farcela”. Furono le ultime sue parole. Era sereno e voleva solo riabbracciare sua figlia.

lucia modiano
Donne ad Auschwitz (da: The Auschwitz album)

“Non è meglio morire?” si chiede Sami a quel punto: “In quel momento non sai come fare, avendo perso i tuoi cari e sapendo che non hai nessuna via d’uscita se non la morte, allora arrivi a cercarla per ricongiungerti con i tuoi cari. Ogni giorno rivivi la stessa agonia, sai di essere in vita ma non sai se arriverai fino a sera. Vivi in questa angoscia di morte ogni giorno, ne sei circondato, e questo non si cancella“.

L’umanità negata

Quando un giorno di vita in più ti sembra una maledizione, vestito di un solo pigiama a righe e un paio di zoccoli di legno, Sami arriva addirittura a sperare in un segno di umanità dagli ufficiali tedeschi: “Speravo che, andando avanti, avrei ricevuto un gesto di umanità da parte di qualcuno. Ma non c’erano che barbarie e morte. Questo gesto umano in questi mesi non è mai arrivato. Mai nessuno faceva finta di non vedere e risparmiarci.

Sami Modiano arriva a pesare 24 chili, e ha molti incontri con la morte, che però gli risparmia la sua nera falcidiatrice: “Cercavo la morte il prima possibile, ma lei morte non mi voleva” dichiara Sami. “Non mi accettava, e non ne capivo il motivo“.

Ad un certo punto, il trasferimento dal lager a al lager d gli regala la cosa più preziosa in quello scenario di sconforto e desolazione: un piccolo fiore spuntato nella miseria di dolore e angustia, un’amicizia. Sami fa la conoscenza di un ragazzo di Roma, Pietro Terracina, che come lui aveva perso tutto e tutti. Questa nuova conoscenza riempie Sami di speranza, e gli dona un nuovo motivo per resistere alla morte: “Quello con Pietro fu un incontro bellissimo. Avevamo la stessa età, facevamo tutto insieme, ci davamo coraggio. Sapevamo tuttavia che fosse un’amicizia provvisoria, e questo ci ha spinti a unirci sempre di più. Poi nel dicembre del 1944 ci siamo separati e ci siamo ritrovati un mese dopo, quando i russi stavano arrivando.

modiano terracina
Pietro Terracina (a sinistra) e Sami Modiano

La marcia della morte

Nel dicembre 1944 sentivamo in lontananza i combattimenti. I russi stavano arrivando e io ero ormai agonizzante, mi tenevo in piedi a malapena. I tedeschi erano diventati ancora più cattivi perché sapevano di essere braccati, e quindi uccidevano, ammazzavano senza pietà perché non ne rimanesse neanche uno a testimoniare l’orrore che stavamo vivendo. Volevano cancellare tutti noi. L’ordine era chiaro, dovevamo morire tutti“.

Il 18 gennaio ’45, nove giorni prima che arrivassero i russi, i tedeschi decidono di trasferire tutti i prigionieri ad Auschwitz, che era distante da lì pochi km. Fa freddo, un freddo da cani, e Sami a malapena si regge in piedi. Nella sua mente risuonano le parole di suo padre che lui non vuole deludere, e quindi si mette in marcia come tutti gli altri.

Sono andato avanti fino a quando ho potuto, poi cervello e corpo hanno ceduto. Ero pelle e ossa, e mi sono accasciato per terra. A quel punto due prigionieri, che oggi considero due angeli, mi hanno raccolto e trascinato fino ad Auschwitz. Mi hanno lasciato adagiato su un mucchio di cadaveri, così che potessi sopravvivere perché i tedeschi avrebbero creduto che fossi morto. Sono rimasto lì fino a quando non ho aperto gli occhi e ho visto attorno a me il silenzio: non c’erano né russi, né tedeschi, né prigionieri. Ero solo. A due passi c’era un fabbricato. Fu lì che mi rifugiai e mi trascinai. Lì ho perso completamente conoscenza. Trovai Primo Levi e Pietro Terracina, il mio amico.”

Di lì a poco i russi giunsero ad Auschwitz, e scoprirono l’immane tragedia dei campi di sterminio in cui milioni di ebrei, rom, sinti, testimoni di Geova, omosessuali avevano perso la vita per compiacere la follia nazista della superiorità della razza ariana.

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Il campo di sterminio di Birkenau

Sami Modiano ha cominciato solo nel 2005 a raccontare l’inferno di Birkenau, e a riviverlo con coraggio e amore per la verità, accompagnando ogni anno le scolaresche tra quelle mura maledette dove oggi non c’è altro che silenzio, ricordi e dolore, per compiere una missione ben precisa: continuare a ricordare, perché non possa mai più ripetersi.

Quando incontro i ragazzi, dico loro di non perdere la speranza. Vedere i loro occhi mi dà lo stimolo di continuare, per augurarmi che nessuno di loro veda ciò che hanno visto i miei occhi. Ma la vita è quella che è, nei momenti difficili devi sapere come reagire. Sì, bisogna avere sempre la speranza di andare avanti.

Fonti: Tv2000, Corriere della Sera, Avvenire, RaiNews

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Sono nato in Puglia, terra di ulivi e mare, e oggi mi divido tra la città Eterna e la città Unica che mi ha visto nascere. La scrittura per me è disciplina, bellezza e cultura, per questo nella vita revisiono testi e mi occupo di editing. Su BL Magazine coordino la linea editoriale e mi occupo di raccontare i diritti umani e i diritti lgbt+ nel mondo... e mi distraggo scrivendo di cultura e spettacolo!

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