Una figura sempre poco ricordata nella politica italiana è quella di Teresa Noce, donna comunista con la vocazione della politica, che nel 1948 fu la prima firmataria della legge 860 del 1950, intitolata “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri“, ossia la prima legge sulla maternità delle donne lavoratrici.
Oggi quella storica conquista legislativa, che vide il sostegno di alcune madri costituenti come Nilde Iotti ed Elettra Pollastrini, è stata soppiantata da interventi più recenti come la l. 151/2001, ma non si può negare lo spirito rivoluzionario e femminista né la straordinaria portata culturale (soprattutto antifascista) di una legge scritta dalle donne e per le donne.
“Questa legge dovevamo elaborarla noi, donne comuniste elette per la prima volta in parlamento nel 1948. Anche se non avevamo nessuna esperienza legislativa avremmo imparato, studiato, chiesto aiuto. Avremmo certo incontrato molte difficoltà, e saremmo state costrette a superare molte ostacoli, ma la lotta delle masse nel paese ci avrebbe dato l’aiuto necessario. L’elaborazione del nostro progetto di legge non risultò facile. Ma tutti collaborarono, offrendoci un valido aiuto, anche se dovemmo affrontare discussioni accanite che qualche volta degenerarono in veri e propri litigi. Organizzammo piccole riunioni e grandi comizi, assemblee di operaie nelle fabbriche, commissioni di esperti cioè sindacalisti, medici, giuristi e ci incontrammo ripetutamente soprattutto con i compagni della FIOT“.
(dall’autobiografia “Rivoluzionaria professionale”, 1974)
Nulla di quella legge è andato perduto nel tempo. Teresa e le sue compagne riuscirono a portare a casa non solo un’ondata di diritti per le madri lavoratrici, ma anche a invertire la tendenza di una mortalità infantile che devastava le famiglie dei ceti più bassi, soprattutto per malnutrizione.
Dal “soldino di felicità incantata” alla passione politica
Teresa, classe 1900, conosceva bene la fatica e il lavoro. A 11 anni coraggiosamente prende parte al suo primo sciopero come sartina, per rivendicare migliori condizioni di orario e salario. L’abbandono di suo padre e la cattiva salute di sua madre la costringono a lasciare anzitempo la scuola, ma ciò non le impedisce di coltivare la passione per la lettura. Teresa impara a leggere non solo con i titoli del quotidiano “La Stampa” (era nata a Torino), ma anche con le fiabe e le novelle del “Novellino” e del “Novellino rosa”, che anni dopo definirà il suo “soldino di felicità incantata“.
Di tornare a scuola non se ne parla, ma non certo per pigrizia.
“Il problema era più complesso di quanto non mi fosse sembrato. Alle medie mi sarei trovata con ragazze di un’altra condizione. Con le scarpe sempre rotte, le scarpe scalcagnate e d’inverno con gli zoccoli, avrei certo dovuto sopportare gli sberleffi delle altre“.
(dall’autobiografia “Rivoluzionaria professionale”, 1974)
Sia la mamma che il fratello lasciano Teresa sola dopo la Grande Guerra. Si ritrova dunque “Sola, affamata e ribelle” e, cosa non indifferente, senza paura. Perché non c’è più nulla da temere se sei sola al mondo e dentro di te divampa la voglia di uguaglianza, parità e giustizia sociale.
Teresa muove i primi passi in politica nel 1919, quando comincia la sua militanza nel PSI, per poi contribuire a fondare il Partito Comunista d’Italia due anni più tardi. Lì conosce Luigi Longo, studente di ingegneria piccolo borghese, che sarà il suo compagno di vita per molti anni e padre di tre figli maschi (uno morirà, ancora neonato per la meningite). Per sposarsi aspetteranno il compimento dei 25 anni di età, perché la famiglia di lui si rifiuterà di dare il consenso al matrimonio con la “brutta, povera e comunista” Teresa.
L’avvento del fascismo conduce Teresa e Luigi fuori dall’Italia. Parigi, Mosca, Spagna, l’impegno politico sarà più forte dell’amore filiale, tanto da costringere i due a lasciare il piccolo Pier Giuseppe, detto Putisc, da amici in Russia.
L’attività rivoluzionaria, antifascista e antinazista a capo dei France Tirateurs Parisiens di Teresa, che qui agisce sotto le mentite spoglie di Estella (protagonista della sua prima autobiografia per Editori Riuniti nel 1937), le costa la deportazione, nel 1944, prima a Ravensbruck e poi a Halleischen: qui è costretta a svolgere i lavori forzati in una fabbrica di munizioni fino all’arrivo dei partigiani polacchi nel 1944.
Teresa e la sua attività politica
Il ritorno in Italia, segnato da una prima crepa nel matrimonio con Longo (che nel mentre non aveva mai disdegnato le attenzioni di partigiane e compagne) è anche l’inizio di una breve ma intensa carriera parlamentare. Teresa viene eletta tra le fila del Partito Comunista e subito selezionata nella “Commissione dei 75”, incaricata di stilare il testo della Costituzione.
La sua “resistenza” laica, la sua morale rigorosa la nobile perseveranza la spingono ad astenersi riguardo all’inserimento dei Patti Lateranensi nell’art. 7. Il suo “no” si unisce a quello del latinista Concetto Marchesi, che esce dall’aula in segno di protesta con il suo partito. Ma il rifiuto di Teresa fa più rumore, perché donna e moglie di Longo, che nel frattempo è diventato vicesegretario e successore naturale di Togliatti.
“Il giorno in cui la commissione dei 75 doveva approvare l’articolo 7, andai a trovare Togliatti e gli dissi chiaramente che io non mi sentivo di votare a favore. Se mi fosse stato imposto di votare in questo senso per disciplina di partito avrei abbandonato la riunione. Togliatti mi guardò (mi conosceva bene) e mi disse con il suo sorriso sornione: “In fondo non si tratta di una questione di principio, ma solo di tattica contingente. Perciò fate quello che volete” . Chiamata a votare disse forte e chiaro ‘mi astengo’. Tutti i “soloni” si voltarono come un sol uomo a guardarmi, mentre un brusio correva per l’aula“
(dall’autobiografia “Rivoluzionaria professionale”, 1974)
La “legge sulla maternità delle donne lavoratrici”
Ma è con la legge sulla “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri” che Teresa compie il suo capolavoro politico.
La gestazione del dettato normativo durò due anni, tanto che dalla proposta nel 1948 si giunse all’approvazione due anni più tardi. I punti cardine del testo erano sostanzialmente la tutela delle puerpere dal licenziamento, il sostegno economico post-parto e il supporto per l’allattamento. Il testo si distaccò fortemente dalle (poche) tutele previste nel periodo fascista, atte più a limitare le perdite da parte del datore di lavoro che a considerare le gestanti e i bambini come soggetti di diritto meritevoli di tutela.
Nell’articolo 5 viene fatto divieto assoluto divieto di licenziare le lavoratrici durante il periodo di gestazione e nelle otto settimane successive il parto, definite “di astensione obbligatoria” dal lavoro.
L’articolo 7 vieta di assegnare alle donne lavori faticosi durante la gestazione, a partire dalla presentazione del certificato di gravidanza e fino al terzo mese dopo il parto, ovvero fino a sette mesi ove provvedano direttamente all’allattamento del proprio bambino. In tale periodo è previsto che la donna venga assegnata a mansioni più consone alla sua condizione.
Questa nuova norma pone un’inedita attenzione alla fase della gravidanza nella vita di una donna, dimostrando la chiara consapevolezza che lavori eccessivamente usuranti possano pregiudicare sia la vita della donna che il buon esito della gravidanza.
Gli articoli 11, 12 e 13 ribadiscono l’obbligo per i datori di lavoro di istituire le camere di allattamento. Tale obbligo grava sui datori di lavoro che impieghino nella loro azienda almeno trenta donne coniugate di età non superiore ai 50 anni. In sostituzione della camera di allattamento può essere predisposto, nelle adiacenze dei locali di lavoro, un asilo nido per l’allattamento, l’alimentazione e la custodia dei bambini di età non superiore ai tre anni. Le camere di allattamento e gli asili nido devono essere mantenute in modo da rispondere alle norme igieniche e in stato di scrupolosa pulizia.
Infine, l’articolo 17 impone il diritto all’indennità giornaliera, pari all’ 80% della retribuzione, per tutto il periodo di assenza obbligatoria stabilita dalla presente legge.
Destinatarie di queste norme risultavano essere “le gestanti e le puerpere dipendenti da privati imprenditori e datori di lavoro, comprese le lavoratrici dell’agricoltura, le addette ai lavori domestici, le lavoratrici a domicilio, le dipendenti pubbliche, coloro che svolgono lavoro autonomo (artigiane, commercianti, agricole), apprendiste e allieve di laboratori-scuola“.
Inoltre all’art. 4, la legge 860 sancisce il diritto alla “completa assistenza ostetrica gratuita” e alle “necessarie prestazioni medico-sanitarie” per tutte le puerpere.
Potete cliccare qui per leggere il testo integrale della l. 860/1950.
La vita dopo la politica
Nel 193 Teresa subisce un’intima umiliazione che le costerà il trauma “più grave e doloroso” della sua vita, “più del carcere e più della deportazione“: viene espulsa dalla direzione del Partito Comunista per aver smentito il divorzio da Luigi Longo, appreso tra le righe di un trafiletto del “Corriere della Sera”.
Il divorzio in Italia arriverà solo nel 1970, e l’unica soluzione, negli anni ’50, era rivolgersi alla Sacra Rota o recarsi a San Marino, chiedere l’annullamento e ottenere la trascrizione in Italia.
Teresa, furibonda per aver appreso che Longo avesse addirittura falsificato la sua firma, smentisce il divorzio sui giornali contro il parere del partito. È allora che si chiuderanno per lei le scene dalla politica attiva: il Partito Comunista (che pure raccomandava rigore e rettitudine nella gestione delle vicende familiari) non le perdona di aver reso pubblica una faccenda privata e si schiera compatto dalla parte di Longo, lasciando Teresa sbigottita e, di nuovo, sola.
Nel 1954 lascia gradualmente gli incarichi di membro della direzione del PC, di presidente della FIOT, il sindacato dei tessili, e poi di parlamentare nel 1958 (non si ricandiderà alle elezioni). Solo nel 1959, in qualità di membro della CGIL, si impegna nel CNEL.
Si ritira dunque a vita privata per dedicarsi alle sue passioni: i viaggi e la scrittura. Nel 1974 pubblica la sua autobiografia “Rivoluzionaria professionale“, dove riversa con parole energiche e di sovrumana potenza, tutte le emozioni e le conquiste di una vita avventurosa, randagia e affamata, da indomabile donna italiana.
Teresa si spegne a Bologna il 22 gennaio 1980.