Continuano i femminicidi in Italia, continua la comunicazione tossica nel raccontarli nei media. Ultima vittima, è la 26enne Carol Maltesi, di origini italo-olandesi, cresciuta nella provincia di Varese e trasferitasi in quella di Milano. E’ stata trovata cadavere, a pezzi, il 21 Marzo, in un dirupo della Val Camonica in Provincia di Brescia.
Nella notte tra il 28 e il 29 Marzo è arrivata la confessione del vicino di casa, Davide Fontana, ex compagno 43enne, banchiere di Milano, che l’avrebbe uccisa ben due mesi fa, messa nel congelatore di casa sua, e successivamente fatta a pezzi, infilata in 4 sacchi neri e scaricata nel dirupo. Era lui che da Gennaio rispondeva ai messaggi degli amici attraverso il cellulare della vittima, per disertare i sospetti, per non far allarmare nessuno. E per questo motivo nessuno ne aveva denunciato la scomparsa.
Quando cerchi notizie su di lei non trovi così tanti articoli come quando si digita, nella barra google, il suo pseudonimo, Charlotte Angie, che usava nel mondo dell’intrattenimento per adulti, un mondo con cui si è iniziata ad avvicinare dopo il licenziamento come commessa nel 2021, a causa dei problemi dovuti dalle difficoltà economiche durante la pandemia.
La scelta dei giornali nell’utilizzo del suo pseudonimo non ci stupisce, perché è l’ennesima conseguenza dell’ossessione del corpo femminile della società.
Ci ritroviamo nuovamente interdette di fronte ad una vittima uccisa non più due volte, come accade spesso di fronte ad ogni femminicidio, ovvero dal colpevole e dai media, ma per ben tre volte: il femminicidio stesso, la narrazione tossica che ne consegue nei giornali ed infine la svalutazione della donna in quanto facente parte del mondo del sex working.
Il femminicidio
Il femminicidio lo sappiamo, è un fenomeno ben preciso e finalmente abbastanza discusso (ne parlai nel mio primissimo articolo in BL Magazine e durante la pandemia): non va confuso con “omicidio di una donna”, poiché è l’assassinio di una donna in quanto donna (essere umano di genere femminile) che non rispetta il canone imposto dalla società patriarcale all’interno della coppia (o presunta tale, comunque nei confronti di un uomo). I moventi possono quindi essere tristemente disparati: l’essere uscita il sabato sera con le amiche (invece di stare con il proprio partner), non aver cucinato bene la cena, non aver pulito bene la casa, o quando ci si emancipa decidendo di lasciare il proprio marito/compagno… e così via. In questo caso Davide Fontana ha ucciso Carol Maltese perché aveva deciso di usare il suo corpo per un lavoro che per la società sessista non è convenzionale, emancipandosi. L’uomo, di fronte all’inadempienza della donna nello stare nello stereotipo femminile imposto, si sente legittimato a toglierle la vita, proprio perché la considera di sua proprietà.
La narrazione tossica del Femminicidio
Quando avviene un femminicidio, il modo in cui viene riportato nei media molto spesso è tossico e distorce totalmente il messaggio che si manda.
Molto spesso ci ritroviamo a dover leggere articoli di giornali che rappresentano il femminicidio come un incidente, giustificando il femminicida in quanto in preda da un momento di rabbia e gelosia. Spesso c’è la narrazione del colpevole come se fosse un gigante buono, arrabbiato per la sua ex che lo ha tradito, un uomo che salutava sempre, gentile e cortese. Leggiamo articoli in cui si parla della vita del femminicida, dimenticandosi totalmente della vita della vittima, creando uno scudo difensivo per il colpevole, leggittimandolo con un “è lei che se l’è andata a cercare“.
E i media non hanno risparmiato nemmeno Carol, come se tutte le lotte che abbiamo portato avanti non fossero servite. Il colpevole continua a parlare di raptus, un attacco di rabbia durante un gioco erotico finito male, ma stiamo parlando di un omicidio efferato e di un’azione di insabbiamento del crimine durato per ben due mesi.
Ma qui, un’ulteriore azione morbosa da parte dei media è avvenuta: l’ossessione del mestiere della vittima ha spesso superato l’identità della vittima stessa, deumanizzandola.
Lavorare nel mondo delle piattaforme hard.
E qui Carol Maltesi è stata uccisa per la terza volta: i media non hanno risparmiato la scelta lavorativa della vittima, che per motivi che non sta a noi giudicare, aveva deciso di intraprendere dal 2021, in seguito al licenziamento del suo lavoro come commessa, svalutandola totalmente e sminuendone la sua persona.
L’Italia ha un grosso problema con il mondo del sex work, che comprende non solo la prostituzione, ma anche il porno: tutto quello che comporta l’emancipazione di una donna che decide di utilizzare il proprio corpo per soldi.
L’accanimento verso questo ambito lavorativo parte proprio dal concetto che si ha di alcune parti del corpo: il sex work viene considerato disdicevole in quanto la persona che decide di fare quel lavoro vende il proprio corpo per soldi, ma quasi tutti i lavori nel mondo hanno questa dinamica. Il punto è che attribuiamo un valore simbolico, sacrale e inviolabile ai nostri apparati riproduttivi (e per le donne, anche il seno) rispetto, ad esempio, alle braccia di un contadino. Nessuno vende un corpo, si vende sempre e comunque una prestazione del proprio corpo in cambio di soldi, e questo avviene in tutti i lavori.
Lavori che creano disappunto tra alcuni rami del femminismo, ma anche e soprattutto ai maschi bianchi etero basic (i MBEB) come Pietro Diomede, comico (?) di Zelig.
Il suo post su twitter è stato aberrante (di cui ora non si trova più online, e che ha portato la squalifica del comico al programma Zelig) e dimostra come una donna che si autodetermina al di fuori di uno schema patriarcale perde totalmente rispetto e valore, che sia perché lavoratrice nel porno, che sia perché decide di mollare il proprio compagno.
Una donna che decide di autodeterminarsi e di rinunciare allo stereotipo patriarcale è destinata ad avere lo stesso valore valore di un pezzo di carne al supermercato, viene deumanizzata, oggettificata, leggittimando le persone a trattarla come un non-umano, un oggetto, incuranti del suo pensiero, emozioni, sentimenti.
Tutto quello che è accaduto a Carol Maltesi è l’ennesima prova di quanto le donne siano ingabbiate in una retorica e uno schema machista, che continua a ribadire, erroneamente, che la parità tra i generi è già stata raggiunta, ma che guarda altrove quando c’è un femminicidio.
Non solo una donna deve faticare il doppio per avere la metà del rispetto che si ha automaticamente in un uomo, ma rischia la vita ogni qualvolta che ha il desiderio di uscire fuori dal modello patriarcale.
Continuiamo a trattare ogni femminicidio come caso isolato, leggere di questi femminicidi nei media come raptus e azioni di impulso ma, al contrario, sono sistemici.
Continuiamo a dire basta a questa carneficina, eppure continuiamo a contare i femminicidi che non avranno fine se non si cambia rotta.
E’ sempre più chiaro che se non si cambia cultura, siamo spacciate.