Ammetto che incontrare la Bignardi e farmi firmare il libro è stata una sensazione stupenda quanto terrificante. Vuoi perché attendevo fremente l’uscita del suo nuovo libro, vuoi perché Daria Bignardi appartiene a quella generazione di scrittori che ha creato educatamente nuovi linguaggi, con maniacali attenzioni ai dettagli quasi come monastici miniaturisti medioevali, che tanto ci piace.
All’incontro, Daria, è stata estremamente gentile, come sempre, e, ha mostrato ottima memoria fotografica: si ricordava di me e del mio amico Davide Petrella, istrionica lettore e confidente “materno” , al FLA (Festival Letterario Adriatico, evento tenutosi a Pescara). Mi ha fornito addirittura la sua mail per avere i miei feed-back sul suo libro… è raro trovare personaggi più o meno famosi che, con molta umiltà, mostrano rispetto per i propri lettori. Ma io ovviamente l’ho invitata a leggere questa recensione su BL MAGAZINE… Sono certo che “sotto mentite spoglie” ci sta leggendo anche lei 😉
“Storia della mia ansia”
Il romanzo, edito da Mondadori, come i precedenti, ha come protagonista Lea: donna fragile e dalle dinamiche complesse. Lea ama perdutamente Shlomo da cui invece percepiamo che l’amore nei confronti di Lea sia stata una totale sciagura. Lea é corrosione fino al midollo da un’ansia atavica, sarebbe bello analizzare la “Costellazione Familiare” della protagonista ed essere li ha vedere come e da chi é cominciata, tanto che crea una gabbia mentale alla sciagurata. Quell’uomo anaffettivo e con le proprietà comunicative di un sasso in fondo al mare é, comunque, l’immotivato oggetto d’amore di Lea che é totalmente incapace di lasciarlo. Anzi, lui é il velocissimo pilota in una spirale di mutismo selettivo :
“I silenzi con cui mi puniva per settimane, dopo ogni lite, erano ancora più crudeli: una morsa attorno al cuore, un’asfissia, una tortura. Ora litighiamo meno, ma i suoi silenzi durano mesi. E io ogni giorno devo inventarmi qualcosa per sfuggire al dolore della sua distanza: un viaggio, un lavoro, una nuova amicizia. Dieci gocce di Xanax. Un gin tonic.
Eppure, non posso lasciarlo… “
Vani sono i tentativi di Lea di ravvivare combustioni sepolte dalla cenere della quotidianità. Inoltre, a dare il carico a coppe iniziale a Lea é il fatto di essere cresciuta in una” famiglia tradizionale italiana” quella in cui un abbraccio, un “brava” o una qualunque effusione affettiva é un lusso troppo pesante da concedere alle anime.
Aimé, peró, il fondo del barile non é ancora stato raschiato a dovere….
Come recita la famosa legge di Murphy “Se qualcosa va male, potrebbe andare peggio!” ed infatti il libro procede verso il fondo, verso qualcosa di cui é sano avere ansia, verso ció che rende palpabile il tempo, ci riconduce al giusto peso da dare alle parole e ci fa vedere le cose con la giusta tonalità. Forse solo quando é piú buio iniziamo realmente a vivere. Ed é proprio questo che fa Lea.
Da triste mogliettina sciagurata ad araba fenice dei nostri tempi.
Ovviamente il finale non ve lo dico, va letto accuratamente, perché questo libro va vissuto, va esplorato e, sicuramente, vivendo la vita di Lea, possiamo trarre un grande esempio ed un punto di vista in piú per guardare le cose con un’altra prospettiva.
GRAZIE DARIA!