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Conad di Pescara: solo perché la titolare è donna non rende il fatto ancora più grave.

- 01/05/2022


La faccenda ormai è nota a tutti e tutte. La scorsa settimana, è stato ritrovato un assorbente, ben richiuso ma fuori dal cestino negli spogliatoi femminili (quindi zona non aperta alla clientela) di un supermercato Conad di Pescara e la reazione della titolare è stata quella di incitare le dipendenti a calarsi le mutande per controllare chi avesse il ciclo, per individuarne il responsabile. Alcune donne pare che siano state costrette a farlo. La prova è stato un messaggio audio nella chat dei capi reparto del supermercato, girato successivamente alla FILCAMS CGIL di Pescara e che ha incastrato la direttrice: “voglio nome e cognome, altrimenti le calo le mutande io”.

Una barbara e gravissima situazione di maltrattamento e mobbing di cui moltissim* altr* dipendenti hanno subito da molti anni dalla titolare, ma che solo ora sono riusciti a denunciare, in forma anonima, proprio per l’insostenibilità di quell’ambiente lavorativo.

Dopo la bufera scatenata sui giornali, tempo 24 ore e il Conad ha rilasciato una dichiarazione in cui annunciava “la risoluzione del contratto di affitto con la società che gestisce il punto Conad di via del Circuito”. Ovvero: la titolare che aveva inviato l’audio ai capi reparto per chiedere di trovare la dipendente che aveva lasciato l’assorbente in bagno minacciando di abbassare lei direttamente le mutande alle donne, non guiderà più il supermercato, tutelando comunque i dipendenti del punto vendita.

Una vittoria lampo, ma ampiamente sentita non solo dal sindacato, ma anche dai movimenti femminili e femministi del territorio, che hanno subito supportato la denuncia del sopruso subito, tra cui il Collettivo Zona Fucsia, UDI Pescara e le Donne della CGIL, in quanto troppo spesso il lavoro precario (e non solo a livello contrattuale, ma anche di ambiente lavorativo, troppo spesso tossico) va a cozzare con un carico di impegni che la popolazione femminile ha, ingiustamente, sulle spalle: il lavoro di cura della casa e della famiglia. Un lavoro che toglie tempo ed energie, che non viene riconosciuto dallo Stato, ma che impedisce troppo spesso alle donne di fare dei full-time e quindi ad avere un’entrata economica maggiore.

Una dinamica fragile, che il sessismo istituzionalizzato ne ha fondato i propri principi famigliari, e che va a totale discapito alla donna, che si affaccia in un ambiente lavorativo aggressivo e capitalistico, che legittima mobbing e bossing, facendo leva sulla fragilità economiche dell* lavoratric* costringendol*, di fatto, a lavorare di più ma con guadagni più bassi. 

Un braccio di ferro tra diritti e capitalismo che però oggi è andato a favore dei diritti. Un piccolo spiraglio di luce che ci rende ottimisti/e. Ma la lotta continua, su più punti di vista.

Il caso ha scatenato non pochissime critiche e commenti negativi, nonostante il caso di maltrattamento sia eclatante. Quello che mi ha colpito di più, perché espresso da uomini donne, femministe (ahimè) e non, è proprio quello in cui si attribuisce maggior gravità al fatto solo perché la “carnefice” è donna.

Il fatto che la titolare fosse donna non rende il fatto ancor più grave.

Anche durante la conferenza stampa della FILCAMS Abruzzo Molise molti giornalisti hanno fatto la stessa riflessione, e molti sono stati i commenti sui social di questo tipo: essendo stata la donna la “carnefice” in questo caso di maltrattamento, tra le altre cose nei confronti di altre donne, la questione sia ancora più grave. Ma credo che questa sia un affermazione totalmente errata.

La retorica del “le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne” è ancor più tossica della narrazione patriarcale standard, in quanto si continua a dare la colpa alle donne per una dinamica che è invece di potere di stampo maschile.

In uno dei miei primissimi articoli, parlavo proprio del perché esistessero donne maschiliste. Una riflessione nata di fronte allo shit-storm nei confronti di una donna morta in un’escursione durante le vacanze di Natale nel 2019. E qui la stessa riflessione va ribadita anche se riformulata nel caso specifico: anche se la donna escursionista non aveva alcuna colpa mentre nel caso Conad si, non bisogna comunque dimenticare che non possiamo incolpare le donne in quanto donne e che non possiamo aspettarci un comportamento migliore da una persona solo perché donna.

Il considerare una donna automaticamente sensibile perché di sesso femminile è stereotipo, lo stesso che il femminismo sta cercando di combattere da secoli.

Il femminismo non considera le donne migliori degli uomini, li considera infatti pari: non c’è alcuna voce del manuale del pensiero femminista che suggerisce che le femmine abbiano superpoteri, che siano immuni dal commettere ingiustizie come queste, che siano superiori e che sono sempre nel giusto. Anzi, il considerare una donna migliore degli uomini viene considerato sessismo benevolo, che ha insidie tante quante quello standard.

Esistono moltissime donne che, per mantenere il controllo della gerarchia del potere (che può essere politico, lavorativo e, ahimè, talvolta anche in ambito famigliare) emulano un comportamento prettamente patriarcale, che serve proprio per mantenere lo status quo. Agli uomini sta bene questa loro emulazione, allargando così la cerchia dorata del privilegio alle pochissime donne che vogliono imitare il comportamento tossico, cercando di diventare come loro.

(Non a caso, parlare di matriarcato, quindi avere la donna al potere, non credo che sia femminista. Sicuramente non sono sinonimi, perché gerarchia e femminismo non vanno d’accordo.)

Nel caso della titolare del Conad di Pescara, è stato un comportamento vergognoso, l’inizio forse di una serie di testimonianze e rivelazioni, facendosi coraggio l’un l’altro, come un piccolo domino alla #metoo in ambito di mobbing in Abruzzo e non solo.

Ma dire che in quanto donna, la titolare fosse colpevole due volte, direi che non ci siamo. Perché sono secoli che dobbiamo faticare il doppio per raggiungere gli stessi risultati di un uomo, ma prenderci anche il doppio della colpa quando ci comportiamo come loro, credo che sia davvero troppo.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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