Come da tradizione nei Giorni della Memoria, noi di BL Magazine ci teniamo a recuperare storie di eventi e personaggi che sono stati coinvolti nella discriminazione perpetrata durante la Seconda Guerra Mondiale.
Enrica Calabresi fu una donna di scienza e di cultura, e con il suo contributo accademico crebbe e formò le giovani menti del suo periodo storico.
I primi anni di Enrica Calabresi
Enrica Calabresi nacque il 10 novembre 1891, a Ferrara, da una famiglia della borghesia ebraica. Era l’ultima di quattro fratelli e fin da piccola dimostrò una predisposizione alla scienza e alla cultura.
Si laureò all’Università di Firenze in Scienze naturali il 1º luglio 1914 con una tesi “Sul comportamento del condrioma nel pancreas e nelle ghiandole salivari del riccio durante il letargo invernale e l’attività estiva“.
Fidanzata con lo studioso e promettente futuro docente Giovanni Battista de Gasperi, rimase “vedova” nel 1916, a causa della prematura morte di lui in un battaglione della Prima Guerra Mondiale.
Questo la spinse, un po’ per predisposizione, e un po’ per onorare la memoria dell’amato defunto, a perseverare la strada dell’insegnamento.
La carriera accademica
La sua carriera nell’insegnamento iniziò Il 1º febbraio 1914, ancora prima di laurearsi, quando venne assunta come Assistente presso il Gabinetto di zoologia e anatomia comparata dei vertebrati dell’Università di Firenze.
Fu anche segretaria della Società Entomologica Italiana dal 1918 al 1921, e nel 1924 ottenne il diploma di abilitazione alla docenza. Negli anni accademici dal 1936 al 1938 ottenne la cattedra di Entomologia agraria presso la Facoltà di agraria dell’Università degli studi di Pisa, consacrandosi in tutto e per tutto come docente, e perseguendo la sua grande vocazione.
I tempi della discriminazione
Il 14 dicembre 1938, in seguito alle Leggi razziali fasciste, fu dichiarata decaduta dall’abilitazione alla libera docenza di Zoologia perché “appartenente alla razza ebraica”.
Enrica però non si perse d’animo. Pur di continuare a insegnare, si iscrisse al partito fascista e le venne assegnato un posto al Liceo Classico Galileo Galilei. Qui insegnò e formò una giovane Margherita Hack, che continuò a ricordare perfettamente il periodo passato con la sua docente. Margherita fu testimone della sua cacciata dopo l’introduzione delle leggi razziali. Un giorno avrebbe dichiarato:
«L’ho vista cacciata dalla scuola da un giorno all’altro a causa delle leggi razziali. Questo mi ha aperto gli occhi su cosa può fare una dittatura e ha segnato in me una frattura: è allora che sono diventata antifascista».
Gli ultimi anni e la morte
Nel 1943, dopo la firma dell’armistizio, la famiglia di Enrica Calabresi iniziò a scappare verso la Svizzera, ma lei non volle abbandonare l’insegnamento.
Nel gennaio del 1944 fu arrestata nella sua abitazione fiorentina e portata a Santa Verdiana, un ex-convento trasformato in carcere. Sapeva che da lì sarebbe stata deportata al lager di sterminio di Auschwitz.
Si sottrasse a questo tremendo destino ingoiando un veleno per i topi, il fosfuro di zinco, che da tempo portava sempre con sé.
Enrica Calabresi morì durante la notte fra il 19 e il 20 gennaio dopo due giorni di lenta agonia.
Ultime parole
Enrica Calabresi non morì in un campo di concentramento, ma fu vittima dell’olocausto come molti attorno a lei.
Fu vittima per il suo essere ebrea, per il suo essere donna e studiosa, e per aver creduto fino alla fine nel suo scopo della vita. Aver preso il veleno invece di piegarsi completamente al destino scritto per le vittime dell’olocausto la rende una martire lucida, andata via secondo le sue regole e non quelle imposte di altri.
Certo, si iscrisse al partito fascista per poter continuare a insegnare, ma è proprio per questo che la sua figura deve essere ricordata, oltre che per il suo contributo alla scienza.
Essere scesa a compromessi per perseguire il suo scopo nella vita è un sacrificio da ammirare, anche se ingiusto ovviamente, e la morte per mano propria, e non per gli aguzzini che hanno minato la sua libertà (e di tutte le altre vittime dell’olocausto) ingiustamente le rende onore e rispetto, una lezione di coerenza e il dovere del ricordo.